DO5
di Mahogany Frog
Phil Manzanera registrò il suo primo acclamato album solista Diamond Head nell’inverno del1975. Impiegò esattamente 26 giorni. Giorni intensi perché il chitarrista riunì per l’occasione anche il suo vecchio gruppo, i Quiet Sun e incise un intero set di composizioni della band, scioltasi tre anni prima, che vennero incluse nell’album postumo Mainstream. Un album mitico a partire dalla copertina surreale con in primo piano un grande e sinistro sole vermiglio e, sullo sfondo, la Torre Eiffel. I Quiet Sun erano, insieme a Manzanera: Bill McCormick (basso), Dave Jarrett (tastiere) e Charles Hayward (batteria). Un gruppo capace di mettere a ferro e fuoco la materia sonora con idee, suoni e sibilanti rumori che sembravano provenire da dimensioni sconosciute. Artefici la Fender Telecaster di Manzanera mai così lucida nello sferrare assoli torrenziali e sferzanti, una ritmica implacabile e, soprattutto, un liquido tappeto di tastiere elettriche (Fender Rhodes, Farfisa, Hammond ecc.) che espandevano i limiti naturali della scansione rock (c’era in studio anche un certo Brian Eno a manovrare sintetizzatori e ad imbastire i suoi trattamenti obliqui). Un incrocio, dissero i critici di allora, tra i Soft Machine più progressive e i Lifetime di Tony Williams per la potenza ancestrale del muro del suono sviluppato da Manzanera e compagni: energia allo stato puro e, a dispetto del nome del gruppo, per nulla quieta. Ebbene questa lunga premessa era necessaria per introdurre i canadesi Mahogany Frog e DO5, la loro quinta fatica discografica. Il loro magmatico sound, ha molto in comune con i Quiet Sun. Anche qui cascate di riffs e una cacofonia di organi vintage, sintetizzatori analogici, trombe ed effetti speciali ottenuti attraverso un sistema di registrazione e amplificazione solitamente utilizzato per set acustici che dona al tutto una solidità fuori dal comune. Una massa multicolore di vibrazioni heavy che metterà a dura prova le vostre casse. Tra le nove tracce che compongono D05 si ricordano, in particolare, le due mini suite T-Tigers&Toasters e Lady Xoc & Shield Jaguar ricche di spunti melodici e la breve, ma maestosa, Last Stand At Fisher Farm: colonna sonora per uno spaghetti western futurista che, pensiamo, non dispiacerebbe affatto al maestro Ennio Morricone. Claudio Bonomi |
di Mahogany Frog
titolo DO5
etichetta Moonjune Records
distribuzione Ird
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More Great Hits!
di Family Fodder
Aleggia lo spirito di Jorge Luis Borges nei Family Fodder, che per la terza volta ritornano in circolazione con presunti grandi successi, Finzioni, appunto. Pubblicarono prima su vinile per la belga Crammed nel 1981: un Greatest Hits che inaugurò la serie dei presunti hits antologizzati, compresa la regola di includervi degli inediti (nei grandi successi!); poi nel 1998 arrivò, proprio dalla Jungle, Savoir Faire: The Best of Family Fodder (sempre con qualche inedito) e ora questo doppio More Great Hits! che di tracce mai ascoltate ne contiene quattro. Il gruppo ebbe vita breve: non sarebbe neanche preciso chiamarlo gruppo, perché una formazione stabile non l’ebbe mai. Tutto ruotava intorno al fondatore Alig Fodder e in parte alla sua compagna di allora, la chanteuse Dominique Levillain. Si avvicendavano musicisti di grande spessore, provenienti da formazioni musicali di frontiera, spericolati sperimentatori come Rick Wilson e Mick Hobbs (The Work) e i This Heat. Il collettivo/famiglia si diede da fare tra il 1979 e il 1983, gli anni da cui pesca questa abbondante antologia che tra b-side, inediti, Ep ed Lp ne raccoglie praticamente tutto il meglio. La band non macinava successi, ma aveva un repertorio che di pezzi meritevoli – anche da classifica – ne poteva in effetti vantare. Motivetti ossessivi, indimenticabili, spesso trascinati alla conclusione con un ritmo via via sempre più parossistico, deliziose pop song farcite di suoni tritati, rumori di passaggio e cacofonie sparse, che in seguito trovarono nuova linfa, tra gli altri, negli Stereolab. Tra le migliori: Debbie Harry, Savoir Faire, Love Song, Playing Golf. Su tutte spicca un surreale Erik Satie a tempo di reggae. La composizione prescelta è la prima delle Gnossiennes, ribattezzata The Big Dig, il best della sana follia dei Family Fodder. Gennaro Fucile |
di Family Fodder
titolo More Great Hits!
etichetta Jungle Records
distribuzione Goodfellas
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Force of Nature
di Mike Osborne
Mike Osborne è scomparso, dopo una lunga malattia, un anno fa. Aveva smesso di suonare però molto prima, nel 1982. Force of Nature raccoglie quella che è forse l’ultima testimonianza live ufficiale di questo straordinario alto sassofonista, il più grande della scena britannica secondo molti critici. Due i concerti in scaletta: Colonia (ottobre 1980) e Londra (aprile 1981), entrambi in quartetto (tra cui spicca alla tromba, un ispirato Dave Holdsworth). Ascoltandoli si è catturati dalla tensione creativa che emana Osborne: una vera “forza della natura” capace di trascinare compagni e pubblico in una trance senza punto di ritorno. Come la sua musica, urgente, lontana da ogni compromesso, ma allo stesso tempo rigorosa, aperta anche a spazi melodici e, soprattutto, mai provocatoriamente radicale. Una caratteristica rara per un improvvisatore puro come era Osborne. La lunga Ducking&Diving (oltre 42 minuti), tratta dal concerto tedesco, è emblematica dell’originalissimo free di Osborne. L’idioma di Osborne va ben oltre la lezione dei “cugini” americani, come Ornette Coleman, Jackie McLean, Phil Woods , e si distingue per una spiccata originalità. La sua voce è inconfondibile come quella di un altro jazzista suo contemporaneo, Gary Windo (1941-1992): compagno di ance negli anni Settanta nella Brotherhood of Breath di Chris McGregor, era anch’egli animato di una furia creativa fuori dal comune che dava al suo tenore un timbro unico. Claudio Bonomi |
di Mike Osborne
titolo Force of Nature
etichetta Reel Recordings
distribuzione
www.reelrecordings.org |
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