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Un’altra profonda analogia tra l’universo sacrale ed il
cyberspazio la si può riscontrare nella loro affinità temporale. Nel rituale,
l’emulazione degli archetipi abolisce il tempo. L’ordine sacro sopprime
idealmente l’impeto corrosivo del tempo stesso. La realtà, resa sacra e
richiamata nel rito, si estranea infatti dal divenire. È sempre uguale e non ha nessun percorso storico.
Mentre tutto ciò che è profano e partecipa alla storia è ridotto al logorio,
nello spazio sacro, che ripete i modelli esemplari, l’uomo quasi nega la sua
mortalità e si immette nell’eternità, nell’atemporalità del cosmo.[9] Allo stesso modo, la rete, che predilige la comunicazione
in tempo reale, favorisce l’idea di un tempo
senza tempo, congela la temporalità nel sempre
presente dei flussi informativi che si scalzano velocemente l’un l’altro
senza dar vita ad alcuna sequenzialità, ad alcuna precisa relazione di causa ed
effetto.
[10] Pura
acronia, senza storia. A ciò va aggiunta l’idea del mondo virtuale come di un
universo che, abolendo tutto ciò che è corporeità e quindi tutto ciò che è
soggetto a decomposizione, può aspirare all’immortalità dei dati informatici,
all’effervescenza sempre viva dell’informazione. È forse nell’immaginario della
rete che l’uomo può scolpire in maniera energica la sua tenace battaglia alla
morte. In un pensiero che riecheggia forme di neoplatonismo, si staglia il
mondo perfetto delle pure idee, dello spirito fatto di informazione, della
codificazione binaria senza difetti, che tende alla più tranquillizzante e
seducente forma di atemporalità. Pericoli del culto della rete È preferibile, secondo un immaginario di tal tipo,
incontrarsi nell’universo digitalizzato, etereo, leggero, senza gravami, dove
ci si può inserire nell’insieme psichico planetario. La trasparenza del mondo
di idee ed archetipi della rete viene considerata come la porta per una nuova
civiltà, all’insegna dell’estasi e della liberazione dal corpo. Ma questo ambiente senza centro, senza fisicità, può anche
apparire come una forma di antiumanesimo, come la fine dei pilastri che hanno
retto la società occidentale ed il soggetto moderno. La legge, la parola, la teoria, l’incontro fisico,
l’interiorità individuale, la vita privata vivrebbero uno smacco deciso di
fronte a questa apologia dello spirito, dell’ubiquità, della trasparenza, in
cui l’essere è del tutto informazionale. Un delirio
di onnipotenza mistica,[12]
teso ad andare oltre la sensibilità umana, il corpo, l’uomo, potrebbe
addirittura portare all’isolamento di ogni individuo effettivo – solo di fronte
al suo terminale – ed alla crisi del legame sociale. Insomma, tirando le
somme, da un lato si osservano forme di reincanto e di ricoinvolgimento,
tramite il cyberspazio, in un mondo di significati partecipativi. Ma,
dall’altro, c’è chi avverte il pericolo della fuga dal corpo, della fuga
dall’uomo stesso. Immaginari contrapposti che disegnano le trame di un tenace
dibattito ancora agli inizi, ma soprattutto della capacità delle tecnologie di
accompagnare sempre costruzioni sociali della realtà di impatto veemente sul pensiero
pubblico e sulle relazioni sociali.
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