Feargall
Quinn è il fondatore dell’omonima catena distributiva irlandese
sinonimo di eccellenza come poche in Europa. È un’azienda
modello con a capo un condottiero un po’ come da noi la catena
Esselunga, presente in Lombardia e Toscana, Veneto e Piemonte.
Il motto dei supermercati Quinn è il cliente è il sovrano
e tutto, ma proprio tutto viene fatto, anche con piccole
attenzioni creative, per ottemperare al primo comandamento della
società dei consumi: la customer satisfaction. Zygmunt
Bauman in questa agile e densa raccolta di saggi scritti in
occasione di conferenze tenute in varie città italiane (per
questo edite in italiano come prima edizione mondiale) veste i
panni implacabili del regicida, armato di lucida e inesorabile
logica punta al corpo del sovrano, anzi del despota, il
consumatore, l’anello successivo nella catena evolutiva della
società, l’essere che ha soppiantato il produttore e che detta
legge mosso dall’inesorabile coazione a ripetere l’atto
d’acquisto, il fare shopping. Bauman, ricordiamolo, è uno dei
più importanti sociologi contemporanei. Al centro delle sue
ricerche da sempre c’è il tema dell’identità contemporanea,
della sua formazione e dei suoi cambiamenti in rapporto con i
temi connessi ai grandi mutamenti di questi decenni: le grandi
migrazioni, la trasformazione degli uomini da produttori a
consumatori, il “senso” della morte e dell’impatto che questi
fenomeni hanno sulla vita quotidiana: incertezza, infelicità,
paura.
Temi che
qui vengono ripercorsi tutti, sulla nota dominante del consumo e
del suo rovescio, la povertà. Pezzo dopo pezzo, Bauman smonta
l’ideologia dei consumi e la libertà di scelta su cui si erige,
a iniziare proprio dalla sopra citata customer satisfaction:
“l’idea stessa di un consumatore soddisfatto non ha nulla né di
una motivazione né di uno scopo: si tratta, semmai, della più
terribile delle minacce.” (pag. 24). Già, se fossimo davvero
soddisfatti, smetteremmo di consumare e il mondo, questo mondo,
tracollerebbe. A picco l’economia e nell’abisso l’Io così
faticosamente costruito. Possesso e sesso. Forse oggi suona
appropriato quel semplice riff dei Rolling Stones, “I Can’t Get
No Satisfaction”, gridato agli albori della moderna società
liquida e che oggi oltrepassa il suo rimando diretto alle
turbolenze ormonali adolescenziali.
A seguire
Bauman analizza le cause remote delle dismissioni progressive
della politica, l’emergere di un nuovo fronte dell’impegno,
quelli dei movimenti dei consumatori, a ben vedere secondo lui
(e secondo noi) antidemocratici poiché instaurano un principio
secondo il quale “… delle persone non elette dal popolo, ma
animate da elevati fini morali, abbiano più diritto a
rappresentare le istanze dei cittadini che non i politici
regolarmente eletti attraverso un sistema imperfetto.” (pag.
38). Messo a nudo anche il web, l’altra alternativa globale alla
politica (si pensi a Beppe Grillo). Se questi sono i temi
principali dei primi due saggi, i due successivi sono dedicati,
come detto, al lato oscuro del consumo, quello che non solo
produce immondizia, spazzatura, scorie, avanzi, scarti, rifiuti
dai prodotti (e dei servizi) consumati, ma emargina, esclude,
taglia fuori i poveri, vite senza appello, perché: “… i poveri
di oggi sono prima di tutto dei non–consumatori o dei
consumatori inadeguati e difettosi: la loro colpa è quella di
non partecipare pienamente alle attività di consumo di beni e
servizi.” (pag. 57).
Lo sanno
bene le grandi catene distributive, attente a fidelizzare i
cosiddetti alto-spendenti e non versare una lacrima per la
perdita di un cliente con scontrino lillipuziano. Lo sanno bene
quando coccolano con le promozioni riservate ai soli titolari
delle fidelity card ed escludono i maledetti infedeli. A questi
poveri fatti in casa poi si aggiungono le masse dei disperati,
dei senza terra e senza tempo, esuli, profughi; Bauman qui
ribadisce la cruda analisi contenuta in Vite di scarto,
riprende in esame le barriere e tutto l’armamentario di difesa
del mondo agiato nei confronti dei poveri vecchi e nuovi.
Scontro durissimo, che mira a eliminare l’altro, che annovera
tra le vittime una bella conquista civile: il welfare state.
C’è una
via d’uscita a tutto questo? Qualcosa che non ci faccia
sottoscrivere, sconfitti, il titolo di un crudo documentario
sulla droga di qualche tempo fa, This Is Heaven, Fuck Your
Dreams! Forse sì. Bauman parte proprio dallo stato malandato
del welfare per suggerire nel saggio posto in appendice (Welfare
assediato. Sono forse io il custode di mio fratello?) la
necessità di una posizione radicale, con l’unica risposta
possibile alla vecchia domanda di Caino: “è meglio prendersi
cura di qualcuno che lavarsene le mani, essere solidali con
l’infelicità dell’altro piuttosto che esservi indifferenti, e,
in ultima istanza, è meglio essere morali, anche se questo non
rende più ricchi gli individui né le imprese” (pag.97).
Scelta non
esente da rischi, non solo perché non esiste nessuna garanzia di
successo, ma oltretutto per il rischio che anche la sfera etica
si trasformi in un nuovo business, frutto di accorte strategie
di marketing. Facciamo un nome, e di peso, per scendere nel
concreto, Chiquita, impegnata in campagne di comunicazione per
rifarsi l’immagine, da
colonizzatori a difensori dell’ambiente e delle realtà locali.
Ecco spiegato l’equilibrio instabile della morale ai nostri
tempi, è sempre sul punto di scivolare su una buccia di banana…
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