I
quotidiani dell’inizio di giugno hanno riportato la notizia del
risveglio, il 12 aprile scorso, di un ferroviere polacco che, in
seguito ad un incidente, è stato in coma per 19 anni, per
risvegliarsi in un mondo completamente mutato.
Gli stessi
quotidiani non hanno potuto evitare di ricordare che un evento
simile era stato raccontato nel film Goodbye,Lenin, di Wolfgang
Becker (2003). Solo durata del coma e luogo degli eventi sono
diversi, ma la sostanza è la stessa.
Il fatto è
che forse, alle spalle del film di Becker, e ben prima che la
realtà del ferroviere polacco mimasse l’immaginazione narrativa,
c’è L’immortale, il terzo romanzo della scrittrice russa Ol’ga
Slavnikova, il primo pubblicato in Italia, che racconta una
storia simile.
Differenze
naturalmente ce ne sono, e significative. In L’immortale il
protagonista del libro – meglio, il vero deus ex machina degli
eventi – è un eroe di guerra sovietico che, colpito da un ictus,
rimane paralizzato completamente, e quindi prigioniero in casa,
nel suo letto.
Alla
caduta del comunismo, la famiglia – la moglie, la figliastra –
che dipende completamente dalla pensione di guerra che
l’invalido riceve, decide di fare in modo che lui non possa
sapere nulla dei cambiamenti avvenuti, per paura che una
qualsiasi emozione possa provocargli un infarto e ucciderlo.
La
figliastra, Marina, che lavora per una emittente televisiva, si
accorda col montatore e, dietro compenso, lo convince a montarle
con spezzoni di repertorio telegiornali posticci in cui
compaiono ancora Leonid Brežnev e la vecchia nomenklatura
sovietica, telegiornali che poi vengono proiettati con un
vecchio videoregistratore a uso e consumo dell’eroe.
Man mano
però, in una Russia post sovietica sempre più in rovina, fatta
di mercatini di robaccia, elezioni locali da farsa, invasione di
metallari e punk locali, anche la moglie Nina e la figliastra
sembrano allontanarsi sempre più dal reale, finendo per vivere,
insieme al disastro progressivo delle loro vite, il mondo reale,
il mondo esterno al loro appartamento, la realtà esterna come
qualcosa di raccontato, di filtrato attraverso un qualche
slittamento conoscitivo.
In una
versione dozzinale del transito al tardomoderno, si dispiega al
lettore la via russa al postindustriale, fatta di una umanità
sempre più depressa e impoverita, prima di tutto emotivamente, e
di una società via via più degradata, ammalata, in pezzi.
Le
somiglianze fra il romanzo della scrittrice russa e il film
tedesco sono evidenti. Anzi, la Slavnikova, di recente in giro
per l’Italia in occasione della “Settimana della cultura russa
in Italia”, le ha ben presenti. D’altra parte, le vie
dell’immaginario si intrecciano in vario modo – anche con il
reale, come questo caso dimostra.
L’immortale è comunque un piccolo capolavoro, per lo spunto di
partenza, certo, ma prima di tutto per lo sguardo quasi
estraneo, alieno, della scrittrice, per la potenza metaforica
che in certi momenti mette in campo.
Una Russia
rappezzata e sul punto di accartocciarsi su se stessa che rende
bene la continuità stagnante fra il vecchio potere e il nuovo, e
il contagio di rassegnazione e disadattamento che produce.
Nella
grande tradizione di Gogol.
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