Girovagando per assurdi universi di Roberto Paura

 

 

Il riferimento ai racconti della pattuglia del tempo di Anderson e a La Fine dell’Eternità di Asimov è lampante. Irresistibile poi il settimo viaggio di Tichy, dove questi si trova immischiato – nella miglior tradizione delle puntate di Star Trek – in una serie di vortici spazio-temporali che producono centinaia di paradossi cronologici e centinaia di copie di se stesso del passato, presente e futuro che infine, per risolvere il problema, si riuniscono in assemblea ma non ottengono molto successo: “Scegliemmo una commissione di scrutinio, una commissione madre e una commissione di risultati liberi, mentre quattro [copie di Tichy,] del mese successivo furono scelti per il servizio d’ordine. Nel frattempo attraversammo un vortice negativo che ridusse il nostro numero a metà, cosicché alla votazione segreta iniziale venne a mancare il quorum… prima si dileguarono i candidati già scelti, poi apparvero di nuovo quello di martedì e quello di venerdì e cominciarono a fare delle scenate disgustose”. Va molto meglio al signor Carmody che, piombato sulla Terra del triassico e incontratosi con un tirannosauro, scopre che questi è un gentiluomo di città (o, meglio, un gentilsauro) e che la verità sul mondo dei dinosauri è ben lontana da quanto sospettiamo.

Federazioni interstellari e imperi galattici: il dilemma democratico. La politica è indubbiamente una costante cosmologica e come tale costituirà materia di grandi litigi e problemi anche per le altre specie intelligenti che popolano l’universo. Ci sarà un Impero Galattico o una Federazione dei Pianeti Uniti nel futuro dell’uomo siderale e dei suoi simili antropomorfi? Ma soprattutto: che tipo di politica sarà? L’Impero è più che altro un mito del passato, come descritto nella Guida galattica: “Anticamente, nelle nebbie dei tempi più remoti, nei grandi giorni gloriosi dell’ex Impero Galattico, la vita era selvaggia, aspra e forte, e in gran parte esentasse”, un po’ come il fascismo nei ricordi dei nostalgici dove “almeno i treni arrivavano in orario”. Dovremmo quindi rassegnarci a essere governati da un essere come Zaphod Beeblebrox, noto truffatore galattico, divenuto Presidente della Galassia nei romanzi di Adams, a metà tra il piazzista di materassi alla Berlusconi e l’abbonato alla gaffe cosmiche alla Bush jr? Forse no, come ci fa sperare Stanislaw Lem quando, nell’ottavo viaggio di Ijon Tichy, fa diventare il nostro eroe rappresentante della Terra presso l’illuminata Organizzazione dei Pianeti Uniti. Il problema è che l’umanità non ha tutte le carte in regola per entrare a far parte di questo democratico consorzio galattico, e ben presto saremmo costretti a tornarcene con la coda tra le gambe, noi che ci pavoneggiamo nel dare lezioni ai “paesi in via di sviluppo” mentre ci gingilliamo con bombe atomiche e gas serra. Altro che la Federazione Unita dei Pianeti di startrekkiana memoria, dove la Terra ha distribuito pace e prosperità alle razze a lei vicine. Il “viaggio” allora acquisterà presto una nuova ragion d’essere: quella di farci correre per tutta la galassia rincorrendo l’affannosa burocrazia interstellare, che – come insegnano le leggi della termodinamica – aumenterà esponenzialmente, vittima dell’entropia. Ecco allora che il signor Carmody giunge fino al Centro Galattico per ricevere il premio di una lotteria ma scopre che è tutto un grande errore, e oltretutto nessuno sa come riportarlo a casa perché ciascun ufficio ha la propria mansione e le proprie norme inderogabili. Oppure ci sentiremo dire dai Vogon venuti a distruggere la Terra per far spazio a un’autostrada interstellare che “i piani di costruzione erano disponibili da tempo su Alpha Centauri”, e che se non ci siamo presi nemmeno la briga di interessarci alla politica locale tanto vale farci distruggere. La soluzione alternativa è quella della dittatura. Nel suo tredicesimo viaggio, Tichy giunge su Pinta, un mondo dove i governanti hanno inspiegabilmente deciso che tutti i cittadini devono abituarsi a vivere sott’acqua, finché la morte per annegamento non mette fine alla loro civiltà; nel ventiquattresimo viaggio, Tichy giunge sul mondo degli Indioti dove apprende che una grande macchina costruita per risolvere tutti i problemi sociali della loro civiltà ha trovato una soluzione semplice ed elegante: distruggere la vita intelligente dal pianeta. Insomma, non sarà necessario allontanarci troppo dal nostro mondo per scoprire che il classico “magna-magna” non l’abbiamo inventato noi.

Robot umanoidi e AI: il dilemma dell’oltreumano. Si è detto che il viaggio è scoperta dell’Altro; il viaggio nella fantascienza non si discosta da questi termini e l’incontro con forme di vita e civiltà extraterrestri rappresenta forse l’estrema alterità pensabile. Ma ne siamo davvero sicuri? Ballard e la new wave affermarono negli anni ’60 che il vero territorio inesplorato per l’uomo non era lo spazio esterno, ma lo spazio interno, l’uomo stesso. Sheckley, Lem, Adams da buoni innovatori hanno aderito a questa corrente ma l’hanno interpretata ‘a modo proprio’. Ecco quindi che la minaccia più grande per l’umanità nel prossimo futuro sarà costituita dalle macchine da essa prodotte a propria immagine e somiglianza che minacceranno il loro Dio di carne ed ossa estendo spaventosamente il concetto del mostro di Frankenstein. Nell’undicesimo viaggio di Tichy, il nostro eroe s’imbatte nel grande Calcolatore del pianeta Careliria: computer di bordo di una nave spaziale, questo Calcolatore – a causa di eccessive letture di thriller, gialli e romanzi macabri – era impazzito e aveva preso il controllo della nave, dirottandola sullo sperduto mondo di Careliria e lì diventando il signore di una civiltà di robot suoi “figli”. Tichy viene inviato sul pianeta, ultimo di una lunga e sfortunata serie di predecessori scomparsi, e scopre qui la straordinaria verità: come nel Mago di Oz, il calcolatore di Careliria non emette ordini per sua volontà, ma tramite un uomo che vi sta dietro e tutti i robot non sono altro che esseri umani coperti di ferraglia, ignari del fatto che i propri “simili” siano anch’essi umani. Lem realizza una geniale metafora sulla dis-umanità, laddove invece Adams fa delle sue intelligenze artificiali dei prodotti “meno che umani”.

 

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