Harold Jaffe
Beyond the Techno-Cave. A Guerrilla Writer’s Guide to Post-Millennial Culture

Starcherone Books, Buffalo 2007
pagg. 180,
$16.

 

 

 

 

 

 

 

 





 


Beyond the Techno-Cave. A Guerrilla Writer’s Guide to Post-Millennial Culture
di Harold Jaffe
 

 

A fianco dell’America dei media e di Hollywood, dei tabloid magazines e di Fox News, della CNN e delle biondone famose solo perchè sono famose e perchè sono biondone, esiste ancora altro. A fianco, o se si vuole sotto, come in quell’underground degli anni Sessanta che ha affascinato l’Europa dei giovani di allora con la sua innocenza, le sue allegre trasgressioni e le forza della sua immaginazione. Ma non ci si dovrebbe immaginare che l’epoca della guerra in Irak produca semplicemente cloni dei dissidenti dei tempi della guerra del Vietnam. A prima vista Harold Jaffe, l’autore di questa raccolta di testi di genere e lunghezza diversi, non sembra avere tutte le carte in regola per fare il marginale, malgrado la foto che lo ritrae con occhiali a specchio e barba lunga sale e pepe in chiusura del volume. È un universitario, insegna “Creative writing”, sempre ammettendo che questa sia una materia d’insegnamento, a San Diego State, ed è redattore della rivista Fiction International. Però pubblica presso un editore non-profit con una produzione annua di quattro libri, il che augura bene per la cura editoriale. In un clima dove la New York Times Besteller List è perennamente dominata da Stephen King, e dove perfino un’autore della caratura di Kurt Vonnegut fatica a farsi pubblicare quando critica il potere, Jaffe è quello che passa il convento in materia di contestazione. Niente romanticismo, gusto della ribellione come liberazione individuale, o piacere gratuito di scioccare il borghese. In compenso, molta rabbia e un’analisi avvincente condotta a velocità lampo.

Il bersaglio principale dell’autore è l’industria culturale, accusata senza mezzi termini di cecità volontaria rispetto alla situazione della nazione e del mondo. Jaffe ripropone in termini contemporanei il dilemma eterno della letteratura “engagée”, come diceva Sartre, prendendo nettamente posizione contro quegli scrittori e artisti che si tengono al riparo di nozioni come “l’integrità estetica” per giustificare il loro silenzio: “Esthetic integrity? In a time of wide-scale ethnocide and institutional demonizing, consider, if you will, whether the attempt to remain above the fray represent integrity or silent complicity [...]?” (33) La quindicina di pezzi diversi che compongono la raccolta sono etichettati come “docufiction”, e a dire il vero è alquanto difficile definirli altrimenti in termini generici. Jaffe ha spesso ricorso a spezzoni di cronaca, aneddoti che testimoniano della ordinaria follia della società americana contemporanea, che presenta e commenta con humour alquanto nero.

Talvolta ricorda le Nouvelles en trois lignes, i “racconti in tre righe” di Félix Fénéon, l’autore francese dell’Ottocento, che non risparmiava neppure lui la società della sua epoca, pur facendo mostra di un senso dell’umorismo ben altrimenti amabile. Malgrado la lunghezza, il genere e i temi svariati dei capitoli, il libro appare fortemente unito da uno stile e da un tono molto personali. Jaffe scrive in modo quasi telegrafico, con una certa brutalità, giocando con la composizione tipografica (evidenziando certi termini in grassetto, alternando italici e caratteri normali), mettendo in scena dialoghi fittizi tra personaggi innominati che si sparano l’un l’altro commenti brevissimi e taglienti. Com’è di regola in epoca post-postmoderna, mille referenze culturali diversissime prestano il loro aiuto all’autore nel compito che si è dato, che è quello di rimettere sistematicamente in forse le certezze pacifiche e sonnacchiose di una società abbrutita da media venduti ai grandi interessi e da un’industria del divertimento che soffoca il pensiero critico.

Jaffe predica, non c’è dubbio a riguardo, ma ha l’intelligenza di farlo in modo di stimolare la riflessione  piuttosto che per il semplice piacere di erigersi in campione della resistenza culturale (tentazione malgrado tutto non interamente assente). Un capitolo tra i più interessanti alterna brani apparentemente staccati, ma  in realtà complementari, su Alberto Giacometti e Aung San Suu Kyi, riuscendo a tessere un discorso sul compito dell’arte, la perseveranza, la nobiltà d’animo e l’indipendenza di spirito. Altre provocazioni riesumano le figure dell’Unabomber e dei malati di schizofrenia come icone di resistenza all’appiattimento generalizzato della lingua, e a quell’attitudine istituzionale che vede in ogni dissenziente un folle da guarire a gran colpi di pillole. 

Questo volume offre un percorso guidato attraverso il campo minato della cultura e della politica contemporanea, menando colpi a destra e a manca e offrendo non ricette, ma incitamenti, per sopravvivere e diffondere narrazioni alternative - “counter-narratives” - che possano contribuire a scardinare le visioni superficiali o menzognere che monopolizzano la rappresentazione contemporanea del mondo. Jaffe alterna sfoghi e teoria, imprecazioni e analisi, e lo fa con una convinzione tale da fargli meritare l’attenzione e la simpatia del lettore.


 

     Recensione di Vittorio Frigerio