La
produttività narrativa di Dick é forse tra le più vertiginose
che la letteratura del Novecento ci abbia regalato. Se il valore
e la rilevanza letteraria dei suoi scritti va sicuramente oltre
i confini del genere fantascientifico in cui essi vengono
collocati, è in ogni caso la sua produzione “di genere” ad
alimentare quel notevole interesse intellettuale sviluppatosi
intorno alla sua opera, oltre ad essere quella che ha consacrato
il suo (seppur tardivo) successo commerciale e editoriale. Meno
fortunate appaiono invece le sue opere mainstream,
ignorate del tutto, o quasi, dagli editori (e pubblicate solo
postume, sulla scia della rivalutazione di cui lo scrittore di
Berkeley è stato oggetto negli ultimi vent’anni) e, comunque,
mai osannate dalla critica.
Eppure le
ambizioni del giovane Dick non erano circoscritte all’ambito
della fantascienza, della cui scrittura provava quasi vergogna e
che reputava solo un mezzo per sopravvivere. Non è una sorpresa
allora che il suo primo romanzo, Gather yourselves togheter,
la cui pubblicazione è avvenuta negli USA solo nel 1994 (in
edizione limitata), sia un’opera non di genere.
L’opera,
tradotta con il titolo quanto mai indovinato di Il paradiso
Maoista ed edita da Fanucci in occasione del 25°
anniversario della sua morte (è uscita nelle librerie il 2 Marzo
2007. Lo stesso giorno del 1982 Dick moriva a causa di una serie
di arresti cardiaci), narra la storia di tre funzionari del
governo statunitense, lasciati soli a sorvegliare gli edifici
della cosiddetta “Compagnia”, uno stabilimento industriale
americano in Cina, ormai abbandonato e in attesa di essere
occupato dai suoi nuovi padroni. Mentre gli americani, il cui
lungo periodo di dominio in terra asiatica è ormai giunto al
termine, tornano nel loro continente, lasciando ai cinesi il
dominio dell’accampamento (quello che viene prefigurato è un
vero e proprio avvicendamento di civiltà e l’avvento di nuova
era), uno scherzo del destino fa sì che vengano designati ad
aspettare l’arrivo dei nuovi padroni Verne Tildon e Barbara
Mahler, due personaggi il cui passato è intrecciato da una breve
quanto intensa relazione, la quale ha lasciato tra i due antichi
rancori e tensioni irrisolte. A loro viene affiancato Carl, un
giovane ventiduenne (approssimativamente l’età di Dick
all’inizio della stesura dell’opera) dall’animo gioviale e
intraprendente. Entusiasta della vita e curioso del mondo che lo
circonda come solo un fanciullo può essere, Carl vive la
condizione di isolamento in cui i tre si ritrovano catapultati
non come un dramma, ma come una provvidenziale opportunità: essa
gli dà, infatti, la possibilità di esplorare liberamente i
territori asiatici in cui sono stati costretti per anni senza
poter mai oltrepassare i confini dei loro recinti individuali, e
di godere delle bellezze e delle ricchezze che questi offrono.
Barbara e Verne, al contrario di Carl, non riescono mai a trarre
beneficio fino in fondo da quell’immenso quanto ambiguo
paradiso, restando spesso intrappolati nelle trame dei loro
ricordi e nei rancori che li legano.
Dick dà
vita, così, a due personaggi complessi e problematici,
accomunati da un sentimento di disillusione che se nell’ormai
troppo maturo Verne è specchio di una sorta di fallimento
esistenziale (è solo l’alcool la strada ai piaceri della vita),
in Barbara prende la forma di un freddo cinismo di superficie,
che nasconde un animo desideroso del ritorno ad una purezza e ad
una spensieratezza giovanile abbandonata forse troppo presto, e
che finisce per portarla a sedurre il giovane Carl: vero e
proprio agnello sacrificale nella cui immolazione ritrovare il
candore originario.
I dubbi,
la cultura e la sensibilità del giovane Dick emergono con forza,
in un tono però ancora immaturo, a tratti adolescenziale,
impedendo le speculazioni di ordine esistenziale e filosofico
che emergeranno in modo sicuramente più consapevole e organico
nelle sue opere successive.
Con un
ritmo che a tratti sembra sfociare nel “flusso di coscienza”,
Dick rischia di fare de Il paradiso maoista semplicemente
un vademecum dove raccogliere in forma di romanzo le proprie
considerazioni intellettuali ed esistenziali, connotandolo di un
carattere ossessivamente autobiografico che si manifesta nei
dialoghi troppo lunghi e spesso del tutto superflui all’economia
della narrazione, o nei prolungati flashback riflessivi, che
comunque assumono per il lettore un certo fascino. Tutto ciò
contornato da un linguaggio ancora acerbo.
Le
relazioni sessuali, presentate in modo negativo e costruite
spesso in modo improbabile, assumono un valore fondamentale. La
demonizzazione dell’affermazione della sessualità e
dell’istinto, intesi come abbandono della purezza e
spensieratezza giovanile, emerge chiara dal romanzo: la precoce
(oggi ci sembrerebbe anche tardiva) scoperta del sesso da parte
di Barbara, a 20 anni, dà inizio al suo tormento interiore, così
come l’ossessione e la sottomissione di Verne verso le relazioni
sessuali e amorose sembra essere alla base del suo fallimento;
tutto ciò in contrapposizione col candore del vergine Carl, un
alter ego idealizzato dell’autore, che riflette esemplarmente la
gioventù troppo presto perduta da Dick, che già aveva alle
spalle un matrimonio fallito. La presa di potere da parte dei
cinesi, che scavalcano la ormai decaduta civiltà statunitense,
riflette invece l’atmosfera postbellica in cui il romanzo si
colloca: l’avvento della guerra fredda e lo scontro di civiltà
che ne è derivato. E Dick non si mostra morbido né
accondiscendente nei confronti di nessuna forma di potere,
rappresentata da un lato dagli americani e dall’altro dai
cinesi, paragonati nel romanzo ai romani e ai cristiani, con
evidenti accezioni negative per la storia di ambedue queste
potenze dominatrici del passato.
Nonostante
le pecche stilistiche e l’immaturità, comunque, il romanzo si fa
leggere fino alla fine, come sempre accade con le opere di Dick,
del quale è da apprezzare l’impegno e l’intraprendenza
giovanile. Del resto, la fama di Dick non deriverà certo dal
mainstream, e ben altra fortuna avranno le sue opere di
fantascienza: solo pochissimi anni dopo scriverà il
fortunatissimo L’uomo dai giochi a premio, oggi
ripubblicato come Tempo fuori luogo (o fuor di sesto).
Il
paradiso Maoista
resta in ogni caso un pezzo da collezione, imperdibile per gli
appassionati di questo visionario e ormai “classico”
rappresentante della cultura di massa.
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