Le carte del fumetto
di Gino Frezza
Il fumetto, coetaneo del cinema e della radio, è stato per l’intero Novecento – e continua ad essere, in questo scorcio del terzo millennio – uno dei media cruciali nella definizione e nella restituzione dell’immaginario della contemporaneità. La tecnologia “elementare” su cui si basa – al limite carta-e-matita – piuttosto che possibile elemento di fragilità è la pietra su cui si fonda la sua forza comunicativa con il pubblico, per le potenzialità che ha di evocare le materie e le sostanze dell’immaginazione e di gestire la dialettica fra il movimento cui allude e la stasi che realizza. In questo, piuttosto che esserne tributario, accompagna il cinema nel suo percorso linguistico, vi contribuisce, se ne arricchisce a sua volta. Questa una delle riflessioni possibili rintracciabili nell’ultimo saggio di Gino Frezza, appassionato e attento studioso dei fumetti da sempre, che con Le carte del fumetto riprende e sintetizza i suoi lavori precedenti, riaprendoli a partire dalla riflessione sugli approdi della tarda modernità, dal punto di vista sia dell’evoluzione dei media, sia dell’arricchirsi della ricerca critica. Nel libro il ricercatore napoletano riprende e rielabora quindi temi già affrontati in passato, ma con un sguardo più avvolgente, complessivo, sistematico. In questo senso la prima parte, più teorica, che attualizza la sua ricerca, senza rinunciare a approfondite esemplificazioni e citazioni, si legittima nella seconda parte del volume, dove Frezza compie il percorso inverso, recuperando e analizzando singoli personaggi, serie, tematiche, per riprendere e rafforzare le considerazioni sviluppate nella prima parte del suo saggio. Ricco – e necessario ad una migliore lettura – anche il corredo iconografico offerto in coda al volume. Adolfo Fattori |
di Gino Frezza
titolo Le carte del fumetto.
Strategie e ritratti di un medium generazionale editore Liguori, Napoli, 2008
pagine 343
prezzo € 22,50
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La trasformazione dell'intimità
di Anthony Giddens
Il Mulino riedita un celebre studio sulle relazioni intime – scritto nei primi anni Novanta del secolo scorso – di Anthony Giddens, uno tra i più famosi sociologi della tarda modernità. Giddens analizza i cambiamenti che pervadono oggi la sfera dell’intimità e con essa anche le trasformazioni nell’alveo della sessualità, nel suo essere intreccio tra senso del sé individuale, controllo della fisicità e disposizioni sociali. Secondo il sociologo inglese, oggi il modello di sessualità prevalente è quello duttile, che trascende le finalità procreative e connesse alle relazioni parentali e generazionali, per diventare solo uno strumento di affermazione personale. Si passa inoltre dalla pervasività dell’amore romantico, fatto dell’idea di un progetto sentimentale sublime ed immortale basato però sulle disuguaglianze di genere, alla cosiddetta relazione pura, che si rifà all’amore convergente: i legami si fondano solo sull’accordo esplicito tra i due partner equiparati, sul loro reciproco dare e avere in termini sentimentali o finanche sessuali. La relazione pura prevede così una natura specificamente “contrattuale” del legame affettivo, per cui tutto, perfino la fiducia personale, risulta frutto di un interscambio costante. Questa tipologia amorosa si presenta allora come sostanzialmente precaria, dal momento che il legame si interrompe ogni qualvolta uno o entrambi i partner pensano di non ricevere soddisfazioni e conferme identitarie immediate. Luca Bifulco |
di Anthony Giddens
titolo
La trasformazione dell'intimità. Sessualità, amore ed erotismo nelle società moderne editore Il Mulino, Bologna, 2008
pagine 217
prezzo € 14,00
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I giusti nel tempo del male
di Svetlana Broz
È possibile che da un giorno all’altro persone che fino a un momento prima avevano amato, sofferto, lavorato, giocato, pianto e riso insieme trasformino in una infernale macelleria la loro terra, prendendo a torturarsi e uccidersi fra loro solo per il nome, il domicilio, l’aspetto? Sì, e l’umanità l’ha visto tante volte – anche se sembra meravigliarsene sempre, a futura memoria. E lo dimostra, indirettamente, una circostanza riportata nella presentazione di Andrea Canevaro a questo volume: i dubbi e la diffidenza ostinata di alcuni all’arrivo di Svetlana Broz in Italia, a parlare con dei bambini del suo lavoro nella ex Jugoslavia. Un medico, fondatrice a Sarajewo di una Ong (la GARIWO) per educare i giovani al coraggio civile, che ispira diffidenza nelle anime belle solo perché nipote del Maresciallo Tito: il nome, la parentela. L’altro dato che permette di rispondere affermativamente alla domanda è in una considerazione della Broz sempre a inizio volume: Hutu e Tutsi, in Rwanda, a metà degli anni Novanta cominciano a scannarsi sulla base di un artificiosa distinzione inventata dai belgi all’inizio del Novecento: la forma del naso. Basta poco, quindi, a spalancare le porte al Male. E se l’Occidente ha le sue responsabilità per quanto riguarda il “Terzo Mondo”, cosa dire dei Balcani? Un luogo a noi contiguo, che fa parte della storia d’Europa, della sua memoria, della sua mitologia. Un libro necessario, che trae la sua forza dal tono delle testimonianze che riporta: piane, referenziali, attonite, ancora, dei sopravvissuti. Come se sia impossibile accettare l’orrore. Il Male, insomma, esiste, ed è sempre pronto a irrompere e soverchiarci. Né c’è bisogno di Alan D. Altieri, Stephen King o James Ellroy per ricordarcelo. Basta la banalità del reale. Adolfo Fattori |
di Svetlana Broz
titolo I giusti nel tempo del male.
Testimonianze dal conflitto bosniaco editore Erickson, Trento, 2008
pagine 464
prezzo € 20,00
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