Condotta di vita
di Ralph Waldo Emerson
Nella prima delle cinque lezioni tenute all’Università di Belgrano (Buenos Aires), intitolata Il libro, Jorge Luis Borges affermò che: “Emerson concorda con Montaigne sul fatto che dobbiamo leggere ciò che ci piace, che un libro deve essere una specie di felicità”. La lettura dello stesso Emerson conferma la bontà di questa riflessione, essendo fonte di gioia autentica e non solo quando incontriamo il poeta. Immergersi nella sua prosa è concedersi l’autentico piacere della lettura. Non si tratta però di un puro intrattenimento formale. Questi saggi, raccolti in volume e pubblicati originariamente nel dicembre del 1860, e per la prima volta in Italia nel 1923, con il titolo La guida della vita, sono una vera miniera di intuizioni folgoranti. Lo furono anche per Friedrich Nietzsche, che lesse, studiò e metabolizzò non poco Emerson, avvicinandosi, appena diciassettenne, alla “filosofia nella vita”. Bastino, per chi ha familiarità con il filosofo della volontà di potenza, i versi che introducono al saggio intitolato Potenza: “La sua lingua aveva musicalità / e la mano aveva armata d’abilità / il suo viso era stampo della beltà / e il suo cuore trono della volontà”. Zarathustra è dietro l’angolo. Non a caso, sul legame tra i due calò, in pieno fascismo, un assordante silenzio: troppo intollerabile l’idea che proprio l’intellettuale simbolo della libertà, il filosofo della democrazia, solare, ebbro di vita, fosse il maestro occulto di quello che il Terzo Reich aveva eletto a proprio vate e filosofo di riferimento. Una singolarità di quelle che proprio Borges avrebbe amato annotare. Preziosa la ricostruzione accurata delle vicende critiche di questi saggi – nati da materiali utilizzati per una serie di conferenze tenute a Pittsburgh nel 1851 – che in postfazione compie Beniamino Soressi, cui si deve la traduzione di questi testi. Gennaro Fucile |
di Ralph Waldo Emerson
titolo Condotta di vita
editore Rubbettino, Soveria Mannelli, 2008
pagine 307
prezzo € 24,00
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Video education
di Luciano Di Mele, Alessia Rosa, Gianna Cappello
La scuola italiana, che come apparato per abitudine e vocazione tende ad essere chiusa alle innovazioni, da tempo si è aperta a quelli che, con inimitabile estemporaneità, e in tempi di forsennata accelerazione del mutamento, definisce “nuovi linguaggi espressivi”. Il cinema, per intenderci, e la televisione. I risultati sarebbero stati devastanti (come ebbe a dire
qualche tempo fa Ermanno Detti per il fumetto) se, per fortuna, la cura
dell’approccio a questi linguaggi non fosse diventata
occasione da parte di insegnanti ed educatori consapevoli e
appassionati per provare ad usare le tecnologie
dell’audiovisivo per offrire a alunni e studenti la
possibilità di imparare a fruire e produrre in maniera
consapevole le immagini in movimento. Naturalmente spesso in maniera
semiclandestina e mal tollerata. Da queste esperienze sono nate diverse
pubblicazioni, di cui questa, ultima solo in ordine di tempo, appare
come la più completa e esaustiva, oltre a quella in cui
più esplicitamente appare – neanche tanto sotto
traccia - la consapevolezza di come la produzione di audiovisivi sia il
frutto di un buon lavoro sulla scrittura, prima di tutto, ma
altrettanto di una rigorosa organizzazione produttiva. Quindi, della
affermazione della sintesi di estetica e produzione che presiede ai
grandi media espressivi e all’immaginario della
modernità. Adolfo Fattori |
di Luciano Di Mele,
Alessia Rosa, Gianna Cappello titolo Video education
editore Erickson, Trento, 2008
pagine 228 + dvd-rom allegato
prezzo € 20,50
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La commedia dell’innocenza
di Guido Vitiello
Forse il poliziesco è stato il primo genere letterario di massa su cui si è esercitata la critica moderna per definire strutture, regolarità, formati che necessariamente rispondessero ad una logica “meccanica”, ripetuta, ordinata. Le metafore più utilizzate rimandano alla partita di scacchi, all’indagine (pseudo)scientifica, alla gara fra il colpevole e l’investigatore. Una dimensione connessa alla razionalità, alla modernità, al procedere del controllo dell’uomo sulla natura, al bisogno di ristabilire l’ordine in opposizione al caos prodotto dalla morte violenta. In questo volumetto godibile e colto, lavorato tutto con ironia e leggerezza, Guido Vitiello ribalta questa posizione, e propone invece un’altra ipotesi: che il lavoro del detective, piuttosto che tendere a scoprire l’assassino, serva a salvare gli innocenti, eliminandoli man mano dal novero dei sospetti, attraverso il lavoro di indagine e di ricostruzione della verità – che raramente reggerebbe ad una verifica rigorosa dal punto di vista logico e metodologico. Anzi, secondo Vitiello, in realtà, piuttosto che essere una delle forme in cui si esprime lo spirito della razionalità e della secolarizzazione – che deve portare il sapere laddove c’è l’oscurità di una natura incontrollabile – la detection story riproduce e rielabora la dimensione del sacrificio rituale, della individuazione di un “capro espiatorio” che assuma su di sé tutto il Male che una comunità produce, e che quindi espii per tutti i peccati che si accumulano, restituendo alla comunità la sua innocenza. Inevitabile quindi il riferimento a René Girard prima di tutto, ma anche a Umberto Eco e Thomas Sebeok, a Roger Caillois e Michel Butor, dopo naturalmente aver richiamato e discusso i classici studiosi del romanzo poliziesco. Adolfo Fattori |
di Guido Vitiello
titolo
La commedia dell’innocenza Una congettura sulla detective story editore Luca Sossella, Roma, 2008
pagine 159
prezzo € 15,00
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