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Le trasformazioni connesse
all’avanzare della tarda modernità: l’accelerazione del mutamento e l’avanzare
della virtualità; la percezione dell’estraneità e della frammentazione del
rapporto fra sé e il mondo sono alla base dell’infantilizzazione e della
deresponsabilizzazione dell’individuo. Quello che diviene sempre più
sfumato è il senso della relazione fra l’individuo e la società, fino a mettere
in dubbio la stessa esistenza del reale. Di questo abbiamo traccia attraverso
più di un film e di un romanzo: valgano per tutti Matrix[7] e Ubik[8] come
approdi estremi, se si vuole iperbolici della produzione estetica della seconda
metà del Novecento. O in alternativa, in un ambito più “colto”, meno
“triviale”, i romanzi di Michel Houellebecq[9] o
James G. Ballard.[10] Ma questa illusione della fine, per citare Jean Baudrillard,[11] è
una novità dello scavalcamento del millennio? O ha qualche precedente, magari
alle origini della fine del II millennio, all’inizio del Novecento, quando lo
sviluppo delle tecnologie si fece più impetuoso e produsse una prima, violenta
accelerazione del mutamento sociale?[12]
Magari in aree geografiche e culturali rimaste decentrate rispetto
all’attenzione principale degli studiosi, se non per le personalità più forti, e
confluite nella corrente principale del pensiero del secolo XX? Credo che alla seconda e alla
terza domanda sia senz’altro possibile rispondere positivamente. Basta guardare
a tutta quella parte della cultura novecentesca di lingua tedesca che attribuiamo
ai territori e agli autori dell’Impero Austro-Ungarico a ridosso della I guerra
mondiale. Intendiamoci, anche in Germania
si è percepito lo stesso senso di crisi e dissoluzione. Basti pensare a Thomas
Mann, dai Buddenbrook alla Montagna Incantata. O, per rimanere più
ad oriente, a Franz Kafka. Ma perché non andare a cercare anche, e con più determinazione, nelle
opere di Hermann Broch, di Robert Musil, ma anche di Elias Canetti, Franz
Werfel, Robert Walser? Non si ritrovano lì le stesse
tematiche di Kafka, anche se esposte in modo diverso? E, oltre queste, altri
temi, radicati nella nostra cultura, o periodicamente riemergenti?
Intanto, la solitudine e il
disorientamento: chi sono, l’Ulrich de L’Uomo
senza qualità (Musil), lo Joachim del primo romanzo della trilogia I sonnambuli (Broch), se non personalità
dislocate, in cerca di identità, progenitori dei nomadi di cui parla Zygmunt Bauman nei suoi saggi? Esseri che si muovono su uno
stretto crinale, collocato fra il vecchio e il nuovo, fra un passato rassicurante
e stabile e un futuro incerto e disturbante; uomini che guardano alla
tradizione, abbagliati ma anche attratti, seppur in misura diversa, dal nuovo
che appare all’orizzonte? Certo, con atteggiamenti
diversi: Joachim von Pasenow, il
protagonista di 1888: Pasenow o il
romanticismo,[13] è un
personaggio tormentato e incerto, dilaniato fra l’amore per una giovane
prostituta boema, Ruzena, e la spinta del dovere a sposare Elisabeth, la figlia
del latifondista le cui terre confinano con le sue. Ancora, è altrettanto combattuto
fra quella che ritiene la sicurezza, la sobrietà, la castità della vita
militare e il disordine della vita borghese.
Nella versione del
“sonnambulismo” brochiano, una condizione prima di tutto esistenziale,
incarnata da von Pasenow, i personaggi simbolizzano valori, e questi valori si
mescolano, in una confusione onirica che coinvolge tutti gli abitanti del
piccolo mondo di Joachim: Ruzena, Elisabeth, il padre, il fratello Helmuth
morto in duello.[14] E lo stesso avviene per i
protagonisti degli altri due romanzi del ciclo Esch e Hugenau. Il primo a
simboleggiare la rivolta – e la paura – del piccolo borghese di inizio secolo
contro il disordine e l’anarchia, il secondo a rappresentare l’impunità e il
trionfo del Male, a ridosso della
fine della Grande guerra, momento definitivo di crollo e di catastrofe del
sistema di valori dell’Occidente storico. Broch è decisamente un
conservatore, a volte misticheggiante e radicalmente chiuso. La sua è una
risposta, probabilmente non condivisibile, al senso di vuoto, perdita,
disorientamento che deriva dalla sparizione di un intero sistema sociale, di
modelli, di valori. A quel punto, rimangono solo la morte e la paura
dell’oblio… Diversa è sicuramente la
posizione di Robert Musil, ferocemente ironico nei confronti della Kakania,
dell’incapacità profonda dei suoi abitanti di capire il senso del momento
storico in cui vivono. Ulrich, uomo che a dispetto del titolo del romanzo, di
qualità ne ha molte, si ritrova a cercare di mantenersi in equilibrio fra il
vecchio e il nuovo, finendo per rifugiarsi, però nella sperata sicurezza
dell’affetto per una sorella a lungo attesa.[15] Non è questo, certo, il luogo
per approfondire ulteriormente la forza e la profondità – comunque li si
giudichi – di questi autori e della loro opera, ma è necessario citare almeno
altri due autori, apparentemente distanti fra loro, anche se provenienti dallo
stesso luogo, Praga. Forse, l’autore che più di tutti
ha esplicitamente espresso il senso di perdita derivante dal crollo dell’Impero
è Franz Werfel, che, nel lungo saggio che introduce Nel crepuscolo di un mondo,[16] solo
apparentemente una raccolta di lavori indipendenti fra loro, descrive le
conseguenze della fine del mondo passato..
[7] A. e L.
Wachowski, Matrix, USA,
1999; cfr.
http://quadernisf.altervista.org/numero5/indexapocalisse.htm
[8] P. K. Dick, Ubik, Fanucci, Roma, cfr.
http://quadernisf.altervista.org/numero5/indexviaggio.htm
[9] Ad esempio, Le
particelle elementari, cfr. http://quadernisf.altervista.org/numero5/indexmainstream.htm
[10] Ad esempio, Regno
a venire, Cfr.
http://quadernisf.altervista.org/numero7/regno.htm
[11] J. Baudrillard, L’illusione della fine, Anabasi, Milano, 1993.
[12] Cfr. S. Kern, Il
tempo e lo spazio, Il Mulino, Bologna, 1988.
[13] H. Broch, I
sonnambuli, Einaudi, Torino, 1960.
[14] L. Forte, Hermann
Broch I sonnambuli, in G. Baioni G. Bevilacqua C. Cases C. Magris (a cura
di), Il romanzo tedesco del Novecento,
Einaudi, Torino, 1973, pag. 241.
[15] R. Musil, L’uomo
senza qualità, Einaudi, Torino,
[16] F. Werfel, Nel
crepuscolo di un mondo, Mondadori, Milano, 1950.
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