Titolo: Una Scomoda Verità
Titolo originale: 
An Inconvenient Truth

Regista:  Davis Guggenheim 
Produttore: 
Paramaunt
Genere: Documentari
Durata: 93 minuti
Codice area: Area 2 (Europa/Giappone)
Lingue: Inglese, Italiano
Sottotitoli: Inglese, Italiano
Formato video: Wide Screen
Formato audio: Dolby Digital 5.1

 

 

 

 

 

 





 

 

 


Una scomoda verità
di Davis Guggenheim con Al Gore

 

An Inconvenient Truth è un film/documentario che parla del futuro. A chi lo vede per la prima volta può sembrare che si parli del mondo di oggi, e di come si stia evolvendo; ma Al Gore, che di questo film è autore e attore unico (nei panni di sé stesso, “l’ex-futuro presidente degli USA”), ci mostra come quest’idea sia sbagliata: la realtà attuale si sta evolvendo così rapidamente che presente e futuro sono oggi una cosa sola ed ogni azione che svolgiamo quotidianamente ha effetti devastanti nel prossimo futuro.

Il riscaldamento globale non è più una curiosità scientifica con la quale baloccarsi attraverso grafici ed esperimenti con palloni sonda, ma è una realtà che ha cambiato e sta cambiando la vita di milioni di persone. Chi racconta tutto questo non è uno scienziato, ma un politico, che forse pecca un po’ di semplicismo in alcuni punti del suo discorso ma riesce a rendere meglio di chiunque altro il peso di una “verità sconveniente”; e che lancia un messaggio: gli scienziati sono uniti nell’indicare i passi da fare per salvare l’umanità dall’estinzione dovuta al global warning, ma spetta ai politici prendere le decisioni forti. Politici che finora negli USA, il Paese che contribuisce per circa il 30% alle emissioni di gas serra, sembrano aver ben altro a che pensare, tra rifinanziamenti di missioni disastrose e scudi spaziali. Quando Philip Dick raccontava le sue paranoiche ipotesi di complotti governativi, o James Ballard narrava la distruzione del nostro modo in opere come Terra bruciata o Deserto d’acqua, ai lettori tutto ciò sembrava buona e solida fantascienza, ma nulla di più. Film come questi (vincitore dell’Oscar 2007 come miglior documentario) ci appaiono però qualcosa di diverso: vediamo la fantascienza diventare realtà, come lo era diventata quel giorno dell’11 settembre 2001 che Gore non a caso cita spesso. Lo fa perché vuole toccare le corde degli americani, imprigionati nella gabbia dorata costruita da politici senza scrupoli, imbotti di chiacchiere di scrittori prezzolati come Michael Crichton che nel suo scellerato Stato di paura ipotizzava che la scomoda verità non fosse il riscaldamento globale, ma il progetto segreto di eco-terroristi intenzionati a distruggere le grandi economie mondiali.

Al Gore cita soprattutto, con voce sommessa e occhi bassi, la distruzione di New Orleans nel 2005 provocata dall’uragano Kathrina. Altra nota dolente, su cui si batte ripetutamente per svegliare le coscienze di politici e cittadini americani, illusisi spesso che i disastri ambientali colpissero soltanto le zone più disastrate del mondo (il Sud-est asiatico, l’Africa).

Quando passano le immagini di quel disastro senza precedenti, dell’indifferenza di Washington, e ancora di più quando Gore mostra con la computer-grafica come tra pochi decenni la zona del World Trade Center Memorial sarà sott’acqua, si capiscono molte più cose di quanto avvenga attraverso i grafici. Perché i grafici restano nel mondo ovattato delle certezze scientifiche, i disastri sono parte del mondo reale delle certezze vissute sulla pelle. Il cambiamento climatico e i suoi effetti, ci fa capire Gore con i suoi modi pacati e gentili, sono già reali. Poi viene la parte più clamorosa: la sordità delle lobby e dei senatori al loro servizio, oltre – soprattutto – alla disonestà di un’amministrazione americana che, lungi dal fare gli interessi dell’America, fa solo gli interessi delle grandi compagnie petrolifere di cui Bush jr. e compagni sono la propaggine politica. Sull’orlo del baratro della barbarie e dell’inciviltà, l’America dei neo-conservatori relega così nel cassetto delle fiabe della buonanotte anche il riscaldamento globale insieme all’evoluzionismo, alla teoria del Big Bang, allo sviluppo sostenibile e altre scomode verità. Il film si conclude come era iniziato, in un paesaggio bucolico che somiglia all’Eden perduto la cui riconquista oggi è più lontana che mai: un paesaggio da favola, non a caso, perché nel mondo delle favole presto finiranno tutti questi paesaggi incontaminati, ma anche perché Al Gore cerca di spronare lo spettatore a rimboccarsi le mani perché qualcosa si può ancora fare per salvare questo mondo, che è “l’unica nostra casa nell’universo”.


 

     Recensione di Roberto Paura