Camden ’70
di Neil Ardley’s New Jazz Orchestra
Nella New Jazz Orchestra (NJO) diretta dal dicembre1963 al 1973 dal compositore e arrangiatore Neil Ardley si fecero le ossa un’intera generazione di jazzisti inglesi. Fu grazie a Ardley, la cui importanza nell’emancipazione del brit-jazz è pari a quella di Mike Westbrook, se si affermò uno stile della composizione per grandi ensemble di matrice europea che attingeva alla musica popolare continentale con una strumentazione tipicamente non jazz con flauti, corni, tuba, organo Hammond ecc. Questa incisione live, forse l’unica in circolazione della NJO, evidenzia bene quali fossero allora le fonti d’ispirazione e le direzioni di lavoro di Ardley e soci: se non mancano omaggi ai compositori americani come George Russell (qui è presente un’intrigante versione della sua Stratusfunk, orchestrata da Paul Rutherford), John Coltrane e Miles Davis (l’arrangiamento di Ardley di Nardis brilla grazie a uno dei più emozionanti assoli della carriera di Harry Beckett), lo spazio maggiore è dedicato a composizioni originali di Ardley, Michael Garrick, Mike Taylor e Michael Gibbs; alcune tratte dall’album-capolavoro della NJO Le Dejeuner sur l’Herbe del 1968. Qui, in alcuni casi, le versioni live sono superiori a quelle di studio: è il caso, ad esempio, di Study, brano di Andres Segovia arrangiato da Ardley che si fregia di uno splendido duetto tra Barbara Thompson al soprano e ancora Harry Beckett alla tromba che per qualità e intensità della performance supera di gran lunga la registrazione ufficiale. L’unica pecca di questo album fondamentale è la bassa qualità dell’audio. Ma non mancano motivi che ripagano l’acquisto: da quelli già accennati alla presenza di una bella versione di Rope Ladder to the Moon, composizione di Jack Bruce arrangiata da Mike Gibbs con un bel assolo di Dick Heckstall-Smith al tenore (questa formazione della NJO vede tra i suoi membri i Colosseum al completo) alle note di copertina, interessanti, piene di aneddoti, scritte da Dave Gelly, ex membro della NJO. Claudio Bonomi |
di Neil Ardley’s New Jazz Orchestra
titolo Camden ’70
etichetta Dusk Fire Records
distribuzione propria (www.duskfire.co.uk)
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Me and Armini
di Emiliana Torrini
Quando si nasce da padre napoletano e madre islandese e si fa musica, il risultato può essere dei più eccentrici. È il caso di Emiliana Torrini cresciuta, musicalmente e non, tra ghiacci e geyser ed attualmente al suo terzo album per il mercato mondiale. La sua produzione musicale rispecchia perfettamente l’eclettismo delle sue origini. Quando uscì dalle porte dell’Islanda con Love in Time of Science (1999), si pensò ad una nuova, forse più garbata, Bjork. Fisherman’s Woman, secondo album della Torrini, fece supporre che se Nick Drake avesse avuto una voce ed una mano femminile, certo sarebbero state quelle di Emiliana Torrini, ed era il 2005. Nel frattempo Emiliana ha collaborato con Moby, ha cantato con i Thievery Corporation, ha addirittura composto per Kylie Minogue e si è fatta conoscere dal grande pubblico per quella Gollum’s Song che ha fatto il giro del mondo come colonna sonora del titanico Il signore degli anelli. Oggi esce Me and Armini, ultima fatica della cantautrice, nuovo tassello di una produzione tanto varia quanto sfuggente. Ed è come se Emiliana Torrini avesse messo in uno shaker tutte le sue esperienze dal passato, aggiunto un tocco di dub e versato tutto in un cocktail unico, dal sapore vago ed indistinto del pop. Capita così di stupirsi del richiamo reggae di Fireheads e di Heard All Before, di ricordarsi dell’accennata e malinconica vena folk in Birds e Bleeder e di tamburellare con le mani sul tavolo al sound agile di Jungle Drum. Me and Armini non è un disco che ci si aspetta, almeno non dopo aver ascoltato Fisherman’s Woman, forse un po’ delude, o semplicemente dichiara di non aver troppe pretese e di volersi solo far ascoltare, leggero come è il pop. Livio Santoro |
di Emiliana Torrini
titolo Me and Armini
etichetta Rough Trade
distribuzione Self
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Keio Line
di Richard Pinhas & Merzbow
Doppio cd che testimonia di uno strano incontro avvenuto nei paraggi della metropolitana di Tokyo, Keio Line. Due giorni di in-fusioni sonore e poi il mix a cura di Richard Pinhas a Parigi. Pinhas ricordiamolo (vedi Quaderni D’Altri tempi n. VII) frequenta i suoni elettronici da quando negli anni Settanta allestì gli Heldon. È sperimentatore impavido, originale, capace di creare negli anni un proprio universo sonoro, affine a quello di Robert Fripp. In questa occasione, però, dimostra di avere un coraggio fuori dal comune e grande padronanza della materia, perché il suo partner è decisamente personaggio fuori dall’ordinario. Merzbow, al secolo Masami Akita, è probabilmente il terrorista sonoro più accreditato e prolifico al tempo stesso oggi in circolazione. Attivo sin dal 1979, ha invaso il pianeta con qualche centinaio di ellepì, nastri e cd a suo nome, tra cui il mostruoso Merzbox, 50 cd di inediti. Merzbow crea rumore puro, inseguendo un’estasi al negativo, noise che spesso predilige insistere sulle alte frequenze, quelle che più feriscono, un devastante effluvio di suoni contorti, accartocciati, stridenti, emissioni strazianti, fischi, rumore bianco. Uno, insomma, che non si tira indietro di fronte a nuove esperienze e così, ogni tanto, incontra musicisti “più normali”, lasciandosi solo in parte imbrigliare, senza rinunciare del tutto al ruolo di guastatore sonoro. Il risultato è spesso sorprendente. È capitato con Christoph Heemann (Sleeper Awakes on the Edge of the Abyss, Streamline, 1993) e più di recente con la band giapponese dei Boris. Meno strambo che a prima vista, quindi, l’incontro ha dato luogo a sei maestose tracce di elettronica pulsante e abrasiva. Suoni e rumori tritati insieme, pestati, fusi e ben amalgamati, pur lasciando a tratti evidente la paternità del materiale originario. Un matrimonio alchemico perfettamente riuscito. Gennaro Fucile |
di Richard Pinhas & Merzbow
titolo Keio Line
etichetta Cuneiform
distribuzione Ird
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