Nella cuccia del consumo di Gennaro Fucile | ||
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Cico. In casa non è lui a fare la spesa, ma ci si preoccupa sempre di soddisfare il suo fabbisogno alimentare cercando, al tempo stesso, di tenere conto del suo gusto-piacere e della sua salute-benessere, mirando sempre alla sua longevità e al suo benessere spirituale, poiché, volendo, si può anche fare compere in petshop equo-solidali. Cico ricambia da par suo: scodinzola. C’è un feeling intenso, fatto di reciproca comprensione e fiducia, costruito a partire dai suoi bisogni primari (nutrirlo, consentirgli i bisogni, tenerlo pulito) e alimentato dalla sua autenticità e lealtà. La comunicazione non soffre della mancanza della parola, anzi spesso risulta rinforzata grazie alla potenza espressiva del suo sguardo e del suo body language, unitamente al poterlo toccare e sentire anche attraverso l’esperienza olfattiva. Cico. Il doppelgänger
del consumatore. A rischio anche di obesità. Lui
o un altro, un cane da compagnia qualsiasi, sarà utile per
accompagnarci nell’esplorazione della natura intima del
consumo, pratica nella quale si afferma la nostra identità,
anzi le identità mutevoli che caratterizzano la
frammentazione del soggetto contemporaneo. Una modalità di
ri-costruzione temporanea dell’io come ben riassume April
Benson nel suo I Shop Therefore I Am3, ovvero Compro
dunque sono, titolo che espicitamente parafrasa Descartes.
Scrive la Benson: “Lo shopping… è un
modo con cui cerchiamo il nostro posto nel mondo. Sebbene sia svolto
negli spazi pubblici lo shopping è essenzialmente
un’esperienza intima e personale… è un
processo interattivo attraverso cui dialoghiamo non solo con le
persone, i luoghi, le cose, ma anche con noi stessi”. | ||
[1] (2) [3] [4] | ||
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3. April L. Benson, I Shop Therefore I Am:
Compulsive Buying and the Search for Self, Jason Aronson Inc, Northvale, New Jersey, Usa, 2005. Citato in Sociologia del lavoro n.108: Il consumo come produzione,
Franco Angeli, Milano, 2008.
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