La
dimensione iperbolica della narrativa di Alan Altieri lascia
futuro prossimo della Los Angeles di Città d’ombre e del
Kondor e si mette al servizio di una narrazione storica
ambientata in uno dei periodi più importanti della storia
europea, per certi versi una delle fasi di gestazione della
Modernità: la Guerra dei Trent’anni, conflitto di fondazione
dello statuto di tutte le guerre civili successive, della
giustificazione divina dei massacri, della logica della terra
bruciata e dello sterminio per motivi ideologici (quelli
proclamati in pubblico: le motivazioni private sono altra cosa,
sicuramente meno ammissibili, se non in un confessionale
compiacente…)
Su
questo sfondo di devastazioni, saccheggi, carestie e massacri si
svolge la vicenda di uno strano guerriero invincibile e dei suoi
compagni di strada, gente che ha sofferto e si avventura fra le
sofferenze del mondo, guidata da una logica sconosciuta e lontana,
quella dei guerrieri ninjia, e di una monaca indecifrabile e
coraggiosa. E naturalmente di un bestiario di farabutti della
peggiore specie, appartenenti alla nobiltà secolare e a quella
sacra, di fronte ai quali anche l’Eimerich dell’amico di
Altieri, Valerio Evangelisti, sembra un brav’uomo, e dei loro
uomini di mano, equamente divisi fra mercenari e uomini di chiesa.
Il
romanzo, veloce, colmo di colpi di scena, e di quelle situazioni
cinicamente melodrammatiche cui ci ha abituato l’autore, mette
al suo centro la capacità degli uomini di infliggere sofferenza e
dolore, di avere in totale spregio la vita e i destini degli
altri, le origini di una lunga scia di sangue che porta
all’oggi, e che cominciata con un conflitto fra dottrine vicine
(cattolici e protestanti) si è dipanata fino ad oggi (pensiamo
all’Ulster), trasferendosi da quella cristiana ad altre
religioni (pensiamo alle guerre fra sciiti e sunniti…), e
mostrando come, spesso, la religione si accompagni più volentieri
all’intolleranza che alla comprensione e alla carità.
La
dimensione universale e apocalittica della catastrofe messa in
scena da Altieri rimanda all’oggi, e a uno dei nostri futuri
possibili, come d’altra parte lo stesso autore spiega nelle note
finali, quando dichiara di essersi ispirato alla fantascienza post
guerra atomica: la polvere, il vento, i cieli plumbei, il caldo
feroce d’estate, il freddo micidiale d’inverno, la morte dei
sentimenti e delle anime provengono direttamente da
quell’immaginario, creando un ideale corto circuito fra il
nostro più oscuro passato e le previsioni peggiori del nostro
futuro.
Insomma,
le polvere, il sangue, le mosche, l’odore che Fabrizio De
André cantava in uno degli Intermezzi del suo Tutti
morimmo a stento tanti anni fa…
Unica speranza, i legami d’amore e d’amicizia
che legano fra loro i pochi ancora capaci di sentimenti umani,
come scopriremo nel finale, melodrammatico ma ineccepibile, di
questo western fuori tempo infinito e da divorare in una volta
sola.
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