Songs Of An Other
di Savina Yannatou & Primavera en Salonico
Le coste del Mediterraneo, l’interno dei Balcani, il Medio Oriente. Canti d'amore, religiosi e di lavoro nei campi, ninnenanne, canti di partenze e ritorni. Tappe di un tour immaginario, che sconfina nel sogno. La viaggiatrice è la cantante greca Savina Yannatou, in compagnia dei componenti il gruppo La Primavera en Salonico, ormai più che affidabili compagni di ventura. In questa sua terza prova discografica, il repertorio proposto è una navigazione tra canti tradizionali greci armeni, macedoni, serbi, kazaki e dell'Italia del sud (Addio Amore). Partenza in grande stile dall’Armenia con la struggente Sareri hovin mernem, poi il via alle danze con Za kioubih maimo tri momi ritmi prelevati dalla Macedonia e dalla Bulgaria, che si concede una fulminea improvvisazione prima di concludere con la ripresa del tema. Tra gli altri pezzi, piacciono Albanian lullabye, ninna-nanna adrenalinica, Dunie-au, malinconica meditazione sul senso della vita proveniente dal Kazakhstan, Radile, altra danza giososa intrisa di malinconia e Perperouna composizione basata su una tradizionale melodia greca ma che si avvale del contributo ritmico di una kalimba, estendendo il viaggio fino in Africa. Un territorio musicale vasto, l’itinerario è notevole, basta dare uno sguardo alle carte geografiche, ma in fondo l’Odissea è una creazione greca. Geografia musicale che viene ridisegnata con tratto leggero, tracciando sull’ipotetica mappa alcune varianti nel percorso; improvvisazioni sulle melodie popolari di partenza mai sopra le righe, un processo di rielaborazione che la Yannatou continua ad affinare. Gennaro Fucile |
di Savina Yannatou
& Primavera en Salonico titolo Songs Of An Other
etichetta Ecm
distribuzione Ducale
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Temper
di Benoit Pioulard
Attraverso suoni acustici su tappeti elettronici, Benoit Pioulard (pseudonimo artistico di Thomas Meluch) si presenta subito con il suo progetto di una musica di sintesi. Temper, secondo lavoro dell’artista statunitense con la Kranky, si apre con l’arpeggio siderale di Ragged Tint, e gli arpeggi si ripetono per tutto il disco (come accade per esempio nell’apertura di Loupe), canonici come quelli del folk più classico, diluendosi nelle atmosfere acquatiche tanto care alla tradizione trasversale dell’elettronica. La voce, dal canto suo, nuota delicatamente, in sospensione, nel fluido magma freddo di Piuolard, senza mai innalzarsi in quei pericolosi tentativi di protagonismo che spesso affascinano i cantautori meno esperti. Il giovane electrofolkman rispetta le aspettative che aveva già proposto con il suo precedente album Precis. E ci mette di più, ci mette un certo equilibrio che a soli ventiquattro anni si impone per la sua trasparenza, nonostante sia ancora forse leggermente, ma fisiologicamente, acerbo. È certo che Pioulard voglia presentare non soltanto delle normali canzoni, e la lunga tracklist dei sedici brani di Temper lo testimonia. Sembra che Benoit voglia offrire più che altro delle impressioni, delle momentanee sensazioni messe come delle pennellate in una visione musicale per così dire paesaggistica. Ed è così che le sfumature elettroniche prendono a prestito dai suoni della natura il loro tono, in un gioco di rimandi apparentemente inconciliabile, a ricordare il fruscio del vento, a proporre l’eco dei boschi, l’ovattato riflusso di un movimento sott’acqua. Tutto senza lesinare sul rumore casalingo e familiare dei polpastrelli che scorrono, non vergognandosene, sulle corde di una semplicissima chitarra acustica. Livio Santoro |
di Benoit Pioulard
titolo Temper
etichetta Kranky
distribuzione Goodfellas
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4th
di D.F.A.
Certe volte a guardare troppo fuori dai nostri confini, si finisce per non accorgersi che magari a solo qualche decina di chilometri da dove si vive esistono realtà straordinarie. È il caso dei veronesi D.F.A, un quartetto – chitarra, basso, tastiere, batteria – qui alla loro quarta prova discografica (anche se l’ultimo album in studio, “Duty Free Area”, risale al 1999), e capace di mettere in campo tante buone idee e una sapienza che raramente si incontra frequentando il giro del cosiddetto prog italiano. I D.F.A. fortunatamente si tengono difatti alla larga da atmosfere sinfoniche popolate da fate, folletti, locande, cavalieri e compagnia cantando. E nemmeno si avventurano in scriteriate riletture dei repertori di gruppi dal passato più o meno glorioso come Pfm o Banco del Mutuo Soccorso. Semmai la bussola utilizzata dai D.F.A. punta verso il nord Europa e rimanda a modelli anglosassoni (soprattutto dell’area di Canterbury) e sa colpire nel segno grazie a un’alchimia di sfumature, timbri, ritmi e soluzioni melodiche che danno ancora speranza a un genere ormai obbligato a vivere di nostalgia. Anche gli interventi dei solisti, Alberto Bonomi alle tastiere (Hammond, Fender Rhodes, sintetizzatore e piano acustico) e, in particolare, Silvio Minella alla chitarra elettrica, sono sempre calibrati e misurati. Al servizio di una performance corale e compatta dove il “sottrarre” ha la meglio sulla solita overdose di note, senza capo né coda, che spesso caratterizza gli exploit di tanti gruppi del prog nostrano. Sei le tracce contenute in “4TH”, tutte valide. Come l’introduttiva Baltasaurus, con l’incandescente chitarra di Minella a tinteggiare di jazz un solido brano che ricorda molto il gruppo rock da cui Jonathan Coe ha preso ispirazione per uno dei suoi più fortunati recenti romanzi, o come la lunga, quasi venti minuti, e ambiziosa Mosoq Runa, che prende il via da un bella overture al piano acustico di Bonomi. Scritto da Luca Nulchis e dal batterista Alberto De Grandis sulle liriche di un antico poema sardo, il pezzo più convincente è La Ballata De S’Isposa ‘E Mannorri, che si avvale dell’intervento di un gruppo vocale tradizionale femminile, il trio Andhira. Il risultato è una canzone etno-prog di ottima fattura: una strada, ci si augura che forse i D.F.A., dopo questo fortunato esperimento, batteranno anche nel prossimo futuro. Claudio Bonomi |
di D.F.A.
titolo 4th
etichetta Moonjune Records
distribuzione Ird
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