A Very Long Way From Anywhere Else
di Spaceheads and Max Eastley

Bip-Hop

 

 





 

 

 

A Very Long Way From Anywhere Else di Spaceheads and Max Eastley

 

Attivi da una decina d’anni con sette dischi realizzati in duo, gli Spaceheads sono il trombettista e manipolatore di suoni Andy Diagram già con i Two Pale Boys di David Thomas e il batterista/percussionista Richard Harrison. I due in questa occasione reincontrano il multi-strumentista e scultore di suoni Max Eastley con cui avevano realizzato “The Time of the Ancient Astronaut” nel 2001, bel titolo che potrebbe essere quello di un racconto inedito di James Ballard, così come Eastley sembra prelevato dalla colonia di artisti che lo stesso Ballard collocò a Vermilion Sands.

Suggestioni letterarie a parte, Eastley lo si ricorderà come co-autore insieme a David Toop (a sua volta musicista e scrittore), di uno dei dieci dischi dell’etichetta Obscure voluta e prodotta da Brian Eno a metà dei Settanta. Il titolo dell’album “New And Rediscovered Musical Instruments” ben introduceva all’artigianato sonoro dei due.

Tornando a queste registrazioni, provengono da due concerti tenuti nel 2002 nel corso del festival di Mimi sull’isola di Frioul (di fronte a Marsiglia) e sul finire del 2003 in uno sperduto villaggio del North Yorkshire. La versione in trio rende ancor più complesso illustrare la proposta musicale di Diagram e Harrison, già decisamente di confine (basti dire che il loro primo album omonimo del 1996 conteneva una versione di Bella Ciao à la John Hassell), fatta di trame sonore lacerate da improvvise esplosioni ritmiche che paiono davvero accendersi dal nulla, in equilibrio, delicato ma riuscito, tra jazz, hip hop, dub e ambient.

Un impiego diffuso di echi, riverberi, delay, loop, sample che interagiscono con la strumentazione acustica, a sua volta non proprio usuale del duo. Insomma, due che ancora riescono a stupire, che osano e azzardano. Eastley ne altera a sua volta il sound, molto di più che nel precedente cd, dirottandolo verso territori in parte affini a quelli storici dell’improvvisazione, ad esempio in Isolation e soprattutto in The Dream That Murdered Sleep, dove sembra di ascoltare una Company (la compagnia di improvvisatori allestita nei primi anni Settanta da Derek Bailey) proveniente da Marte, grazie alle sonorità aliene dell’Arc, un monocordo in legno autocostruito da Eastley nel solco di quella ormai tradizione del moderno che risale al compositore Harry Partch. Dimensione spaziale ancora più evidente in Assume the Place of Dead, mentre Love Lends Wings To Our Desires appare la più legata alle sonorità sognanti del duo. Pezzo forte la lunga A Very Long Way From Anywhere Else, che riassume l’intero mondo degli Spaceheads, dai crescendo incontenibili alle atmosfere più gassose con quel tocco di alienità inquietante dovuto all’Arco variamente pizzicato/maltrattato da Eastley. Ora aspettiamo l’uscita annunciata per fine anno di un’altra versione in trio degli Spaceheads. Il partner di turno questa volta è il contrabbassista Vincent Bertholet con cui i due hanno registrato a Ginevra e Parigi.

 

     Recensione di g.f.