A fianco
dell’America dei media e di Hollywood, dei tabloid magazines e
di Fox News, della CNN e delle biondone famose solo perchè sono
famose e perchè sono biondone, esiste ancora altro. A
fianco, o se si vuole sotto, come in quell’underground
degli anni Sessanta che ha affascinato l’Europa dei giovani di
allora con la sua innocenza, le sue allegre trasgressioni e le
forza della sua immaginazione. Ma non ci si dovrebbe immaginare
che l’epoca della guerra in Irak produca semplicemente cloni dei
dissidenti dei tempi della guerra del Vietnam. A prima vista
Harold Jaffe, l’autore di questa raccolta di testi di genere e
lunghezza diversi, non sembra avere tutte le carte in regola per
fare il marginale, malgrado la foto che lo ritrae con occhiali a
specchio e barba lunga sale e pepe in chiusura del volume. È un
universitario, insegna “Creative writing”, sempre ammettendo che
questa sia una materia d’insegnamento, a San Diego State, ed è
redattore della rivista Fiction International. Però
pubblica presso un editore non-profit con una produzione
annua di quattro libri, il che augura bene per la cura
editoriale. In un clima dove la New York Times Besteller List
è perennamente dominata da Stephen King, e dove perfino
un’autore della caratura di Kurt Vonnegut fatica a farsi
pubblicare quando critica il potere, Jaffe è quello che passa il
convento in materia di contestazione. Niente romanticismo, gusto
della ribellione come liberazione individuale, o piacere
gratuito di scioccare il borghese. In compenso, molta rabbia e
un’analisi avvincente condotta a velocità lampo.
Il
bersaglio principale dell’autore è l’industria culturale,
accusata senza mezzi termini di cecità volontaria rispetto alla
situazione della nazione e del mondo. Jaffe ripropone in termini
contemporanei il dilemma eterno della letteratura “engagée”,
come diceva Sartre, prendendo nettamente posizione contro quegli
scrittori e artisti che si tengono al riparo di nozioni come
“l’integrità estetica” per giustificare il loro silenzio: “Esthetic
integrity?
In a time of wide-scale ethnocide and institutional demonizing,
consider, if you will, whether the attempt to remain above the
fray represent integrity or silent complicity [...]?”
(33) La
quindicina di pezzi diversi che compongono la raccolta sono
etichettati come “docufiction”, e a dire il vero è alquanto
difficile definirli altrimenti in termini generici. Jaffe ha
spesso ricorso a spezzoni di cronaca, aneddoti che testimoniano
della ordinaria follia della società americana contemporanea,
che presenta e commenta con humour alquanto nero.
Talvolta
ricorda le Nouvelles en trois lignes, i “racconti in tre
righe” di Félix Fénéon, l’autore francese dell’Ottocento, che
non risparmiava neppure lui la società della sua epoca, pur
facendo mostra di un senso dell’umorismo ben altrimenti amabile.
Malgrado la lunghezza, il genere e i temi svariati dei capitoli,
il libro appare fortemente unito da uno stile e da un tono molto
personali. Jaffe scrive in modo quasi telegrafico, con una certa
brutalità, giocando con la composizione tipografica
(evidenziando certi termini in grassetto, alternando italici e
caratteri normali), mettendo in scena dialoghi fittizi tra
personaggi innominati che si sparano l’un l’altro commenti
brevissimi e taglienti. Com’è di regola in epoca
post-postmoderna, mille referenze culturali diversissime
prestano il loro aiuto all’autore nel compito che si è dato, che
è quello di rimettere sistematicamente in forse le certezze
pacifiche e sonnacchiose di una società abbrutita da media
venduti ai grandi interessi e da un’industria del divertimento
che soffoca il pensiero critico.
Jaffe
predica, non c’è dubbio a riguardo, ma ha l’intelligenza di
farlo in modo di stimolare la riflessione piuttosto che per il
semplice piacere di erigersi in campione della resistenza
culturale (tentazione malgrado tutto non interamente assente).
Un capitolo tra i più interessanti alterna brani apparentemente
staccati, ma in realtà complementari, su Alberto Giacometti e
Aung San Suu Kyi, riuscendo a tessere un discorso sul compito
dell’arte, la perseveranza, la nobiltà d’animo e l’indipendenza
di spirito. Altre provocazioni riesumano le figure dell’Unabomber
e dei malati di schizofrenia come icone di resistenza
all’appiattimento generalizzato della lingua, e a quell’attitudine
istituzionale che vede in ogni dissenziente un folle da guarire
a gran colpi di pillole.
Questo
volume offre un percorso guidato attraverso il campo minato
della cultura e della politica contemporanea, menando colpi a
destra e a manca e offrendo non ricette, ma incitamenti, per
sopravvivere e diffondere narrazioni alternative -
“counter-narratives” - che possano contribuire a scardinare le
visioni superficiali o menzognere che monopolizzano la
rappresentazione contemporanea del mondo. Jaffe alterna sfoghi e
teoria, imprecazioni e analisi, e lo fa con una convinzione tale
da fargli meritare l’attenzione e la simpatia del lettore.
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