Bruce Sterling

La forma del futuro

Apogeo

pagg. 173 

€ 12,00

 

 

 





 

La forma del futuro di Bruce Sterling

 

La nuova uscita di Bruce Sterling prefigura un possibile racconto di fantascienza a venire, quello del saggio d’anticipazione, un genere ai confini dell’immaginario già esplorato dallo stesso Sterling e di recente anche da Andreas Eschbach (vedi Quaderni d’Altri Tempi 2) e che vanta remoti progenitori come Isaac Asimov.

Qui Sterling, animato da buone intenzioni e inguaribile ottimismo yankee, volge la sua attenzione ai temi dello sviluppo sostenibile a partire dalla irreversibile digitalizzazione del mondo, dalla innumerevole proliferazione degli oggetti, e ripensando al ruolo di chi li crea, ovvero i designer. Da qui prende forma il futuro secondo Sterling, a iniziare dal prodotto/libro La forma del futuro, che intende essere un’anticipazione di futuro/libro. Infatti è uscito nella collana Mediawork di MIT Press diretta da Peter Lunenfeld dell’Arts Centre College of Design in California.

La collana abbina autori e designer affermati ma, occorre dirlo, almeno in questo caso non ne se sentiva il bisogno, per realizzare un volume che in buona sostanza fa ampio uso delle evidenziazioni di colore per parole/frasi chiave, e per schematizzare rifà il verso alle tavole di Powerpoint, software tanto amato dai manager per la presentazione delle loro relazioni.

In questo Sterling è coerente, dal momento che si rivolge in particolare a “ingegneri, e scienziati, imprenditori e operatori della finanza”.

Affascinante, senza dubbio, la suddivisione in ere di civiltà produttiva (le tecnosocietà) che Sterling propone: manufatti, macchine, prodotti, gingilli e spime, neologismo che si è giustamente preferito non tradurre e che origina da space+time.

Gli spime “… iniziano e finiscono come dati. Sono progettati sullo schermo, fabbricati con mezzi digitali… oggetti eccellenti per l’applicazione di tecniche di data-mining. Le persone all’interno di un’infrastruttura di spime sono Intermediari”.

Sterling propone anche una datazione per singola era e così scopriamo che grosso modo nel 1989 siamo entrati nell’epoca degli spime, nella sua fase giovanile. Corretta la logica di sviluppo esposta: ogni era conserva le caratteristiche della fase precedente, ma impone un non ritorno al passato, pena la decadenza e la fine della civiltà. Sterling parla di Linea del non ritorno e illustra il suo ragionamento con una bella metafora legata al vino.

Ciò fatto, Sterling inizia un doppio panegirico, quello dedicato alla centralità del designer oggi e un altro riservato alle potenzialità dell’Rfid, pur conscio dei rischi insiti in una tecnologia del genere. Smarrimento dell’autore e disorientamento del lettore che si fanno da parte, quando si indica l’irriducibile contraddizione tra sistema produttivo e ambiente, indicando negli spime una sostenibile via d’uscita. A questo punto, però, l’anima dello scrittore di fantascienza prevale e Sterling si avventura in un prossimo scenario (verso il 2070) dove agli spime subentreranno i biote. Scrive Sterling: “Un biote aprirà e gestirà i processi vitali attivi al suo interno… le regole saranno cambiate come mai prima, perché limiti posti da lunga data alla condizione umana sono stati superati”.

L’oltreumano tecnognostico copula con l’ambientalismo e, in assenza di indicazioni diverse da parte di Sterling, designa un destino rigorosamente riservato a una casta che immaginiamo nel migliore dei casi estesa a parte dell’Occidente. Il guaio è che in formato narrativo o saggistico la fantascienza ha sempre la cattiva abitudine di avverarsi.


 

     Recensione di g.f.