Eppur
non si muove, ovvero come | |
di Simona Vitale | |
…Cominciammo ad uscire insieme, cioè a guardare gli stessi film
alla televisione, a visitare gli stessi teatri e sale di concerto, a osservare gli stessi pasti
preparati nei ristoranti, il tutto nel conforto delle
rispettive case….
(Riunione di famiglia, J. G. Ballard)
È abbastanza facile accostare
“la permanenza in un mondo virtuale a un viaggio reale, in cui si visitano
luoghi nuovi, si conoscono nuove persone e si entra in contatto con culture
diverse dalla nostra. E più facile ancora è considerare il viaggio nei mondi
virtuali come un’attività da affiancare alla vita vera, piuttosto che
un’evasione dalla quotidianità[1]”. Del resto una delle
caratteristiche interessanti nelle opere di realtà virtuali, legata al gioco, è
la nozione di "avventura", così come questa era associata all’idea di
viaggio, fino alla metà dell'800. Ma non solo, nella terminologia
usata per descrivere la fruizione di una realtà virtuale, si usano parole
attinenti al viaggio, alla navigazione. Basti pensare che in una realtà
virtuale "si naviga", e i partecipanti sono definiti
"naviganti" o "cibernauti". L'accessibilità su larga scala consentita
dai moderni mezzi di trasporto nelle diverse
parti del mondo, anche le più impervie, ha dissolto l’assonanza
avventura-viaggio, che da esperienza ricca di imprevisti e a volte di pericoli,
si è trasformato in un semplice trasferimento da uno spazio fisico all'altro. Nei mondi virtuali invece permane questa metafora del
viaggio come avventura, abbandono alla contingenza, all’imprevedibilità,
all’intreccio di possibilità, alla dimensione extra – ordinaria. La realtà virtuale
apre nuovi spazi apparentemente infiniti all’esplorazione, alla scoperta e alla
colonizzazione ritornando ad un tempo mitico in cui c’erano mondi senza limiti
e risorse al di là di ogni immaginazione. L’avvento di questa nuova sfera
tecnologica si incontra con il bisogno di una cultura che, come suggerisce
Brenda Laurel, trovi la realtà contemporanea “troppo piccola per
l’immaginazione umana”[2]. Ogni discesa in un
mondo virtuale presenta quindi analogie con la dimensione del viaggio,
dell’avventura e della scoperta. Questo dato è tanto più vero se lo si associa
ai giochi fantasy e di ruolo online che inducono il giocatore in un percorso
biografico ricco di imprevisti e prove da superare (World of Warcraft vale come esempio per tutti). Eppure non è da
trascurare la dimensione del viaggio presente anche nei cosiddetti social virtual worlds[3] come Second Life. Qui la nozione di viaggio
andrebbe accostata a quella di turismo, un turismo moderno, rassicurante e
protettivo, come quello esperito da un viaggiatore in un luogo impervio del pianeta
ma al riparo nel suo hotel di lusso. I rischi legati al
turismo in Second Life appaiono perlopiù connessi alla sfera della socialità,
del bon ton, del buon gusto e della netiquette, delle relazioni insomma di tipo
amicale, professionale o amoroso. La figura del
turista in Second Life andrebbe accostata a quella di flaneur, di vagabondo
moderno e senza meta che gironzola, muovendosi tra uno spazio e l’altro, talora
rapito da questa vetrina, talaltra estasiato dinanzi ad un giardino o ancora
stufo e immobile ai piedi di un grattacielo. Nell’universo
sintetico di SL, “dove i paesaggi cambiano ogni giorno, dove gli edifici
appaiono e scompaiono in una manciata di secondi, vedere tutto può essere un
po’ complicato. Non ci sono segnali. Non c’è un ufficio del turismo con guide e
depliants, non c’è un’agenzia turistica che aiuti a pianificare un virtual
sightseeing”[4]. Una modalità come
una altra di vivere la propria seconda vita è infatti quella di perdersi nei
meandri urbani delle città ricostruite, lasciandosi accecare dai luccichii
degli spazi commerciali, immergendosi in foreste e fiumi all’apparenza
disabitati, ed oltrepassando il flusso di parole ed avatar riuniti in una
piazza popolata. Second Life come
tutti i social virtual world non ha uno scopo, non suggerisce obbiettivi da
perseguire al giocatore, il quale sceglie di intraprendere la strada che
preferisce, di allacciare le relazioni che più lo soddisfano in un dato momento
per poi abbandonare luoghi e persone e ricominciare un nuovo viaggio. “In SL la
geografia è quanto di più dismogeneo si possa immaginare. Tutto questo mondo è
costruito dai residenti, che comprano singole isole in cui realizzano ciò che
vogliono, senza alcun vincolo architettonico, urbanistico o paesaggistico,
talvolta anche morale. Così sorgono architetture e città che, per quanto
contigue fisicamente, non hanno nulla in comune[5]”. I seducenti
scenari in Second Life aiutano poi a perdersi nei paesaggi, lasciando l’utente
in balia delle sue curiosità visive da soddisfare. Potremmo a tal
proposito parlare di social landscapes, veri e propri paesaggi sociali
costituiti da agglomerati di avatar dalle skin sofisticate, universi digitali
da osservare, decifrare, ed esplorare Non stupisce
quindi come la dimensione del viaggio in Second Life possa essere ben concepita
se la si accosta all’esperienza onirica o quella legata all’uso di
stupefacenti.
[1] Gerosa M. Pfeffer A., Mondi virtuali, Castelvecchi, Roma 2006.
[2] Cit. in Rheingold, H. (1991). Virtual
reality. New
York: Simon & Schuster.
[3] Il concetto di social virtual worlds lo si ritrova in
Gerosa M. Pfeffer A., Mondi virtuali,
Castelvecchi, Roma 2006.
[5] Gerosa M., Second
Life, Meltemi, Roma, 2007.
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(1) [2] |