Né con il fandom, né con i
detrattori/banalizzatori. Di
futuri ce n’è tanti muove fuori dalla logica del
bipolarismo culturale che proprio sulla fantascienza si è fatto
le ossa. Daniele Barbieri e Riccardo Mancini oppongono ai fans
della sci-fi la netta distinzione tra la robaccia e la buona
letteratura. Lo fanno da competenti, con un dosaggio inappuntabile
di trame celebri e finezze da intenditori. Ai denigratori, invece,
ricordano la capacità del genere di prefigurare scenari spesso
anticipatori di guai seri nel cosiddetto mondo reale e sempre
precisi nell’indicare i malesseri che un nuovo salto tecnologico
o un’inedita applicazione del know-how disponibile potrebbero agitare.
Insomma, questo è prima di tutto
un lavoro sentimentale, ovvero una testimonianza della relazione
che i due autori intrattengono con la letteratura di fantascienza.
La copertina che simula le copertine di Urania – la
pubblicazione di fantascienza per antonomasia in Italia – è più
che eloquente in proposito.
All’interno del genere, poi, ci
sono amori più intensi di altri, passioni che sarebbe ipocrita
celare e gli autori non si nascondono dietro un dito: Theodore
Sturgeon, ad esempio, è autore degno della massima stima e
ammirazione e la coppia Barbieri/Mancini non lo nasconde certo.
In secondo luogo, è un invito a
“uscire da un presente senza sogni”, proponendo istruzioni al
proposito, appellandosi al lato sovversivo o quantomeno
problematico dei testi presi in esame. Sano proposito,
condivisibile, sebbene la letteratura di fantascienza oggi se la
passi maluccio, accerchiata da Rfid, iPod, connessioni wireless,
nutriceutici, avatar in 3D, ogm, giusto per citare una manciata di
fenomeni tratti dal mondo del consumo e dell’intrattenimento
quotidiano che appena ieri sembravano dover comparire dopodomani.
Sullo stato di salute del genere
dice la sua Valerio Evangelisti, in un’introduzione che da sola
basta a certificare la bontà di questo libro, un po’ come una
certificazione etica SA8000. Evangelisti non può non esprimere
anch’egli preoccupazione (con cifre alla mano) per la salute del
genere, ma si dichiara fiducioso in un futuro più tonico.
La questione, in realtà, è
estendibile ben oltre l’orbita della fantascienza e qui, invece,
tutti e tre per un attimo oscillano verso il fandom, anche se del
migliore. In fondo, non è la sola fantascienza ad avere guai con
la contemporaneità. Senza dilungarci, basti pensare che il jazz
oggi non può certo vantare geni del calibro di Charlie Mingus,
Miles Davis, John Coltrane, visionari come Albert Ayler o Sun Ra e
più in generale la musica è in affanno. Difficile vedere oggi
analoghi di Frank Zappa o dei King Crimson, di Jimi Hendrix o dei
Soft Machine.
Andiamo al cinema e la musica…
è la stessa. Dunque
le arti travolte da un comune insolito destino, quello di
ripensare a forme e modalità di produzione in un’era che è
anche un passaggio antropologico dalle protesi del corpo a quelle
della mente. Infine, questa è una guida alla fantascienza, lo
statuto formale del libro, ma una guida insolita, cosicché la
presentiamo in coda tanto per restare fuori dagli schemi. Gli
autori propongono otto sentieri, capitoli tematici dedicati alla
città, alle macchine pensanti/senzienti, semiumane/oltreumane,
alla religione, al sesso, alla politica, alle forme di reclusione.
Qui gli
scrittori di fantascienza prendono spesso direttamente la parola
con estratti anche lunghi dai racconti o dai romazi citati.
Qualcosa del genere, per la cronaca, tentò Sergio Gabutti nel suo
Dizionario della
fantascienza, pubblicato a puntate su Alter negli anni Ottanta. Che cosa cercano in buona sostanza
Barbieri e Mancini? Spetta a loro dirlo: “Cerchiamo viottoli,
non autostrade; ragionamenti a zig-zag; cristalli sognanti;
penultime verità; metalli urlanti; visioni pericolose e ambigue
utopie”.
|