Chris McGregor’s Brotherhood Of Breath e Brotherhood
di Brotherhood Of Breath

Fledg’ling

 

 

 

 

 

 

 





 

 

 


Chris McGregor’s Brotherhood Of Breath + Brotherhood di Brotherhood Of Breath

 

Storia triste, quella di Chris McGregor e di buona parte della sua confraternita, triste come quella di tutti gli esuli, felice come poche nei risultati artistici, oltremodo sventurata per la sua scomparsa precoce, come quella degli altri musicisti sudafricani emigrati a Londra nei Sessanta. I fatti in breve. Arriva dal Sudafrica con il suo quintetto Blue Notes, composto da Mongezi Feza, Nikele Moyake, Louis Moholo e Johnny Dyani, amplia la formazione arruolando alcuni tra i migliori musicisti inglesi, come John Surman, Mike Osborne, Marc Charig, Evan Parker, Nick Evans e altri due esuli, Dudu Pukwana e Harry Miller. All’alba dei Settanta nasce la Brotherhood of Breath grazie a una sovvenzione dell’Arts Council britannico e il suo sound unico, composto dalla sintesi di due estremi musicali: da una parte la dolcezza delle melodie africane e dall’altra il furore creativo della free music inglese.

L’esordio discografico è del 1971, il secondo Lp sempre registrato in studio esce nel 1972, con formazione praticamente invariata (la novità è Gary Windo, mentre escono Surman e Ronnie Beer). Entrambi gli album furono pubblicati dalla Neon, etichetta progressive della RCA. Come altri simili tentativi ruffiani dell’epoca, anche in questo caso, trascorso il momento/novità, questi dischi finirono nell’oblio. Il primo album, più fortunato, ebbe una prima ristampa nei Novanta grazie all’etichetta tedesca Repertoire e una seconda ad opera dell’italiana Akarma. Il secondo disco, invece, è rimasto un oggetto smarrito per oltre 35 anni. Oggi la Fledg’ling li ristampa entrambi avvalendosi dei master originali, che ne restituiscono l’ottimo suono delle registrazioni originali. I due album grazie a brani irresistibili, come Mra (un inno posto in apertura del primo disco), ricordano che l’originale blend di kwela e jazz allora non si etichettava “world music”, ma risulta più fresco di parecchie furbate odierne. L’orchestra sfoggia furore free (Joyful Noises) e temi deliziosi (la citata Mra, Andromeda, Do It), mai smarrendo il filo magico con cui legare composizione e improvvisazione. Solisti in forma smagliante per un susseguirsi di gioia e rabbia, ritmo e deflagrazione del suono.

Nel seguito della storia della band, un momento chiave è rappresentato dallo spettacolare concerto registrato al festival di Willisau nel 1974 che offrì l’occasione a Harry Miller (anch’egli sudafricano) di inaugurare l’etichetta Ogun, iniziando le pubblicazioni proprio con la registrazione di quel concerto. Negli anni la Ogun renderà possible documentare l’attività di artisti altrimenti ignorati dalle major. Poi i lutti. Scompare nel 1976 Mongezi Feza e l’orchestra si scioglie. McGregor si dedica al piano solo (tre lp nel 1977) e ricostituisce i Blue Notes per un concerto omaggio. Il quartetto comprende Dyani, Pukwana e Moholo. Si ritroveranno in tre nel 1987 per ricordare Dyani scomparso nel 1986. Sul finire degli anni Ottanta la Brotherhood of Breath si ricostituirà, ma fornendo poche prove del suo valore, McGregor muore, nello stesso anno ci lascia Pukwana e con loro un esempio luminoso di creatività collettiva.


 

     Recensione di g.f.