Un regista
può mostrare il suo genio in diverse maniere. Può
divenire un maestro di genere o affrontare commedia e film drammatici
con la medesima padronanza e intensità. Scegliere solamente
sceneggiature originali o dedicarsi ad adattamenti teatrali e
letterari. E il suo talento aumenta quando, nel secondo caso, riesce a
realizzare un film di grande impatto partendo da un’opera non
riuscita.
Billy Wilder è un genio. Basterebbe ricordare la scena di Viale del tramonto in cui Gloria Swanson si prepara con la sua corte dei miracoli per andare da Cecil B. De Mille e, una volta arrivata, scopre che il regista ha bisogno solo della sua macchina. Tutta la forza espressiva di un mondo che prova a ritornare in auge e si scopre ancora fragile e superato. O il finale di A qualcuno piace caldo, che apre all’amore fra uomini pur non citando apertamente nulla.
Ne La fiamma del peccato, Wilder fa molto di più. Il film è tratto da La morte paga doppio di James M. Cain, un libricino senza grandi pretese. Ottime descrizioni e una buona capacità noir, ma tutto è sintetizzato all’estremo, in modo alle volte scolastico, e i sentimenti sono descritti, per poca voglia di lasciare che sia il lettore a comprenderli da solo. Lasciano perplessi anche alcuni dettagli, che assumono troppa importanza rispetto alla storia centrale. Le azioni di Nino Zachetti, ad esempio, un personaggio assolutamente secondario. Mentre la storia personale di Phyllis, la vedova nera del racconto, è racchiusa in poche, sintetiche, righe. Il finale è ben congegnato, coerente con la storia. Il resto tuttavia ha diverse falle e non riesce a mantenere elevata l’attenzione del lettore.
Diversamente dal libro, il film ha un ritmo molto più incalzante e la trama scorre molto più fluida. Anche se la storia rimane sostanzialmente la stessa, diversi elementi cambiano, soprattutto nella parte finale e nella risoluzione delle vicende. Quella che era una faticosa e intricata ragnatela di mosse e contromosse fra assicuratori, donne fatali e assassini, qui diviene una assai più semplice vicenda fra un uomo e una donna, entrambi colpevoli, a loro modo legati l’uno all’altro.
La storia così si semplifica e, se da un lato emergono con maggiore chiarezza sentimenti, obiettivi e ruoli, dall’altro rimane solamente un rapporto di amore e morte fra due persone, slegato dal passato, dalle astuzie di un uomo complesso come il protagonista, che nel libro sa bene di mettersi nei guai mentre nel film sembra rapito da una donna e inconsapevole di ciò che farà e dell’epilogo, tragico, che lo aspetta.
Walter Huff (Neff nel film, personaggio affidato a Fred MacMurray) è un assicuratore tranquillo che ne ha viste molte, in anni di carriera. Nel libro è talmente furbo da capire le persone prima ancora che esse parlino, nel film è più umano, meno perfetto. E forse, anche in questo, si capisce la bravura di Wilder: nel testo scritto non è chiaro perché un uomo così astuto e intelligente decida di buttarsi in una pericolosa avventura che sa potrebbe finire malissimo; nel film, perché ogni uomo è legato alle proprie debolezze, l’amore e l’attrazione fisica portano a prendere dei rischi non calcolati.
Phyllis Dietrichson (interpretata da Barbara Stanwyck) è bella, pericolosa, molto consapevole del suo fascino. Ha un marito ricco del quale si è stancata, e vuole ucciderlo. Walter desidera aiutarla e vuole dividere con lei i soldi del premio assicurativo. Lei vorrebbe una cosa semplice e sbrigativa, lui vuole ottenere il massimo. Quindi, la morte deve accadere in modo talmente bizzarro da raddoppiare il premio assicurativo. E l’assicurato non deve sapere di esserlo, per non fiutare il pericolo. Fino a qui, e fino all’uccisione del ricco marito petroliere, le storie si svolgono in modo parallelo fra libro e film. Piccoli dettagli cambiano, ma la sostanza rimane la medesima. Il libro si concentra sulle pratiche assicurative, sugli alibi, sul modo migliore di ottenere il risultato sperato.
Il film scorre veloce e punta maggiormente sul legame fra i due amanti assassini, sul loro disperato bisogno di amare, e di amare il denaro.
La scena del treno è la più fedele al racconto di Cain. Walter, fingendosi il marito infortunato di Phyllis, sale sul treno pronto a gettarsi nel punto concordato. Solo che, sulla piattaforma del treno, c’è un uomo intento a fumare e desideroso di una chiacchierata. Ha un lungo viaggio davanti e di sicuro ricorderà bene di aver parlato con un uomo con una gamba ingessata, tutto solo, che viaggia come lui per affari. È importante mandarlo via prima di raggiungere il luogo concordato, in modo da simulare l’incidente alla perfezione. Ma non è cosa semplice e servirà una buona dose d’ingegno per riuscirci. È questo il momento topico, il punto più alto di un climax che porterà a cambiare per sempre il destino dei protagonisti. Nel film, come nel libro, si avvertono la tensione, l’ansia, e infine il sollievo di aver realizzato il proprio piano.
Da qui in poi, libro e film divergeranno in modo molto netto. Il libro, attento a descrivere il crescente senso di colpa di Walter, innamorato ora della figlia del defunto, svelerà la diabolicità e i vari crimini della sua precedente amante. Il film, focalizzato sul rapporto malsano e appagante fra Walter e Phyllis, mostrerà due sconfitti, anime incomplete che cercano di sopraffarsi senza rinunciare ad amarsi. Sembra quasi che Wilder decida di inventare un nuovo film, di riscriverlo secondo un copione del tutto diverso. Cambia addirittura il consiglio dato alla vedova riguardo all’assicurazione. Nel libro, visti i sospetti riguardo alle modalità di incidente, bisogna assolutamente mandare avanti la richiesta di indennizzo, altrimenti la situazione sembrerà ancora più strana; nel film, per non andare a processo, Walter preferisce aspettare invece che si calmino le acque e che l’assicurazione perda le speranze di vincere contro una vedova inconsolabile. Il personaggio di Lola, bella e indifesa, amore puro che sembra redimere il cinismo calcolato di Walter, appare una pallida figura secondaria, inutile anche al momento di svolta delle vicende.
Poi il finale. O meglio due finali. Completamente diversi. Nell’opera di Cain, ormai scoperti e allontanati da tutti, i due ex amanti scappano su una nave. La stessa. E lì decidono di morire gettandosi in mare. Anche se, forse, lei ha in mente di uccidere solo lui. Non è chiaro chi sopravvivrà o morirà. Nel film di Wilder, i due amanti concordano un appuntamento nella casa di lei. Entrambi armati e intenzionati a uccidere l’altro. Avrà la meglio, anche se per poco tempo, Walter. Ma l’amore e l’avidità avranno comunque bruciato irrimediabilmente entrambi. Non c’è nave, non c’è fuga, solo un’attrazione fatale. Il film comunque, per meccanismi narrativi e per gusto personale di chi ha adattato la sceneggiatura dal libro, ha da tempo preso una sua strada diversa.
Difficilmente un libro e il film da cui è tratto hanno la stessa intensità, e si tende a preferire uno dei due. In questo caso, la genialità di Wilder rende la scelta abbastanza ovvia. Il testo di Cain ha dei pregi narrativi indiscutibili, molto adatti a una breve storia noir. Cerca, tuttavia, di condensare troppe cose in troppe poche pagine, e con incoerenze non risolte. Wilder invece sintetizza e semplifica, porta all’essenziale rapporti e situazioni, in modo da fluidificare la narrazione e lo sviluppo degli eventi. Non tutto è necessario e il regista ha ben chiara la vicenda principale, gli avvenimenti salienti, il clima e contesto che vuole creare. Pochi colpi di scena ma una grande coerenza narrativa, che è forse l’elemento più difficile da mantenere in un racconto.
La fiamma del peccato brucia i due protagonisti, la morte non paga doppio ma fa pagare doppiamente i suoi esecutori.
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