L’itinerario del Soggetto nella Modernità e i suoi esiti,
determinati dal conflitto fra le promesse di un progresso
considerato senza soste e araldo di un mondo sempre migliore e
il rischio della spersonalizzazione e della artificializzazione
dell’individuo e di tutta la vita quotidiana.
Questo il
tema di fondo del saggio di Bifulco, che adopera come chiave per
illustrare e spiegare la crisi del Soggetto contemporaneo alcuni
dei film più significativi del Novecento, da Tempi Moderni
a King Kong a Metropolis a L’orgoglio degli
Amberson e altri ancora, quindi attraverso l’analisi di
alcuni dei temi portanti della Modernità. La metropoli,
prima di tutto (Metropolis, La folla), il contrasto fra
cambiamento e tradizione (L’orgoglio degli Amberson), la
guerra e la crisi economica (Niente di nuovo sul fronte
occidentale, Furore). Ma prima di tutto il tempo,
i cambiamenti nella sua organizzazione e nella sua percezione, a
causa dell’industrializzazione, dell’accelerare della vita
quotidiana, della spinta al futuro e delle resistenze del
passato e della nostalgia per un mondo percepito come più
semplice, più controllabile, più continuo.
Il tempo è
una delle categorie fondamentali su cui edifichiamo la nostra
percezione del mondo e la nostra identità: le sue trasformazioni
incidono quindi sulla stessa definizione e autopercezione del
Sé, e nei momenti di frattura, di “rottura del continuum
della Storia”, finiscono per creare sconcerto, disorientamento,
perdita della propensione a definire e assegnare sensi e
significati, direzioni e versi all’azione individuale e sociale.
L’autore
mostra bene come, in realtà, gli stessi fenomeni di
modernizzazione abbiano prodotto uno scontro cruciale fra
visioni del mondo: quella che nasceva con l’era moderna – era
della razionalità e della “strumentalità”, della programmazione
e della spinta al futuro – e quelle preesistenti, della
tradizione e della comunità, che sopravvivono e trovano
nuove forme di espressione che suonano non solo come nostalgia
per il passato, ma anche come ritorno a sistemi di valori
giudicati più significativi, diventando a volte il nucleo su cui
si è organizzata l’opposizione filosofica al rischio
dell’annientamento del Soggetto e delle sue istanze.
E lo fa
ricorrendo ai padri della sociologia: Max Weber, George Simmel,
Werner Sombart, Karl Mannheim, ma anche Walter Benjamin e Karl
Marx, oltre che a filosofi come Friedrich Nietszsche, Henry
Bergson e Ernst Mach.
Dal punto
di vista della capacità di sviluppare queste tematiche, è poi
centrale l’importanza data al cinema, come linguaggio tipico e
originale del Novecento, inestricabilmente legato allo sviluppo
dell’immaginario moderno, dei tempi della vita metropolitana,
dell’istituirsi della società di massa delle sue
rappresentazioni sociali.
Un libro
ottimo come accuratezza dell’analisi sviluppata, fluidità del
discorso, qualità anche didattica della sua organizzazione nel
sapersi riferire ai classici e ai concetti chiave del pensiero
sociologico novecentesco, come strumenti da adoperare per
ragionare sui film scelti e farne discendere le proprie
riflessioni.
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