Reunion. Live in London
di Trevor Watts, Peter Knight
Trevor Watts estrae un altro nastro dai suoi cassetti, chissà quanto zeppi di materiali inediti. Si tratta della registrazione di una spettacolare performance insieme al violinista Peter Knight il 16 luglio del 1999 al pub Queen’s Arm di Londra. Un solo brano di 56 minuti senza la minima caduta di tono, grazie a un’intesa praticamente perfetta. I due si erano già frequentati in passato, da cui il titolo Reunion, poiché Knight, ex Steeleye Span (gloriosa band del folk britannico), aveva suonato negli anni Ottanta nella prima delle grandi formazioni create da Watts, fortemente segnate dalla musica e dai ritmi dell’Africa: la Moiré Music. Knight partecipò proprio al primo album, Trevor Watts Moiré Music (Arc 02), ellepì fuori catalogo ma di cui è possibile ascoltare un lungo estratto dalla traccia Mr. Sunshine nell’antologia Elastic Jazz (Auditorium Edizioni). La collaborazione del violinista proseguì poi in un altro ensemble di Watts, l’Original Drum Orchestra. |
di Trevor Watts, Peter Knight
titolo
Reunion. Live in London
etichetta Hi4Head Records
distributore www.hi4headrecords.com
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Nell’arco della sua carriera, Watts ha periodicamente sperimentato la formula del duo, prima e per lungo tempo con John Stevens (nella versione “compressa” dello Spontaneous Music Ensemble) e poi, in tempi più recenti, con il pianista Veryan Weston e con il percussionista Jamie Harries. L’esperienza con Stevens lo portò a definirsi e a divenire nei fatti un “musicista singolo che suona come un collettivo” in grado di stabilire una costante empatia con il proprio partner, e le prove successive hanno convalidato la buona sostanza di questa pratica. In quasi un’ora i due fanno e disfano di tutto, da accenni di improvvisazione di matrice jazzistica a malinconiche arie folky, da brevi accenni cameristici di sapore barocco ad altri più in odore di musica contemporanea, nonché vaghi sapori mediorientali. Un gioco di chiaroscuri, di silenzi, di pieni, momenti solistici che vedono i due prestarsi vicendevolmente al ruolo di accompagnatore e soprattutto due grandi solisti che danno luogo a un raffinato interplay. Dal nulla nascono e poi evaporano splendidi crescendo, come quello che prende forma grosso modo a metà del concerto, esaltante corsa in tandem, un rilanciarsi a vicenda per arrivare alla miglior sintesi di quel concetto di folk jazz che si ipotizzò quasi quarant’anni fa a proposito di un altro gruppo ai confini tra il folk e il jazz (e il blues): i Pentangle. Forse non è un caso che, nel 1995, Knight si sia ritrovato a registrare un disco in duo con Danny Thompson, fine musicista, contrabbassista, membro proprio dei Pentangle. Entrando più nel dettaglio della traccia, all’inizio Watts al sax soprano utilizza anche la tecnica della respirazione circolare dando la sensazione, a tratti, che all’opera ci siano due violini. Inoltre, il suo spiccato senso della melodia è evidente sin dalle prime battute. Successivamente, dopo poco più di nove minuti, il pizzicato di Knight introduce il sax contralto, dando luogo a un magistrale dialogo tra gli strumenti, con Watts che si concede una fiammata di sapore free. Segue progressivamente (siamo all’incirca al ventesimo minuto) una sorta di rarefazione. La conversazione tra i due strumenti scivola in un breve stato di sospensione, giocando a confondere l’ascoltatore, portato a chiedersi chi suona cosa. Scarne le note suonate in questa fase che prelude a un movimento contrappuntistico con i musicisti impegnati a sviluppare poi un’esaltante improvvisazione melodica. È uno dei momenti in cui meglio si evidenzia la straordinaria coesione tra i due. Siamo a metà del percorso, nel vivo di quella prodigiosa progressione di cui si è già detto. Le note scorrono lungo molteplici affascinanti percorsi, procedendo per reiterazioni progressive e la qualità della registrazione rende ancor più coesi i timbri. Nel movimento finale, circa l’ultimo quarto d’ora, il dialogo si infittisce e il maestoso lavoro all’arco di Knight consente al contralto di Watts prima di imperversare in un tormentato andirivieni melodico e poi di fluttuare, quasi di librarsi sui paesaggi sonori disegnati dal compagno. Lentamente, all’unisono, ci si avvia alla fine lasciando impercettibilmente cadere il sipario. Un gioiello. Auguriamoci altre incursioni di Watts nel proprio scrigno. |
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Gennaro Fucile |
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