Diciamo
subito che siamo probabilmente di fronte a uno dei migliori
lavori dell’ex bassista dei Soft Machine, oggi a capo di una
discografia sterminata (si consiglia a questo proposito un tour
sul sito olandese www.hulloder.nl), e probabilmente, tra le
tante ristampe di materiale canterburiano, questa era una delle
più attese in quanto il vecchio vinile, uscito nel 1977 per la
microscopica etichetta norvegese Compendium, reclamava ormai da
più di trent’anni una riedizione come si deve e non rabberciata
come quella del 1996 a opera della Culture Press. Ci ha pensato
la solita Cuneiform di Steve Feingenbaum che ha fatto come era
prevedibile le cose per bene rimasterizzando il tutto partendo
dai nastri originali (e non dal vinile) ed eliminando anche un
quasi impercettibile salto (durante il solo di Elton Dean nella
traccia “neo coltraniana” The Lonely Sea and The Sky) che
si era verificato in fase di cutting. L’opera, tirata a
lucido, si conferma un exploit non solo dell’Hopper musicista,
ma anche dell’Hopper compositore e organizzatore del suono. Sì
perché, come spiega lo stesso Hopper nelle nuove note di
copertina allegate alla ristampa, i contributi degli otto
musicisti che collaborarono al disco vennero registrati in
studio uno per volta, al Mobile Mobile di Jon Anderson degli Yes,
e poi sovraincisi con l’aiuto del sound engineer Mike Dunne.
Solo per Crumble, un tema funky infiorettato dal Fender
Rhodes di Frank Roberts (Isotope), Hopper e il batterista Mike
Travis (Gilgamesh) si incontrarono in studio per buttare giù le
parti ritmiche. Nonostante questo processo a dir poco insolito
all’epoca, il sound risulta compatto e l’amalgama tra le parti è
perfetto grazie a un sapiente lavoro di collage e trattamenti
dei contributi esterni effettuato su registratori multipista con
il basso elettrico di Hopper sempre in primo piano sia come
solista, sia come accompagnatore/doppiatore degli interventi dei
partner. Tutti i pezzi sono degni di nota. Ma qualche menzione
speciale bisogna pur farla. A spezzare il ghiaccio c’è la marcia
imperiosa dell’introduttiva Hopper Tunity Box con fuzz
bass a doppia velocità, organo e tone generators all’opera. Una
combinazione ripresa nella gotica Gnat Prong con l’Hammond
di Dave Stewart (National Health) a disegnare una spettrale
coda. Clima misterioso anche per Lonely Woman di Ornette Coleman
(l’unica cover del Box) improvvisata in studio
“incollando” le parti dei differenti strumenti e piazzando le
percussioni su un loop. Oltre ai musicisti già citati, sempre a
proposito di menzioni speciali, sono da ricordare Gary Windo,
sparato al massimo come sempre in Miniluv (brano già
presente in “1984” – vedi Quaderni D’Altri Tempi, anno 2,
numero 5 – esordio solo di Hopper), ed Elton Dean, cesellatore e
solista sopraffino in The Lonely Sea and the Sky (al
saxello) e in Spanish Knee (al sax alto).
Chiude il
box la stupefacente Oyster Perpetual scritta nel 1973,
l’anno della dipartita di Hopper dai Soft Machine. E, difatti,
il tema si avvicina molto a certe atmosfere di “Fourth” dei Soft
Machine. Qui Hopper è in piena solitudine con le sue quattro
corde elettriche a più velocità (talvolta accelerate in modo tra
trasformare il suono del basso in quello di una chitarra
acustica amplificata) a ricamare un groove perpetuo che
lascia l’ascoltatore quasi senza respiro.
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