Da sempre l’uomo sogna di
costruire un robot pensante e senziente, un’estensione del sé in rappresentanza
dell’ideale umano da sempre anelato e mai realizzato: un robot al passo con i
tempi, sempre più veloce e più potente, di high performance computing, in
grado di trascendere la “pochezza” dell’attuale homo tecnologicus.
L’antico
ma mai tramontato sogno della continuità, il controllo ed il dominio del mondo,
il delirio di onnipotenza oppure semplicemente la corsa autonoma ed
inarrestabile del progresso, rappresentano alcune delle risposte, possibili
quanto il desiderio dell’uomo di dare vita ai propri sogni che ancora
appartengono al dominio della letteratura fantascientifica.
Isaac Asimov, nei suoi
racconti, immagina un mondo in cui i robot convivono pacificamente con l’uomo,
grazie alle tre leggi della robotica alle quali obbediscono:
1.
Un robot non
può recare danno a un essere umano, né può permettere che, a causa del suo
mancato intervento, un essere umano riceva danno.
2.
Un robot
deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non
contravvengano alla Prima Legge.
3.
Un robot
deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con
la Prima e la Seconda Legge.
Verosimilmente in futuro,
grazie anche ai cosiddetti “agenti intelligenti”, le macchine potrebbero
sviluppare capacità di autoapprendimento, interagendo a livello sempre maggiore
con l'ambiente circostante, sviluppando capacità decisionali nell’atto di
relazionarsi con l’essere umano.
La macchina passerebbe da
oggetto ad uso dell’uomo a soggetto in grado di sollevare problemi etici e
legali, con tutte le conseguenze che ne deriverebbero.
È dunque chiaro che il
problema non sarebbe definire un’etica robotica, quanto indirizzare l’etica
umana affinché si costruiscano robot che agiscano con finalità positive.
Proviamo a fare
un’operazione “sciamanica”, oltrepassando, con una buona dose di immaginazione,
i confini spaziali e temporali, fino ad arrivare chez Albert Einstein. Il
dolce vecchietto ci guarda, tira fuori la lingua, e urla a squarciagola:
anche se un giorno le macchine riusciranno a risolvere tutti i problemi,
nessuna di esse sarà mai in grado di porne uno…
… allora riflettendo sullo
sviluppo delle macchine per pensare, uno sviluppo che
procede regolare e
continuo, cresce il terrore di un’incombente minaccia pronta a rivoluzionare
l’intera essenza dell’uomo: il tanto desiderato salto qualitativo sembra essere
alle porte, mostrandoci già le prime forme di ibridazione fra uomo e computer.
In termini squisitamente
etici, la robotica diventerebbe un settore antropologico e l’antropologia un
settore della robotica, dando vita ad una diversa percezione del Sé,
comprendente se stesso e le macchine antropomorfe da cui dipende, con un senso
di identità “allargato” anche ai propri “personal computer/robot”.
Stiamo
velocemente avviandoci lungo un percorso di totale rivoluzione, che
inevitabilmente muterà sia il nostro corpo fisico che la nostra mente/anima.
Attualmente segnali chiari ed inequivocabili, in termini di mutamento del nostro
essere e del conseguente modo di percepire il mondo, ci vengono dati dagli
strumenti tecnologici ad uso comune, divenuti oramai fenomeni di massa.
La rete a larga banda, il
wireless e le webcam sono solo alcuni degli strumenti tecnologici grazie ai
quali ogni singolo individuo riesce a multirelazionarsi con l’universo-mondo, in
un villaggio che Marshall McLuhan definirebbe globale o glocale,
intendendo con tale ossimoro il fatto che, ciò che in passato aveva dimensioni e
distanze enormi, ora, grazie all’innovazione delle telecomunicazioni, è
praticamente accessibile in tempo reale, rendendoci tutti abitanti della stessa
comunità locale (in quanto ne conserva intrinsecamente le stesse
caratteristiche) con una portata, però, globale (da qui, appunto, il termine
glocale).
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