Appunti per un’antropologia della vita quotidiana artificiale di Stefania Grasso

 


Le comunità online e quelle offline possono essere considerate alla stessa stregua, reale l’una e reale l’altra, entrambe costruite socialmente dai propri membri, frutto della loro rappresentazione solidale della realtà: il ciberspazio è un vero e proprio spazio sociale definito dalla sua stessa popolazione, i cui confini e significati sono continuamente negoziati e costantemente regolamentati dal tacito patto convenzionale chiamato Netiquette; un ambito comunitario che, oltre a possedere i tratti tipici delle comunità cosiddette fisiche, possiede soprattutto l’humus che rende possibile ai propri membri una condivisione di senso e di esperienze.

Manuel Castells, uno dei più importanti studiosi dell’età dell’informazione, sostiene che la società contemporanea si configura intorno a reti (o network): una rete non è altro che un complesso di nodi interconnessi che formano l’intera organizzazione collettiva e che forgiano l’intero agire umano; il social network si contraddistingue per il suo illimitato potenziale di espansione, vista la possibilità di incorporare sempre nuovi nodi, con l’unica fondamentale condizione che se ne condividano principi, obiettivi e codici.

Chiunque può osservare ragazzine/i chattare, giocare, creare blog, scambiare file, grazie all’imperante MSN Messenger, il grande defenestratore (con un “colpo di stato” non troppo a sorpresa, vista la campagna promozionale di Gates!) del fu Nintendo DS; le piccole donne e i loro coetanei oggi crescono emozionandosi quando incontrano nuovi amici di chat, scervellandosi sulle varie possibili identità da “indossare”, scrivono bigliettini (cartacei, fortunatamente!) usando, ad esempio, l’acronimo TVB e due puntini e una parentesi, che significano ti voglio bene e sono felice, e viene da riflettere su queste nuove e divertenti emoticons (smile) e su come le nuove generazioni si stiano paradossalmente avviando verso un mondo di chiusura, con la più profonda speranza che tale strutturazione delle relazioni sociali non rimanga necessariamente ancorata alla modalità online, ma, che rappresenti, invece, una delle tante possibilità da fondere con le reti sociali offline.

È indubbio che simili infinite possibilità relazionali mettano in luce una crisi profonda dei principi di razionalità e individualità dell’era moderna, consegnando di diritto lo scettro alle nuove modalità comunicative dell’era post-moderna, improntate sui modelli di intelligenza collettiva, di comunità in rete, di avatar e di mondi virtuali.

La post-modernità, con la promessa di un universo gestibile e prevedibile in cui l’individuo possa liberamente esprimere aspetti inesplorati del proprio sé, “concretizzata” in vere e proprie tribù – forum, newsgroup, chat – rappresenta la sinergia tra arcaico e tecnologico e il conseguente declino della modernità, dei suoi individui e dei suoi universalismi.

Riemerge, quindi, un bisogno fortissimo di comunità quale inevitabile reazione all’individualismo e all’egocentrismo, generati dalla società industriale e generatori di un’era dell’industria culturale, in cui l’uomo è vittima di un sistema che lo circuisce e lo manipola a suo uso e consumo: il reincanto tecnologico quale unica possibilità di salvezza dai mali del mondo!

Ma questo non significa, però, che l’homo sapiens possa,in modo naturale e spontaneo, evolversi in homo cyber, abbandonando completamente la propria corporeità: l’essere umano non è soltanto “dotato” di un corpo, è esso stesso corpo! Sicuramente un corpo in cui si fondono e si confondono i confini tra umano e artificiale, una “macchina in carne ed ossa” potenziata da strutture protesiche meccaniche ed elettroniche, integrata da microchip e computer di bordo che regolano la velocità/battito del cuore, per i quali l’uomo ha cominciato, ahimè, a cancellare l’idea e il sentimento di Dio, sostituendosi ad esso con la pratica del suo ingegno, allettato dall’idea di qualcosa di NON generato ma creato, illudendosi, in tal modo, di esercitare il proprio dominio sul mondo… ma, comunque sia, la certezza che la regolazione artificiale sia un fatto esterno sarà sempre fatta salva, intrinseca nell’istinto di sopravvivenza e di conservazione della specie animale denominata UOMO. La vita è sempre al di sopra e ciò che, ad esempio, le neuroscienze potranno rendere all’umanità dipenderà in ogni caso dal concetto che avremo di vita umana e di essere personale.

Soffermiamoci, quindi, sulle affermazioni di McLuhan e Sigmund Freud, quando il primo osserva che
 

sul piano fisiologico, l’uomo è perpetuamente modificato dall’uso normale della tecnologia (o del proprio corpo variamente esteso) e trova a sua volta modi sempre nuovi per modificarla,

e il secondo sa che

l’uomo è, per così dire, divenuto una specie di dio-protesi, veramente magnifico quando è equipaggiato di tutti i suoi organi accessori; questi, però, non formano un tutt’uno con lui e ogni tanto gli danno ancora del filo da torcere...

... e, visto che l’era delle macchine antropomorfe è già dietro l’angolo, conviene cominciare a pensare sin d’ora che un grande potere, quale quello di riuscire a far pensare le macchine, genera sempre delle grandi responsabilità!

 

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