Leggendo
questo che diverrà poi un libro vero e proprio possiamo
comprendere la variegata personalità del generale
ragazzo. Custer non appare folle, malvagio , spietato, come a molti
piace credere. Qui osserviamo un amante della nazione, della famiglia,
rispettoso dei valori e delle tradizioni indiane, ma comunque deciso a
portare avanti quel processo di civilizzazione, che era per
lui (come per tutti gli altri cittadini americani del periodo)
necessario. Certo questo avrebbe portato alla progressiva scomparsa e
sudditanza delle tribù indiane; ma la storia
doveva seguire il suo naturale corso, Custer non poteva sottrarvisi, e
non merita certo di essere condannato, senza appello, per un pensiero
comune agli uomini del suo tempo. Appare quindi necessario leggere
Custer per capirlo appieno; non leggere di Custer. Anche chi scrive ha
le sue opinioni su quest’uomo, forse non condivisibili da
tutti, ma proprio per questo vale l’invito poco prima
espresso. Con la sua autobiografia giungiamo così al
capitolo finale della sua vicenda storica. Custer aveva
disperatamente bisogno di una gloriosa vittoria come quelle del
passato; perché? Innanzitutto per fornire nuova linfa al
culto di se stesso come grande condottiero; altri ritengono invece che
il partito repubblicano, stanco del presidente Ulysses S. Grant,
travolto tra l’altro da alcuni scandali, e che aveva
indirettamente avuto qualche scaramuccia con lo stesso Custer, volesse
candidarlo alla presidenza degli Stati Uniti. Ci interessa poco, e non
faremmo altro che ripetere eventi stranoti e poco utili ai fini di
questa narrazione. Custer ottenne come comandante in seconda la guida
del VII Cavalleria del Kansas, pronto a marciare verso il destino. Cosa
andò storto quel 25 giugno del 1876? Forse
l’arroganza del generale, che decise di suddividere in
più tronconi il suo squadrone? Forse la stanchezza degli
uomini, a cui Custer concedeva poco? Forse il fatto che i rinforzi non
arrivarono per tempo? Ma sarebbero veramente stati utili? Forse il
fatto che nessuno, e dico nessuno, si sarebbe aspettato di vedere unite
insieme per la prima e ultima volta nella storia indiana
così tante tribù e così ben
organizzate secondo una valida disciplina militare? Il 25 giugno del
1876 morì l’uomo, ma nacque il mito; non
importa se meritato o meno. A parere di chi scrive il peggior nemico di
Custer fu proprio se stesso. Affrontare il suo io non era mai stato
facile. Si può perciò supporre che egli bramasse
una morte valorosa proprio perché questa lo avrebbe reso
eterno? Chissà allora se il Little Big Horn fu davvero la
sua disfatta oppure la sua apoteosi.
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