Immaginazione… Mediterraneo… Immaginate di Paolo Rosa

 

Non occorre rispondere con le parole a queste domande, meglio tentare di farlo con i fatti, immergendosi nelle diverse situazioni, correndo i rischi del già visto, del già scoperto, del già conosciuto. Ma con uno sguardo “spaesato” appunto, che possa generare opere, “vedute”, che si propongono di attivare un duplice modalità: uno stato di osservazione e una inevitabile necessità di azione. “Chi dipinge paesaggi dipinge anche se stesso e chi guarda un paesaggio guarda anche se stesso” in questo aforisma che cito a memoria, c’è la chiave di una doppia condizione che investe l’autore e lo spettatore. L’atto del contemplare un paesaggio è il punto più alto di coinvolgimento: una specie di smarrimento in un fermo immagine. Ma come accenni ad un movimento sei nel paesaggio, anzi fai paesaggio. Le due esperienze dello “stare davanti” e “stare dentro” si confrontano.  Le dimensioni dello “spazio reale” e del “tempo reale” si confondono. I ruoli di autore e spettatore anche.

L’approdo

A conclusione del nostro viaggio, censendo il materiale raccolto, abbiamo dapprima selezionato il nostro mosaico cinetico. Dopo, abbiamo composto i video, i dispositivi interattivi e quindi formato i cinque grandi paesaggi instabili.

Ma accanto a questo obiettivo primario restano altre cose: molte risuonano dentro di noi, nelle stanze della nostra memoria, altre, più visibili, si appoggiano agli scaffali del nostro laboratorio.

Si tratta innanzi tutto di una enorme quantità di materiale sugli uomini del Mediterraneo e sulla gestualità delle loro mani: mentre fanno il pane, battono il metallo, cuciono una rete, raccolgono l’uva… sono uomini che, in quel momento si relazionano con il territorio, lo trasformano, lo segnano con la loro cultura e la loro sapienza. Un paesaggio non può prescindere anche da ciò.

Questi artigiani della vita, che abbiamo documentato con il video, risuonano dal profondo, dal “sempre”. Esprimono una tattilità, sensualità, musicalità comune a tutta l’area mediterranea. I loro gesti sembrano modellare, insieme alla materia, anche il tempo. E il tempo emerge come un manufatto parallelamente all’oggetto che prende forma. Sono gesti che sanno far sognare i materiali oltre che renderli utili. A partire da queste relazioni osmotiche, da questa danza che l’uomo costruisce con gli elementi della natura, abbiamo potuto evidenziare quello che ci è parso un sesto e imprevisto movimento generativo al pari dei cinque già delineati:

Il gesto si accorda al tempo

movimento delle mani e della sapienza che modella la materia trasformandola in sogno e in ritmo della storia

Ma nell’insieme di cose e di pensieri che abbiamo accumulato abita sopratutto il desiderio di insinuare una necessità di Mediterraneo, così come l’abbiamo vissuta noi, fatta di voglia di riaprirsi ad una sua centralità, troppo a lungo trascurata e di esigenza di considerarlo “un divenire, una speranza non solo una radice” come scrive Adonis. Nella nostra ricerca di futuro, con questo stato d’animo abbiamo imparato ad ascoltarlo, a lungo, appoggiati al nostro cavalletto. E a considerarlo mare maestro.

 

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