In un bel libro di qualche anno
fa Marco
Belpoliti ricorda un brano famoso di Susan Sontag dal saggio L’immagine del disastro,
saggio molto citato fra l’altro da coloro che si occupano di fantascienza e di
“critica fantascientifica”:
La nostra è effettivamente un’epoca di estremismi.
Viviamo infatti sotto la minaccia continua di due prospettive egualmente
spaventose, anche se apparentemente opposte: la banalità ininterrotta e un
terrore inconcepibile. E lo commenta considerando come, pur essendo stato
scritto nel 1965, potrebbe essere stato scritto … qualche ora fa.
Cioè, per noi, un paio di anni
fa.
Niente di più vero. Belpoliti
pensava prima di tutto alle Twin Towers e alle sue conseguenze più immediate,
ma penso che possiamo affermare che la percezione del pendolare fra “banalità e
terrore” possa essere considerata una condizione endemica, isolabile dai
fenomeni e dagli eventi concreti che affollano la nostra epoca, e attribuibile
alla natura della società del III millennio.
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Robert Musil |
Di recente, su “La Repubblica”,
in un articolo titolato significativamente Lo
stato di Kakania alla guerra di Bagdad,
Timothy G. Ash, commentando il comportamento della dirigenza degli USA in quei
giorni, non può fare a meno di far riferimento alla storia dell’Impero
austro-ungarico all’inizio della I guerra mondiale e a Robert Musil: Un alto ufficiale in pensione da me
interpellato ha fatto un paragone piuttosto originale con la confusa strategia
dell’impero austro-ungarico all’inizio della prima guerra mondiale. Incapace di
decidere le priorità tra una serie di obiettivi strategici … finì per non
realizzarne nessuno. È lo stato cronicamente disorientato che Robert Musil
battezzò Kakania.
Colpiscono, in queste righe, una
serie di corrispondenze e di rimandi: il riferimento di Belpoliti a due eventi
cardine della fine del Novecento e il collocarsi invece delle situazioni
descritte da Ash a due degli eventi che in qualche modo aprono e chiudono il
secolo, il primo fra le cause (forse non tanto remote) dell’esistenza stessa
del muro di Berlino, il secondo conseguenza diretta del crollo delle Torri
Gemelle.
Nello spazio fra questi due poli
– non solo temporali, ma prima di tutto simbolici
– si colloca anche tutta la vicenda del Soggetto contemporaneo, dei
disastri di cui è stato testimone e artefice, ma anche delle sue manifestazioni
estetiche e scientifiche.
E indirettamente mi spinge a
riflessioni che mi sembra siano rimaste ai margini della ricerca e del
dibattito scientifico sul XX secolo, che in generale si è concentrato più sui pieni della cultura del secolo – in
termini di linguaggi e prodotti artistici, come di ricerca scientifica – e
forse ha trascurato un po’ le aree di vuoto,
quelle in cui i punti di catastrofe si
sono manifestati con maggiore evidenza e vigore ispirando una consistente parte
della produzione estetica – prima di tutto letterario – del secolo.
Mi spiego meglio.
Il XX secolo si è autocelebrato
come il tempo del progresso e del futuro, della realizzazione dei primati e del
raggiungimento di infiniti traguardi. Ed è stato studiato, anche dalle voci più
critiche, come la fase storica dello sviluppo di una dimensione forte della ricerca culturale ed
artistica: il cinema, le avanguardie artistiche, lo stesso trionfo della cultura
di massa nei suoi intrecci con lo sviluppo delle tecnologie – prima di tutto
quelle della comunicazione – fino all’ingresso nell’iperreale, nella simulazione, nella virtualità.
Molti non comprendono, e
assumono atteggiamenti apocalittici, nostalgici nei fatti. Pochi, più
lucidamente, ne hanno previsto le
prospettive o hanno descritto, quasi in
tempo reale, il cambiamento.
Intanto, il senso di
disorientamento e incertezza pervade la dimensione del sociale, in senso sia
individuale che collettivo. Non abbiamo futuro, non ci riconosciamo un passato.
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