Homo consumens
di Zygmunt Bauman
Editore:
Erickson, Trento 2007,
Pagine:
101,
Prezzo:
€ 10,00.

 

 

 





 


Homo consumens
di Zygmunt Bauman

 

Feargall Quinn è il fondatore dell’omonima catena distributiva irlandese sinonimo di eccellenza come poche in Europa. È un’azienda modello con a capo un condottiero un po’ come da noi la catena Esselunga, presente in Lombardia e Toscana, Veneto e Piemonte. Il motto dei supermercati Quinn è il cliente è il sovrano e tutto, ma proprio tutto viene fatto, anche con piccole attenzioni creative, per ottemperare al primo comandamento della società dei consumi: la customer satisfaction. Zygmunt Bauman in questa agile e densa raccolta di saggi scritti in occasione di conferenze tenute in varie città italiane (per questo edite in italiano come prima edizione mondiale) veste i panni implacabili del regicida, armato di lucida e inesorabile logica punta al corpo del sovrano, anzi del despota, il consumatore, l’anello successivo nella catena evolutiva della società, l’essere che ha soppiantato il produttore e che detta legge mosso dall’inesorabile coazione a ripetere l’atto d’acquisto, il fare shopping. Bauman, ricordiamolo, è uno dei più importanti sociologi contemporanei. Al centro delle sue ricerche da sempre c’è il tema dell’identità contemporanea, della sua formazione e dei suoi cambiamenti in rapporto con i temi connessi ai grandi mutamenti di questi decenni: le grandi migrazioni, la trasformazione degli uomini da produttori a consumatori, il “senso” della morte e dell’impatto che questi fenomeni hanno sulla vita quotidiana: incertezza, infelicità, paura.

Temi che qui vengono ripercorsi tutti, sulla nota dominante del consumo e del suo rovescio, la povertà. Pezzo dopo pezzo, Bauman smonta l’ideologia dei consumi e la libertà di scelta su cui si erige, a iniziare proprio dalla sopra citata customer satisfaction: “l’idea stessa di un consumatore soddisfatto non ha nulla né di una motivazione né di uno scopo: si tratta, semmai, della più terribile delle minacce.” (pag. 24). Già, se fossimo davvero soddisfatti, smetteremmo di consumare e il mondo, questo mondo, tracollerebbe. A picco l’economia e nell’abisso l’Io così faticosamente costruito. Possesso e sesso. Forse oggi suona appropriato quel semplice riff dei Rolling Stones, “I Can’t Get No Satisfaction”, gridato agli albori della moderna società liquida e che oggi oltrepassa il suo rimando diretto alle turbolenze ormonali adolescenziali.

A seguire Bauman analizza le cause remote delle dismissioni progressive della politica, l’emergere di un nuovo fronte dell’impegno, quelli dei movimenti dei consumatori, a ben vedere secondo lui (e secondo noi) antidemocratici poiché instaurano un principio secondo il quale “… delle persone non elette dal popolo, ma animate da elevati fini morali, abbiano più diritto a rappresentare le istanze dei cittadini che non i politici regolarmente eletti attraverso un sistema imperfetto.” (pag. 38). Messo a nudo anche il web, l’altra alternativa globale alla politica (si pensi a Beppe Grillo). Se questi sono i temi principali dei primi due saggi, i due successivi sono dedicati, come detto, al lato oscuro del consumo, quello che non solo produce immondizia, spazzatura, scorie, avanzi, scarti, rifiuti dai prodotti (e dei servizi) consumati, ma emargina, esclude, taglia fuori i poveri, vite senza appello, perché: “… i poveri di oggi sono prima di tutto dei non–consumatori o dei consumatori  inadeguati e difettosi: la loro colpa è quella di non partecipare pienamente alle attività di consumo di beni e servizi.” (pag. 57).

Lo sanno bene le grandi catene distributive, attente a fidelizzare i cosiddetti alto-spendenti e non versare una lacrima per la perdita di un cliente con scontrino lillipuziano. Lo sanno bene quando coccolano con le promozioni riservate ai soli titolari delle fidelity card ed escludono i maledetti infedeli. A questi poveri fatti in casa poi si aggiungono le masse dei disperati, dei senza terra e senza tempo, esuli, profughi; Bauman qui ribadisce la cruda analisi contenuta in Vite di scarto, riprende in esame le barriere e tutto l’armamentario di difesa del mondo agiato nei confronti dei poveri vecchi e nuovi. Scontro durissimo, che mira a eliminare l’altro, che annovera tra le vittime una bella conquista civile: il welfare state.

C’è una via d’uscita a tutto questo? Qualcosa che non ci faccia sottoscrivere, sconfitti, il titolo di un crudo documentario sulla droga di qualche tempo fa, This Is Heaven, Fuck Your Dreams! Forse sì. Bauman parte proprio dallo stato malandato del welfare per suggerire nel saggio posto in appendice (Welfare assediato. Sono forse io il custode di mio fratello?) la necessità di una posizione radicale, con l’unica risposta possibile alla vecchia domanda di Caino: “è meglio prendersi cura di qualcuno che lavarsene le mani, essere solidali con l’infelicità dell’altro piuttosto che esservi indifferenti, e, in ultima istanza, è meglio essere morali, anche se questo non rende più ricchi gli individui né le imprese” (pag.97).

Scelta non esente da rischi, non solo perché non esiste nessuna garanzia di successo, ma oltretutto per il rischio che anche la sfera etica si trasformi in un nuovo business, frutto di accorte strategie di marketing. Facciamo un nome, e di peso, per scendere nel concreto, Chiquita, impegnata in campagne di comunicazione per rifarsi l’immagine, da colonizzatori a difensori dell’ambiente e delle realtà locali. Ecco spiegato l’equilibrio instabile della morale ai nostri tempi, è sempre sul punto di scivolare su una buccia di banana…


 

     Recensione di Gennaro Fucile