For
di The Claudia Quintet

Cuneiform

 

 

 





 

For di The Claudia Quintet

 

Siamo alla quarta prova per questo quintetto acustico guidato dal compositore-batterista-multistrumentista John Hollenbeck che quest’anno, dopo essersi conquistato in passato i favori della critica statunitense (es. “Composer of the Year” nel 2006 per il magazine Down Beat), si è aggiudicato l’ennesimo prestigioso riconoscimento, il Guggenheim Fellowship. E chi già lo conosce non rimarrà deluso: il poliritmico post jazz da camera del combo americano si fa ancora una volta apprezzare per un gioco delle parti dove tutto è in perfetto equilibrio, senza sbavature o ipertrofie solistiche.

Clarinetto, fisarmonica e vibrafono ruotano attorno alle trance percussive di Hollenbeck attratti da un centro di gravità fatto di piatti e tamburi che muta a volte impercettibilmente livelli e geometrie della composizione, innestando quando uno meno se lo aspetta improvvise accelerazioni o sinuosi groove circolari. Come in August 5th, 2006, il brano più riuscito della raccolta, che dopo aver macinato un incredibile giostra di dinamiche ritmiche, contrappuntate dal celestiale vibrafono di Matt Moran, contiene una bellissima variazione guidata dal poderoso basso acustico di Drew Gress (collaborazioni con Tim Berne, Uri Caine, Ravi Coltrane), che fa volare il brano sui campi di un seducente progressive tinto di jazz.

Incantevole la ballad This Too Shall Pass, ed interessante anche l’esperimento free di Rug Boy, quasi a dimostrare che, quando vogliono, i “ragazzi” possono accendersi ed andare ben oltre il minimalismo o la compostezza che distingue gran parte della loro produzione (sebbene di energia, anche nei brani apparentemente più immobili, ce ne sia sempre una dose notevole).

Non manca con l’astratta For You un’incursione nell’elettronica, ma anche qui i tapes “preparati” di Hollenbeck sanno combinarsi con grazia agli acquarelli acustici pennellati dai solisti. E in Rainy Days/Peanut Vendor Mash-up Hollenbeck omaggia i suoi amori musicali giovanili con una combinazione, sempre in chiave “chamber music”, dell’hit dei Carpenters Rainy Days and Mondays e degli arrangiamenti di Stan Kenton per The Peanut Vendor.

Merita, infine, una citazione la traccia conclusiva, quasi una mini suite intitolata Three Odes: admiration, nostalgia, pity che è un saggio della sapiente scrittura di Hollenbeck capace di emozionare l’ascoltatore con  strutture narrative immediate sempre in bilico tra virtuosismo e melodia. E soprattutto accessibili e comprensibili ad un pubblico eterogeneo non necessariamente appassionato di jazz. E scusate se è poco.   

 

 

     Recensione di c.b.