Un uomo è
colui che riesce a vincere senza usare la violenza. Anche se a
volte è indispensabile usarla per difendersi, la violenza è
l’elemento più negativo dell’uomo.
Così
dichiara Actarus, nell’episodio 22 di Atlas Ufo Robot,
perché nella saga dei grandi robot giapponesi di Go Nagai i
terrestri sono prima di tutto retti da un’etica rigorosa –
quella scintoista dei samurai.
Pubblicazione “minore”, Ufo Robot Goldrake - Storia di un
eroe nell’Italia degli anni Ottanta, se ne sta per adesso
nascosto nella sezione fumetti delle librerie, neanche in bella
vista, tra pile di fumetti poco frequentate.
Il libro è
una Tesi di Laurea. La sua copertina è una copertina da fumetto,
colorata, gialla e viola, piena di robot, e rimanda alla grafica
di quegli anni, quando l’autore era ancora un bambino. Le
ragazzine non la apprezzavano, perché erano cartoni “da
maschio”. Ma Nicoletta Artom, responsabile dei programmi per
ragazzi della Rai nel 1978 sì:
Sergio, ho
visto dei cartoni animati giapponesi... Incredibili... Una cosa
nuovissima... Mai vista... Non si può dire nemmeno che siano di
fantascienza! È un mondo di robot, pilotati da esseri umani. Che
si trasformano. Volano. Uomini che diventano macchine... Si
dividono in due...
Ma chi era
bambino negli anni Ottanta capisce al volo che questo libro è
stato scritto per passione, per amore. E non si sbaglia, perché
il libro fa appassionare anche chi scrive che non ha mai
guardato una sola puntata di Goldrake, ma lo divora in
meno di tre giorni, divertendosi un mondo.
Il libro
di Montosi riesce ad essere accuratissimo, completo,
estremamente serio nella trattazione dell’argomento, e insieme
coinvolgente, appassionato, e a trasmettere qualcosa che va al
di là di un semplice approccio scientifico al fenomeno trattato.
Il
fenomeno trattato è il “fenomeno Goldrake”: l’autore cerca di
ricostruire la storia dell’arrivo in Italia dell’anime
giapponese Atlas Ufo Robot (titolo originale giapponese
Ufo Robot Grendizer), trasmesso dalla Rai a partire del
1978, che generò una vera e propria ondata di follia collettiva
nel nostro Paese, e rappresentò allo stesso tempo per il mondo
dei cartoni animati una rivoluzione di portata tuttora
ineguagliata.
Si parte
dal Giappone, patria dell’Anime - la parola utilizzata
generalmente per indicare i prodotti di animazione giapponesi -
e del suo autore Go Nagai (già creatore di altre saghe animate
di successo come Il Grande Mazinga, Mazinga Z e
Jeeg Robot d’acciaio): la prima parte del libro è dedicata
alla nascita del cartone animato, concepito inizialmente come
terzo e ultimo capitolo della trilogia dei Mazinga, detta
Mazinsaga. In Giappone dunque la creazione dell’anime faceva
parte di un progetto organico, tanto è vero che molti dei
personaggi principali sono stati traslati da una serie
all’altra, vivendo delle significative evoluzioni.
Ma in
Italia tutto questo non è mai avvenuto: la continuità tra i
diversi capitoli della Mazinsaga si è persa del tutto, a
causa di una messa in onda sommaria, inconsapevole e del tutto
fuori target.
Quello che
sembra voler sottolineare Montosi nella parte centrale del libro
è proprio la casualità e l’approssimazione con cui i dirigenti
delle TV italiane (ed europee) hanno trattato gli anime
giapponesi in generale e Goldrake in particolare,
totalmente fuorviati da pregiudizi e preconcetti di ogni genere
nei confronti dei cartoni animati.
Primo fra
tutti: i cartoni animati sono fatti per i bambini. Questo
l’equivoco principale che ha caratterizzato la messa in onda
degli anime nel nostro Paese, e soprattutto ha fatto in modo che
la loro interpretazione fosse viziata in partenza, provocando
verso i cartoni giapponesi una reazione di ostilità senza
precedenti nel loro Paese d’origine, una vera e propria crociata
morale.
Atlas Ufo
Robot
fu
considerato violento, vuoto di contenuti e nocivo per la psiche
dei bambini: Montosi cerca di smantellare questo genere di
critiche muovendosi in più direzioni.
In primo
luogo, dimostrando che il vero target degli anime
giapponesi come Atlas Ufo Robot è quello dei ragazzi più
grandi e non dei bambini, arrivando a sfiorare la fascia dei
18-30, i destinatari dei cosiddetti seinen manga (manga
per adulti alla stregua di Neon Genesis Evangelion). Ciò
non è altro che un ennesima conferma della superficialità con la
quale l’Occidente ha più volte recepito nel corso degli anni i
prodotti della cultura orientale, alimentando critiche e accuse
gratuite: in realtà l’industria culturale giapponese per quanto
riguarda il settore dei fumetti e dei cartoni animati risulta
semplicemente molto più articolata di quella occidentale (o
quantomeno era in netto vantaggio su questo punto all’epoca dei
fatti a cui Montosi fa riferimento), prevedendo una fruizione
distribuita su diverse fasce di pubblico e di età, con prodotti
specifici per ognuna.
Ma in
Italia vigeva l’indistruttibile generalizzazione “cartone
animato = prodotto per l’infanzia”, e fu per questo motivo che i
bambini italiani si ritrovarono a contatto con qualcosa che non
era stato pensato per loro, e che fu poi duramente accusato del
fatto di non essere adatto a loro.
In secondo
luogo, però, Montosi va oltre: vuole dimostrare che il
pregiudizio sugli anime risulta ancora più infondato se se ne
analizzano con serietà e obiettività i contenuti.
Attraverso
un’analisi delle trame, dei personaggi e di molti episodi della
serie Atlas Ufo Robot, Montosi rivela che i veri
contenuti dell’anime sono molto lontani dalle critiche che
questo si è guadagnato: vengono trattati sentimenti umani
complessi e delicati, si descrive la parabola di crescita morale
del protagonista, si parla di amicizia e di amore, di lealtà, di
coraggio, e soprattutto si inneggia alla non-violenza e
si auspica una pace universale, un mondo in cui anche le culture
aliene possano convivere l’una con l’altra in armonia.
Il libro
contiene una gran mole di dati, notizie, curiosità, particolari
di ogni genere sulle sigle, la traduzione italiana e quella
francese, i riferimenti cinematografici presenti nell’anime e le
citazioni che ne sono state fatte negli anni da parte di altri
fumetti, altri cartoni animati, altro cinema.
Nel
complesso si ha l’impressione di trovarsi davanti a un lavoro
che è come una sorta di tributo verso un proprio mito personale,
un modo per sancirne la definitiva riabilitazione dopo anni di
letture distorte – A presto, eroe dello spazio, scrive
Montosi – e insieme un piccolo gioiello di culto che però non si
allontana mai dall’accuratezza scientifica.
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