La nuova uscita di Bruce Sterling
prefigura un possibile racconto di fantascienza a venire, quello
del saggio d’anticipazione, un genere ai confini
dell’immaginario già esplorato dallo stesso Sterling e di
recente anche da Andreas Eschbach (vedi Quaderni
d’Altri Tempi 2) e che vanta remoti progenitori come Isaac
Asimov.
Qui Sterling, animato da buone
intenzioni e inguaribile ottimismo yankee, volge la sua attenzione
ai temi dello sviluppo sostenibile a partire dalla irreversibile
digitalizzazione del mondo, dalla innumerevole proliferazione
degli oggetti, e ripensando al ruolo di chi li crea, ovvero i
designer. Da qui prende forma il futuro secondo Sterling, a
iniziare dal prodotto/libro La
forma del futuro, che intende essere un’anticipazione di
futuro/libro. Infatti è uscito nella collana Mediawork di MIT
Press diretta da Peter Lunenfeld dell’Arts Centre College of
Design in California.
La collana abbina autori e
designer affermati ma, occorre dirlo, almeno in questo caso non ne
se sentiva il bisogno, per realizzare un volume che in buona
sostanza fa ampio uso delle evidenziazioni di colore per
parole/frasi chiave, e per schematizzare rifà il verso alle
tavole di Powerpoint, software tanto amato dai manager per la
presentazione delle loro relazioni.
In questo Sterling è coerente,
dal momento che si rivolge in particolare a “ingegneri, e
scienziati, imprenditori e operatori della finanza”.
Affascinante, senza dubbio, la
suddivisione in ere di civiltà produttiva (le tecnosocietà) che
Sterling propone: manufatti, macchine, prodotti, gingilli e spime, neologismo che si è giustamente preferito non tradurre e che
origina da space+time.
Gli spime “… iniziano e
finiscono come dati. Sono progettati sullo schermo, fabbricati con
mezzi digitali… oggetti eccellenti per l’applicazione di
tecniche di data-mining. Le persone all’interno di
un’infrastruttura di spime sono Intermediari”.
Sterling propone anche una
datazione per singola era e così scopriamo che grosso modo nel
1989 siamo entrati nell’epoca degli spime, nella sua fase
giovanile. Corretta la logica di sviluppo esposta: ogni era
conserva le caratteristiche della fase precedente, ma impone un
non ritorno al passato, pena la decadenza e la fine della civiltà.
Sterling parla di Linea del
non ritorno e illustra il suo ragionamento con una bella
metafora legata al vino.
Ciò fatto, Sterling inizia un
doppio panegirico, quello dedicato alla centralità del designer
oggi e un altro riservato alle potenzialità dell’Rfid, pur
conscio dei rischi insiti in una tecnologia del genere.
Smarrimento dell’autore e disorientamento del lettore che si
fanno da parte, quando si indica l’irriducibile contraddizione
tra sistema produttivo e ambiente, indicando negli spime una
sostenibile via d’uscita. A questo punto, però, l’anima dello
scrittore di fantascienza prevale e Sterling si avventura in un
prossimo scenario (verso il 2070) dove agli spime subentreranno i biote.
Scrive Sterling: “Un biote aprirà e gestirà i processi vitali
attivi al suo interno… le regole saranno cambiate come mai
prima, perché limiti posti da lunga data alla condizione umana
sono stati superati”.
L’oltreumano
tecnognostico copula con l’ambientalismo e, in assenza di
indicazioni diverse da parte di Sterling, designa un destino
rigorosamente riservato a una casta che immaginiamo nel migliore
dei casi estesa a parte dell’Occidente. Il guaio è che in
formato narrativo o saggistico la fantascienza ha sempre la
cattiva abitudine di avverarsi.
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