Claudio Sessa
Il marziano del jazz
Vita e musica di Eric Dolphy

Luciano Vanni Editore
pagg. 123

€ 15,00

 

 

 





 

Il marziano del Jazz - Vita e musica di Eric Dolphy 
di Claudio Sessa

 

Troppo avanti nel tempo, così immaginiamo in genere gli extraterrestri o quelli per antonomasia, i marziani e non importa se sono animati da buone intenzioni oppure ostili per natura: noi comunque non riusciamo a capirli. Sin dal titolo, quindi, Sessa centra il bersaglio nel raccontare la straordinaria vicenda umana e artistica di Eric Dolphy, musicista troppo avanti rispetto al suo tempo.

Un talento sconfinato, riconosciuto solo da pochi mentre era in vita. Non era facile, bisogna ammetterlo, la critica musicale ottusamente non ci capì molto, ma bisognava essere dei geni per comprendere Dolphy e infatti videro bene solo dei titani come John Coltrane o Charles Mingus. Tutto in Dolphy era alieno, dalla capacità di essere contemporaneamente immerso nella tradizione e in prima fila nei progetti musicali che disintegrarono il passato (uno su tutti: Free Jazz di Ornette Coleman), al polistrumentismo (sassofono contralto, clarinetto basso, flauto) allora decisamente inusuale. In anticipo sui tempi anche per l’ampio spettro dei suoi interessi, dalla musica accademica contemporanea e classica a quella indiana e dei pigmei africani, dal canto degli uccelli al suono delle onde.

Non solo, Dolphy condivideva con i marziani il dono della riconoscibilità immediata. ET lo scorgeremmo anche in uno stadio pieno come un uovo e Dolphy lo si riconosce dopo un paio di battute, fosse solo per quel suo saltare più veloce della luce dalle note più basse alle più acute. Solo oggi lo si comprende meglio e Sessa ne documenta il crescente interesse, gli omaggi e le riprese del repertorio. Lo stesso libro origina da un intervento dell’autore al convegno Tributo a Eric Dolphy, tenutosi a S.Vito al Tagliamento il 15 maggio 2004.

A tal proposito, si deve aggiungere un disco successivo alla stesura del libro, Out To Lunch, rilettura integrale del capolavoro di Dolphy ad opera della New jazz Orchestra di Otomo Yoshihide, chitarrista, turnablist e smaliziato sperimentatore. Insomma, ancora oggi il californiano si ritrova tra musicisti di confine. Un’attualità che oltrepassa, però, la citazione diretta, essendo percepibile più in generale nella sensibilità contemporanea. Scrive Sessa: “Dolphy conservava nel proprio patrimonio espressivo ogni esperienza passata, creando un affascinante e complesso reticolo di connessioni con il passato”.

Difficile non riconoscere in ciò il medesimo atteggiamento che oggi agita nel modo più sano, quando ci si riesce, fruizioni, relazioni e creazioni di questa tarda modernità. Un visionario, dunque, nato a Los Angeles nel 1928, morto a Parigi nel 1964 per un diabete non diagnosticato, arrivato a New York nel 1960 con alle spalle, di significativo, la sola militanza nel gruppo del batterista Chico Hamilton, capace in soli quattro anni di lasciare un segno indelebile (e un grande vuoto), seminando anche la nascente scena radicale europea.

Molto ben documentato, Sessa ne analizza scrupolosamente il repertorio, esamina la struttura delle singole composizioni, segue l’evoluzione di un brano nelle differenti versioni prodotte nel tempo, osserva e riflette sull’impaginazione degli album, individua corrispondenze, simmetrie, rimandi e legami nascosti nelle scelte operate da Dolphy, prende in esame separatamente le registrazioni in studio, quelle live e le collaborazioni con particolare attenzione a quelle con Mingus e Coltrane. Dedica capitoli a parte per gli album postumi e per le versioni di God Bless The Child di Billie Holiday.

Un po’ ovunque lungo il racconto, il rammarico di Sessa, pienamente condivisibile, per un progetto complessivo perseguito da Dolphy che la morte improvvisa ha reso per sempre imperscrutabile, solo vagamente intuibile. Un lavoro denso di acute osservazioni, ad esempio quella relativa al comune sentire di Dolphy con Thelonious Monk (con cui non riuscì mai a suonare) e di entrambi con Art Tatum, ma anche un libro appassionato, come deve essere l’omaggio a un uomo straordinario.


 

     Recensione di g.f.