Il viaggio e la strada,
ipostatizzati a condizione di vita e a palcoscenico assoluti
rimangono i temi fondamentali della narrativa di McCarthy,
instancabile nel suo lavoro di decostruzione e ricostruzione del
Mito americano.
Partito dal western, con Meridiano
di fuoco e con la “trilogia della frontiera” (Cavalli
selvaggi, Oltre il
confine, Città della pianura, tutti pubblicati da Einaudi), nella sua
riscrittura della storia americana, lo scrittore approda alla
narrazione del futuro. Un futuro oscuro e disperato in cui,
all’indomani dell’Apocalisse, un uomo e suo figlio vagano per
le strade di un paese sconvolto, bruciato, coperto di cenere,
segnato dal buio e dal freddo, cercando di sopravvivere con gli
ultimi cascami della “civiltà” umana.
Le parole, i gesti, le azioni,
sono ridotti al minimo.
Padre e bambino non hanno bisogno
di parlarsi più di tanto, nella solitudine che li avvolge, e nei
pericoli che li circondano e ogni tanto li sfiorano.
Intorno a loro, sporadici detriti
di una umanità degradata e imbarbarita, che ha perso qualsiasi
traccia di sentimento.
In pratica, la faccia oscura
dell’America del futuro descritta dall’ironia di George
Saunders in Il declino delle
guerre civili americane di cui abbiamo scritto nel n.5 di
“Quaderni d’Altri Tempi”. (cfr. http://quadernisf.altervista.org/numero5/indexapocalisse.htm).
Il rischio era di ripetersi, o di
replicare una operazione simile a quella che in Apocalittici e Integrati Umberto Eco stigmatizzava nel Vecchio
e il mare di Hemingway: il ripetere se stesso senza più
forza, imitandosi, e cercando di sostituire la creatività con la
forma e la esibizione di elementi che rimandassero a valori
mitici, quasi biblici.
McCarthy
conserva invece la forza delle prime narrazioni, adeguando
perfettamente il registro narrativo alle necessità di questo
racconto e di questi personaggi, nella creazione di un mondo in
cui la speranza, tutte le speranze, sono morte, in cui insieme al
passato è scomparso anche il futuro, e in cui sopravvivono solo
la caparbia volontà di sopravvivenza e il testardo amore
reciproco di un padre e di un figlio.
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