Le catastrofi gemelle di Adolfo Fattori

 


D’altra parte, una sostanziale parte del dibattito sociologico e filosofico contemporaneo ha assunto sicuramente come fulcro delle sue riflessioni il tema della ridefinizione del e della incrinatura del senso di identità personale.

Le trasformazioni connesse all’avanzare della tarda modernità: l’accelerazione del mutamento e l’avanzare della virtualità; la percezione dell’estraneità e della frammentazione del rapporto fra sé e il mondo sono alla base dell’infantilizzazione e della deresponsabilizzazione dell’individuo.

Quello che diviene sempre più sfumato è il senso della relazione fra l’individuo e la società, fino a mettere in dubbio la stessa esistenza del reale. Di questo abbiamo traccia attraverso più di un film e di un romanzo: valgano per tutti Matrix[7] e Ubik[8] come approdi estremi, se si vuole iperbolici della produzione estetica della seconda metà del Novecento. O in alternativa, in un ambito più “colto”, meno “triviale”, i romanzi di Michel Houellebecq[9] o James G. Ballard.[10]

Ma questa illusione della fine, per citare Jean Baudrillard,[11] è una novità dello scavalcamento del millennio? O ha qualche precedente, magari alle origini della fine del II millennio, all’inizio del Novecento, quando lo sviluppo delle tecnologie si fece più impetuoso e produsse una prima, violenta accelerazione del mutamento sociale?[12] Magari in aree geografiche e culturali rimaste decentrate rispetto all’attenzione principale degli studiosi, se non per le personalità più forti, e confluite nella corrente principale del pensiero del secolo XX?

Credo che alla seconda e alla terza domanda sia senz’altro possibile rispondere positivamente. Basta guardare a tutta quella parte della cultura novecentesca di lingua tedesca che attribuiamo ai territori e agli autori dell’Impero Austro-Ungarico a ridosso della I guerra mondiale.

Intendiamoci, anche in Germania si è percepito lo stesso senso di crisi e dissoluzione. Basti pensare a Thomas Mann, dai Buddenbrook alla Montagna Incantata. O, per rimanere più ad oriente, a Franz Kafka.

Ma perché non andare a cercare anche, e con più determinazione, nelle opere di Hermann Broch, di Robert Musil, ma anche di Elias Canetti, Franz Werfel, Robert Walser?

Non si ritrovano lì le stesse tematiche di Kafka, anche se esposte in modo diverso? E, oltre queste, altri temi, radicati nella nostra cultura, o periodicamente riemergenti?

Intanto, la solitudine e il disorientamento: chi sono, l’Ulrich de L’Uomo senza qualità (Musil), lo Joachim del primo romanzo della trilogia I sonnambuli (Broch), se non personalità dislocate, in cerca di identità, progenitori dei nomadi di cui parla Zygmunt Bauman nei suoi saggi?

Esseri che si muovono su uno stretto crinale, collocato fra il vecchio e il nuovo, fra un passato rassicurante e stabile e un futuro incerto e disturbante; uomini che guardano alla tradizione, abbagliati ma anche attratti, seppur in misura diversa, dal nuovo che appare all’orizzonte?

Certo, con atteggiamenti diversi:

Joachim von Pasenow, il protagonista di 1888: Pasenow o il romanticismo,[13] è un personaggio tormentato e incerto, dilaniato fra l’amore per una giovane prostituta boema, Ruzena, e la spinta del dovere a sposare Elisabeth, la figlia del latifondista le cui terre confinano con le sue.

Ancora, è altrettanto combattuto fra quella che ritiene la sicurezza, la sobrietà, la castità della vita militare e il disordine della vita borghese.

Nella versione del “sonnambulismo” brochiano, una condizione prima di tutto esistenziale, incarnata da von Pasenow, i personaggi simbolizzano valori, e questi valori si mescolano, in una confusione onirica che coinvolge tutti gli abitanti del piccolo mondo di Joachim: Ruzena, Elisabeth, il padre, il fratello Helmuth morto in duello.[14]

E lo stesso avviene per i protagonisti degli altri due romanzi del ciclo Esch e Hugenau. Il primo a simboleggiare la rivolta – e la paura – del piccolo borghese di inizio secolo contro il disordine e l’anarchia, il secondo a rappresentare l’impunità e il trionfo del Male, a ridosso della fine della Grande guerra, momento definitivo di crollo e di catastrofe del sistema di valori dell’Occidente storico.

Broch è decisamente un conservatore, a volte misticheggiante e radicalmente chiuso. La sua è una risposta, probabilmente non condivisibile, al senso di vuoto, perdita, disorientamento che deriva dalla sparizione di un intero sistema sociale, di modelli, di valori. A quel punto, rimangono solo la morte e la paura dell’oblio…

Diversa è sicuramente la posizione di Robert Musil, ferocemente ironico nei confronti della Kakania, dell’incapacità profonda dei suoi abitanti di capire il senso del momento storico in cui vivono. Ulrich, uomo che a dispetto del titolo del romanzo, di qualità ne ha molte, si ritrova a cercare di mantenersi in equilibrio fra il vecchio e il nuovo, finendo per rifugiarsi, però nella sperata sicurezza dell’affetto per una sorella a lungo attesa.[15]

Non è questo, certo, il luogo per approfondire ulteriormente la forza e la profondità – comunque li si giudichi – di questi autori e della loro opera, ma è necessario citare almeno altri due autori, apparentemente distanti fra loro, anche se provenienti dallo stesso luogo, Praga.

Forse, l’autore che più di tutti ha esplicitamente espresso il senso di perdita derivante dal crollo dell’Impero è Franz Werfel, che, nel lungo saggio che introduce Nel crepuscolo di un mondo,[16] solo apparentemente una raccolta di lavori indipendenti fra loro, descrive le conseguenze della fine del mondo passato..

 


[7] A. e L. Wachowski, Matrix, USA, 1999; cfr. http://quadernisf.altervista.org/numero5/indexapocalisse.htm

[8] P. K. Dick, Ubik, Fanucci, Roma, cfr. http://quadernisf.altervista.org/numero5/indexviaggio.htm  

[9] Ad esempio, Le particelle elementari, cfr.  http://quadernisf.altervista.org/numero5/indexmainstream.htm

[11] J. Baudrillard, L’illusione della fine, Anabasi, Milano, 1993.

[12] Cfr. S. Kern, Il tempo e lo spazio, Il Mulino, Bologna, 1988.

[13] H. Broch, I sonnambuli, Einaudi, Torino, 1960.

[14] L. Forte, Hermann Broch I sonnambuli, in G. Baioni G. Bevilacqua C. Cases C. Magris (a cura di), Il romanzo tedesco del Novecento, Einaudi, Torino, 1973, pag. 241.

[15] R. Musil, L’uomo senza qualità, Einaudi, Torino,

[16] F. Werfel, Nel crepuscolo di un mondo, Mondadori, Milano, 1950.

 

    [1] (2) [3]