Dare forma alle emozioni
di Roberto Perpignani
Edizioni Falsopiano, Alessandria, 2007
Pagine: 299

Prezzo: € 13.00

 

 

 

 





 

 

 

Dare forma alle emozioni di Roberto Perpignani

 

Il montaggio di un’opera cinematografica è un’operazione consistente nel tagliare e giuntare tra loro quei pezzi di pellicola che comporranno un film. Mentre il film rappresenta il punto di vista del regista che lo dirige, per quanto esso sia comunque strettamente connesso alla capacità degli attori e dello sceneggiatore di riuscire a rendere questo punto di vista; il montaggio costituisce invece una sorta di elevazione a potenza del punto di vista del regista poiché il montatore seleziona e dà un senso ad una serie di immagini e suoni che sono stati già scelti in una fase precedente. Il montaggio rappresenta quindi uno dei passaggi più importanti, complessi e delicati che è necessario affrontare nel momento in cui si realizza un film. E di questo Roberto Perpignani, storico montatore del cinema italiano, ne è sempre stato molto consapevole. Nel suo libro Dare forma alle emozioni, edito da Falsocinema nel 2006, Perpignani non a caso propone un’analisi del montaggio basata sull’interpretazione soggettiva dell’individuo. Questa scelta porta con se una vera e propria rivoluzione gnoseologica. L’interpretazione impone infatti uno sforzo costante di continua fondazione dei valori poiché questi ultimi, non essendo più considerati come entità assolute, sono sottoposti, come la realtà nella quale ogni vivente si trova ad interagire, in una condizione di perenne divenire. La fine dei valori oggettivi naturalmente non sottintende assolutamente quello stato di anomia e di cieca affermazione, anche nelle forme più spregevoli, degli interessi individuali. Non riconoscere nulla come definitivo rende necessario uno sforzo di maggiore responsabilità in ogni azione che si compie. Si rende necessaria pertanto la capacità di assumersi la responsabilità per ogni forma di azione o pensiero; questa necessità nasce proprio dal fatto che non ci si può più affidare, o per meglio dire, nascondere dietro il paravento di quei valori considerati per lungo tempo come oggettivi. Il montaggio in quest’ottica si pone come una delle possibili metafore della condizione umana. Perpignani infatti definisce il montaggio come “l’operazione che consente alle forme della comunicazione audio-visiva di costituirsi in rappresentazione attraverso procedimenti di accostamento di elementi visivi e sonori”. L’autore di questa definizione non a caso usa l’espressione “accostare elementi visivi e sonori”, l’accostare infatti è un atto proprio del confrontare, dell’accomunare, un atto che costituisce cioè il risultato tangibile di una interpretazione soggettiva. In tal senso sarà il montatore che deciderà quali elementi visivi e sonori dovranno essere accostati e quali scartati. Questa operazione, avendo però come oggetto delle immagini in movimento, risulta essere piuttosto delicata giacché le immagini in movimento sono percepite dallo spettatore come verosimili, ossia come qualcosa che è quasi realtà. Il verosimile artistico, riordinando sistematicamente una serie di elementi con una motivazione coerente, dà un significato organico al materiale che utilizza, al punto che può apparire, a chi lo percepisce dall’esterno, come espressione del vero. In altre parole il montatore lavora con materiali che potranno essere riconosciuti, da chi ne entrerà in contatto, non come il frutto di una interpretazione della realtà, ma come la realtà stessa: le immagini montate potranno essere trasformate in una espressione di oggettività. Perpignani su questo punto è molto chiaro: “Tutte le operazioni stilistiche e linguistiche, anche quelle dell’inverosimile, primo fra tutte il montaggio, sono state assimilate, accettate come assolutamente naturali in virtù della verosimiglianza della materia da un lato e dell’identità del processo costruttivo linguistico cinematografico con quello della mente umano dall’altro” (pp. 134-135). Questa particolare condizione può essere spiegata sia dalla qualità della mente creativa dell’autore che produce le immagini sia dalla mente “coocreativa dello spettatore” che le riceve. Lo spettatore in tal modo si trasforma da elemento passivo ad un attore attivo, anche se solo nella fase terminale, di questo complesso processo di comunicazione. Sembra in qualche modo riproporsi il problema weberiano dell’oggettività. Il filosofo tedesco infatti in un suo celebre saggio del 1904 propose una soluzione al rapporto tra la soggettività prodotta da ogni esperienza del vivente e la necessità di definire una conoscenza che potesse muoversi su basi valide per tutti. Weber, pur partendo da una prospettiva della realtà per la quale ogni azione umana è sempre espressione dello schema di valori individuali, sostiene che nella ricerca scientifica è comunque possibile individuare una forma di oggettività. Questa forma di oggettività tuttavia non può essere individuata nel contenuto di una ricerca, poiché tale contenuto sarà sempre, inequivocabilmente, espressione di una scelta individuale. L’oggettività teorizzata da Weber si riferisce invece alla metodologia utilizzata per realizzare una ricerca. In una ricerca quindi è il metodo, e non il contenuto, che può aspirare ad essere oggettivo.

Perpignani sembra implicitamente concordare con questa posizione. Il montatore italiano è infatti consapevole che il lavoro del regista cinematografico prima e del montatore poi sarà sempre e comunque il frutto di scelte individuali; ciò che invece può aspirare all’oggettiva sarà solo la metodologia utilizzata, giacché la metodologia, nel momento in cui viene esplicitata, diventa riproducibile, e dunque oggettiva. I contenuti invece rimarranno sempre confinati nella sfera della soggettività proprio perché imprescindibilmente connessi alle scelte e allo schema di valori di chi li realizza. Si pensi ad esempio al momento in cui un regista deve riprendere una certa scena o un montatore produrre una certa sequenza. Lo schema di valori del regista influenzerà il modo in cui tali riprese verranno effettuate scegliendone alcune anziché delle altre, così come una certa serie di accostamenti che un montatore deciderà di eseguire, escluderà di fatto altre infinite possibilità.

     Recensione di Roberto Colonna