Splendido
libro, illuminante esplorazione dell’opera dickiana che adombra
la nostra ipercontemporaneità insinuandosi nella livida
atmosfera della postuma fatiscenza metropolitana, annidandosi
negli anfratti raggiunti dal labirinto mediale, serpeggiando
negli angoli bui dei traffici illeciti e incuneandosi nelle
pieghe esistenziali di una sbiadita umanità o di una de-evoluta
postumanità.
Il titolo
di questo brillante saggio richiama immediatamente un romanzo
generazionale a cui Dick attribuisce valore testamentale, A
Scanner Darkly, scritto nel 1977, tradotto dallo stesso
Frasca, ma rimanda diffusamente al grigiore dello spaesante
domestico, alle vite sotterranee di foschi personaggi, che
vanamente cercano di illuminare orrifiche destinazioni, e al
gioco di dissolvenze di sguardi ciechi, vitrei, attoniti,
inerti, sfumati l’uno nell’altro, sullo sfondo confuso e
indistinto del ribollire entropico.
Questo
prezioso lavoro sugli snodi fondamentali del pensiero di Dick si
inabissa nelle profondità tumultuose di una produzione che
ancora travolge, sollevando distopiche questioni, ancora
sommerge, sospingendo verso magmatiche riflessioni, ancora
rapisce, emergendo ambiguamente da una mai definitivamente
compiuta complessità ermeneutica.
Frasca,
nel sapiente intreccio tra analisi storica, politica e
filosofica, attraversa le articolazioni significative di un
immaginario capace di rispecchiare i processi reali, di
riflettere le dinamiche strutturali, interpretandone le spinte,
percependone le forze, registrandone gli impulsi, ma anche di
proiettarsi sul futuro, su spazio-temporalità virtuali,
ingenerando riverberi che puntualmente confermano le ardite
previsioni.
Le “as
if” views dickiane assimilano l’inconoscibilità noumenica
del mondo all’imperscrutabilità di processi economici che negano
l’avvenire, di circuiti commerciali oscuramente
virtuosi, che ingenerano
mutevoli micropoteri e che si nascondono nel vuoto legislativo
coperto dalla burocratizzazione di un controllo autoritario e
poliziesco. La teoria dickiana di sguardi si diffonde
instaurando un regime di visualizzazione generalizzata,
prefigurando il processo di tecnicizzazione della visione,
marcata accentuazione dell’artificialità dell’esperienza, e
costruendo una sorta di panopticon, un regno della
delazione ottica, elemento centrale della contemporaneità.
Dalla
patina risplendente del media landscape si scivola verso
l’ottusità tragica dell’ottenebrato consenso politico, dove ogni
processo di verità non potrà mai acclarare, portare alla luce,
dipanare, lasciar affiorare, e si avvilupperà piuttosto nelle
proprie increspature, dove poter celare i bagliori del
disincanto e soffocare i corruschi disvelamenti.
Davvero
fruttuosa l’incursione di Frasca, che descrive fenomeni
materiali ed “emozioni culturali”, avventurandosi attraverso
quelle che appaiono nei racconti e nei romanzi di Dick già le
spoglie fantasmatiche di un veterocapitalismo
riterritorializzante, inoltrandosi nella disforia liberista e
nella compromissione tra vero e falso, sortita dalla
sovreccitazione psichedelica o dalle luccicanti, ma non certo
innocenti, spettralizzate immagini mediatiche.
Nell’incomprensibilità del telos dell’esistenza, nella
stupidità degli umani percorsi, nel chiaroscuro delle
persistenti memorie, nell’indistinguibilità del minaccioso
alieno e nell’irriconoscibilità di un’alienazione inoculata
nella carne, le creature dickiane appaiono sempre più prive di
emozioni, sempre meno palpitanti, sempre più tendenti a spegnere
i lampi psichici nel nulla contemplativo dello stupore
catatonico e a scolorire le passioni nella penombra di mortiferi
presagi.
La cupa
consapevolezza dickiana che ogni produzione è già la sua
dissoluzione e che il destino degli uomini coinciderà sempre più
con il futuro stampigliato in ipercomplessi circuiti impiantati
nel corpo induce al contempo all’amore per l’inanimato e
all’orrore per l’indistinto: mentre nelle opache vastità di
alterate soggettività si incancreniranno le disillusioni e si
occulteranno le identità, come apparizioni fantasmatiche nella
notte dei multiversi dickiani, imprigionati in carceri
tecnologiche, scruteremo anche noi al di là delle
sorvegliatissime sbarre, al di là del non più tanto
inarrestabile deperimento organico, quella putrida materia che
niente risparmia, quel deserto senza ombre che tutto riguadagna,
contrastando il nostro tempo, che è anche il tempo della rovina
e combattendo il nostro mondo che è anche il mondo
dell’oscurità.
Il ricco
testo di Frasca, nell’interpretare la potenza e la fascinazione
degli scritti di Dick, pur cogliendone le ragioni catastrofiche,
dall’incubo storico al dramma escatologico allo scacco
biologico, riconosciuta l’inanità di ogni forma di resistenza,
intravede tuttavia un saldo ancoraggio, che aiuterà a “restare
vigili nel buio”, placando l’angoscia della finitudine, il
dolore per la mancanza: il legame che vincola empaticamente gli
uomini, il perseguimento dell’agape, la carità, che
comincia a guizzare nelle batterie ad elio dei robot, quasi a
volerne contrastare la scarsità nei cuori umani, permetterà di
rivolgersi all’hic et nunc dell’oggi, rinascendo nella
solidarietà e fondando un’etica che libera il mondo
dell’immaginazione per farne materia del presente.
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