Ol’ga Slavnikova
L’immortale
Einaudi, Torino, 2006
pagg. 185,
€ 11,80

 

 

 

 

 

 

 

 





 


L’immortale
di Ol’ga Slavnikova

 

I quotidiani dell’inizio di giugno hanno riportato la notizia del risveglio, il 12 aprile scorso, di un ferroviere polacco che, in seguito ad un incidente, è stato in coma per 19 anni, per risvegliarsi in un mondo completamente mutato.

Gli stessi quotidiani non hanno potuto evitare di ricordare che un evento simile era stato raccontato nel film Goodbye,Lenin, di Wolfgang Becker (2003). Solo durata del coma e luogo degli eventi sono diversi, ma la sostanza è la stessa.

Il fatto è che forse, alle spalle del film di Becker, e ben prima che la realtà del ferroviere polacco mimasse l’immaginazione narrativa, c’è L’immortale, il terzo romanzo della scrittrice russa Ol’ga Slavnikova, il primo pubblicato in Italia, che racconta una storia simile.

Differenze naturalmente ce ne sono, e significative. In L’immortale il protagonista del libro – meglio, il vero deus ex machina degli eventi – è un eroe di guerra sovietico che, colpito da un ictus, rimane paralizzato completamente, e quindi prigioniero in casa, nel suo letto.

Alla caduta del comunismo, la famiglia – la moglie, la figliastra – che dipende completamente dalla pensione di guerra che l’invalido riceve, decide di fare in modo che lui non possa sapere nulla dei cambiamenti avvenuti, per paura che una qualsiasi emozione possa provocargli un infarto e ucciderlo.

La figliastra, Marina, che lavora per una emittente televisiva, si accorda col montatore e, dietro compenso, lo convince a montarle con spezzoni di repertorio telegiornali posticci in cui compaiono ancora Leonid Brežnev e la vecchia nomenklatura sovietica, telegiornali che poi vengono proiettati con un vecchio videoregistratore a uso e consumo dell’eroe.

Man mano però, in una Russia post sovietica sempre più in rovina, fatta di mercatini di robaccia, elezioni locali da farsa, invasione di metallari e punk locali, anche la moglie Nina e la figliastra sembrano allontanarsi sempre più dal reale, finendo per vivere, insieme al disastro progressivo delle loro vite, il mondo reale, il mondo esterno al loro appartamento, la realtà esterna come qualcosa di raccontato, di filtrato attraverso un qualche slittamento conoscitivo.

In una versione dozzinale del transito al tardomoderno, si dispiega al lettore la via russa al postindustriale, fatta di una umanità sempre più depressa e impoverita, prima di tutto emotivamente, e di una società via via più degradata, ammalata, in pezzi.

Le somiglianze fra il romanzo della scrittrice russa e il film tedesco sono evidenti. Anzi, la Slavnikova, di recente in giro per l’Italia in occasione della “Settimana della cultura russa in Italia”, le ha ben presenti. D’altra parte, le vie dell’immaginario si intrecciano in vario modo – anche con il reale, come questo caso dimostra.

L’immortale è comunque un piccolo capolavoro, per lo spunto di partenza, certo, ma prima di tutto per lo sguardo quasi estraneo, alieno, della scrittrice, per la potenza metaforica che in certi momenti mette in campo.

Una Russia rappezzata e sul punto di accartocciarsi su se stessa che rende bene la continuità stagnante fra il vecchio potere e il nuovo, e il contagio di rassegnazione e disadattamento che produce.

Nella grande tradizione di Gogol.


 

     Recensione di a. f.