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Se ci pensiamo bene, buona parte dell’immaginario con cui
ci si rapporta al cyberspazio ha molti punti di convergenza. E parliamo sia
delle rappresentazioni recondite comuni forse a tanti di noi, ma soprattutto
degli slanci utopici di buona parte degli adoratori della rete. Come Erik Davis
ha messo in evidenza, il cyberspazio è infatti spesso concepito come uno spazio dell’anima elettronico, un “posto dove sospendere le usuali regole
scientifiche che limitano la realtà fisica nella quale vivono i nostri corpi”,
un ambiente interattivo condiviso
dove aderire collettivamente, quasi ritualisticamente, a significati, simboli,
progetti.[6]
In questo spazio, immateriale, trascendente, separato dal mondo profano
come il sacro, si crede che possa circolare il pensiero collettivo e che possa
acquisire linfa vitale il progetto, caro agli epigoni di Teilhard de Chardin,
di una noosfera, ossia di un’unità
psichica planetaria, in questo caso fatta di informazione digitalizzata. Questo
mondo, quasi riecheggiando un immaginario animista, pullula di spiriti, nella
forma di immagini, suoni, icone, metafore, informazioni condivise, che prendono
corpo e poi vagano quasi indipendentemente nell’universo infinito, frattale e
rizomatico, della rete. Contenuti spesso avvertiti come quasi sovrannaturali,
ma una fonte di opulenza di senso che in tanti sentono come virtualmente
prolifica. E, soprattutto, siamo di fronte alla purezza assoluta
dell’informazione digitale, che non porta con sé i difetti del mondo tangibile
e corporeo. Così come la magia rappresenta le pratiche atte a
manipolare lo straordinario, il numinoso, per dominare ed usare ciò che sfugge
all’universo umano,[7] così
tutto si gioca nelle possibilità, quasi sciamaniche, di governare questo mondo
immateriale per goderne delle forze pure, abbandonando l’imperfezione della
vita profana per donarle nuova luce. È questo il caso di un atteggiamento
utopico diffuso, ben esemplificato dall’utopia degli hacker o dall’ottimismo
progettuale di tanti intellettuali come Pierre Lévy. Per questo autore
francese, infatti, il cyberspazio può ospitare l’effettivo potenziale
dell’organizzazione dell’umanità intera all’interno di un’intelligenza collettiva. Un pensiero planetario coordinato in tempo
reale, sempre in atto, capace di utilizzare al meglio e perfezionare tutte le
singole competenze e conoscenze. Si plasmerebbe così un sapere comune sempre
più esteso ed efficace e, allo stesso modo, la possibilità di una politica di
democrazia diretta – beneficiaria dell’apporto e delle idee di tutti – che
sarebbe in grado di venire rapidamente incontro ad ogni specifica esigenza
facendosi carico del benessere collettivo.[8] Un chiaro esempio, questo, di come le forze trascendenti,
in un simile mondo di archetipi digitalizzati, siano immaginate come attraenti
forme di purificazione e partecipazione condivisa ad un mondo perfetto, sacro,
atto addirittura a forgiare benefici o a donare senso alla quotidianità profana
ed insignificante. Un mondo plurale e complesso, ma ricco e promettente. E di
esempi di una tale impalcatura immaginaria potrebbero essercene tanti. Si pensi
infatti, in merito alla forza ideale di archetipi tradotti in cifre binarie,
anche ai modelli esemplari degli universi dei videogiochi online, delle
interazioni virtuali, ecc., che possono rappresentare una trasposizione
effettiva dei miti, dei simboli condivisi, delle prospettive comuni a cui si
prende parte collettivamente nella pratica rituale del gioco, della
comunicazione interattiva, ecc.
[4] Cfr. Mircea Eliade (1949), Il mito dell’eterno ritorno. Archetipi e ripetizione, Borla, Roma
1999.
[5] Cfr. Jean Cazeneuve, La sociologia del rito. Il rito nella vita quotidiana, Il
Saggiatore, Milano 1974, pp. 49-54 e 261-272.
[6] Cfr. Erik Davis, Techgnosis. Miti, magia e misticismo nell’era dell’informazione,
Ipermedium libri, Napoli 2001, p. 203.
[7] Cfr., Jean
Cazeneuve, op. cit., pp. 246.257.
[8] Cfr. Pierre Lévy, L’intelligenza collettiva, Feltrinelli, Milano 1996.
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