Derek Bailey

To Play: The Blemish Sessions

Samadhi Sound

 

 





 

To Play: The Blemish Sessions di Derek Bailey

 

Altro che Sex Pistols, il musicista alfiere dell’Anarchy in the UK è stato un signore inglese garbato e severo, radicale, intransigente, ironico e noncurante dei gusti del pubblico: Derek Bailey, di professione improvvisatore. Bailey se ne è andato il giorno di Natale 2005 e nell’arco di un anno sono state pubblicate alcune gemme ritrovate nel suo arcigno forziere: la seduta completa ai Moat Studios del Joseph Holbrooke Trio (con Gavin Bryars e Tony Oxley) e la ristampa dell’introvabile Topography of the Lungs (a nome di Evan Parker, vedi Quaderni d’Altri Tempi n.6)), registrazione di uno storico trio dell’improvvisazione europea (il terzo uomo è Han Bennink). Inoltre, ha visto più regolare distribuzione The Gospel Record, mini (sette tracce, circa 14 minuti) registrato in compagnia della polistrumentista Amy Denio, qui impegnata a far da cantante, e di Dennis Palmer, proveniente da Chattanooga, Tennesee, impegnato con sintetizzatore, samples e voce anch’egli. Seduta che vede Bailey scatenare tuoni e fulmini in tutte le tracce con un uso magistrale delle distorsioni. Iconoclasta quanto Jimi Hendrix alle prese con l’inno americano a Woodstock.

Ora arriva questo To Play: The Blemish Sessions per ricordarci che quando si tratta di Bailey nulla si deve dare per scontato. Qui la chiave di lettura si annida interamente nel titolo da considerare come una spia per scoprire il senso dell’album, essendo Bailey “spontaneamente concettuale”. To Play è stato scelto dal musicista/scrittore David Toop: fine rimando al testo teatrale Play di Samuel Beckett, affine come pochi a Bailey. Entrambi hanno estratto dal proprio brusio interiore un ininterrotto monologo, consegnandoci parole e suoni che hanno sempre l’aria di provenire dal nulla e di risprofondare subito dopo nel silenzio, per poi ricominciare all’infinito. Sono anche gli unici artisti non databili del XX secolo: To Play, ad esempio, potrebbe essere del 1980 o del 2030, come Aspettando Godot.

La seconda parte del titolo, The Blemish Sessions, fornisce invece le coordinate per scoprirne la sorgente sonora: l’album Blemish di David Sylvian del 2004, dove suonò l’ineffabile Bailey. Questa è la seduta completa realizzata per il singolare incontro: otto tracce (intitolate tutte Play, con numerazione progressiva) mixate e pubblicate dallo stesso Sylvian. Qui è di scena il Bailey nella versione moderatamente cantabile di Ballads. Certo, sono sempre imprevedibili le folate disarmoniche, le scansioni ritmiche, ma ancor più sorprendenti sono le incursioni di vaghe linee melodiche, fugaci evocazioni, degne di uno sciamano. Inutile segnalare un brano, ha poco senso quando è di scena Bailey. Anzi, ogni riascolto rafforza la convinzione di essere di fronte ad un’unica, infinita improvvisazione separata in tracce, album e concerti solo per necessità tecnica e limiti naturali. Interruzioni che fungono da pause nella sua notazione musicale. Registrazione splendida, grafica curatissima, ma note assenti. Per saperne di più, torna utile il link www.samadhisound.com/derekbailey/releasenotes/ .


 

     Recensione di Gennaro Fucile