La stessa esigenza – dare un nome all’insensatezza e al
disordine del mondo attraverso la ricerca di un senso e di un
ordine – che Caronia e Gallo attribuiscono a Dick sembra muovere i
due autori di questo ricco saggio nel tentativo – necessario e
riuscito – di dare ordine e senso alla produzione letteraria di
Dick, che può apparire – specialmente ai più giovani – troppo
intricata e delirante per essere esplorata con successo.
Fosse anche solo per la ricerca dei suoi romanzi,
pubblicati in passato da vari editori, con titoli che sono
cambiati più volte, in maniera più o meno sistematica, con il solo
Fanucci a cercare di recente di impostare una ristampa organica e
ragionata delle opere del grande visionario.
Ma, al di là di questa dimensione più “editoriale”, la vera
mission che Caronia e Gallo si sono caricati sulle spalle è
stata costruire una mappatura – e qui va loro riconosciuto un
grande merito – per forza di cose ipertestuale e labirintica di
tutte le tematiche dello scrittore e delle declinazioni che quelle
a lui più care (secondo noi, almeno la confusione fra realtà e
illusione, le sostanze psicotrope, l’identità, i viaggi nel tempo)
hanno avuto nella sua opera.
Questo libro ha fra l’altro il merito non secondario di
permettere alla science fiction di riappropriarsi di un
autore che – come molti altri del genere, e come il genere stesso
– è stato di recente “ris-coperto”, con un tentativo, anche goffo,
sicuramente tardivo da parte delle accademie, di impadronirsi di
una materia che dopo essere stata a lungo disprezzata, rischia di
essere non riconosciuta nella sua specificità ma ridotta a icona
inoffensiva.
Intendiamoci, non perché un settore della narrativa di
genere possa avere di per sé particolari qualità “eversive”, ma
perché alcuni autori e alcune opere senz’altro hanno la capacità
di mettere in guardia prevedendo le derive più inquietanti che il
futuro potrebbe prendere.
La capacità di Dick di prevedere le caratteristiche
del futuro che stiamo vivendo appare – se si guarda oltre le
soluzioni che trova – sorprendente, se pensiamo alle derive del Sé
in questo cambio di millennio, alla mescolanza fra immaginario e
reale che il virtuale e le altre tecnologie della comunicazione
rendono possibile: lo scrittore americano non poteva forse
immaginare gli sviluppi che l’informatica avrebbe avuto, ma
sostituendo al virtuale le sostanze psicotrope, gli “artigli
temporali” le scorciatoie fra gli universi, che immagina,
riconosciamo negli effetti e nei conflitti che queste tecnologie
producono la stessa dimensione che ritroviamo nelle incertezze e
nei disagi delle identità attuali. Dimostrando sicuramente una
capacità visionaria che è il nucleo forte della science fiction
migliore. In questo pari soltanto a Ballard – che però ha il
vantaggio di scrivere del suo stesso presente.
Il volume è quindi ricchissimo perché è sistematico, quasi
maniacalmente (un altro omaggio a Dick?), e si avvale di una
sontuosa schiera di collaboratori dei due autori principali, fra
cui Sergio Brancato, Linda De Feo, Carlo Formenti, Gino Frezza,
Carlo Pagetti, giusto per citarne qualcuno.
Fondamentali le due bibliografie, e la sezione delle schede
delle opere di Dick(utilissima per i più giovani), in cui vengono
ricordati fra l’altro i vari titoli con cui sono stati pubblicati
in successione alcuni suoi romanzi in Italia, come Gli androidi
sognano pecore elettriche?, Tempo fuori sesto e Un
oscuro scrutare, ad esempio, e di quali altre opere (a
volte senza esplicitarlo) sono stati fonte di ispirazione.
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