La storia, o meglio, l'assunto di base che fa da trigger
alla storia è assai noto. In un futuro
prossimo, gli omicidi saranno non solo legali e teletrasmessi,
ma finanche incoraggiati, con conseguenze addirittura insperate. Ci si
può, in siffatta società, arruolare in un elenco
di “Vittime” che fa da contraltare a un registro di
“Cacciatori”, con tanto di sponsor e indotto
economico (e lavorativo), premi e carriera, per partecipare a The
Big Hunt, La Grande Caccia, come fossimo
in un reality show ante litteram. Tutto alla luce
del sole e nella perfetta legalità. Le ricadute a livello
societario sono addirittura incoraggianti: con questa sorta di
canalizzazione legale della violenza si sono eliminate le guerre, in
una sfoglia di mondo che data la situazione del nostro reale
sembrerebbe quasi da invidiare.
Il newyorkese Robert Sheckley
(1928-2005) pubblica The Seventh Victim
nel 1953 sulla rivista Galaxy, una storia di un
pugno di pagine che ebbe un successo non solo letterario ma
intramediale notevole. A partire da un adattamento, dallo stesso
titolo, per la radio di soli quattro anni dopo. Del 1965 è
poi lo straordinario film di produzione italo-francese La
decima vittima, del nostro regista più
politicamente consapevole del periodo, il più volte
sottovalutato Elio Petri. Da non dimenticare, poi, in questa rapida ma
necessaria carrellata, la novelization del film a
firma dello stesso Sheckley dell'anno successivo sulla scorta del
successo del film, cui seguiranno poi altri due sequel nei tardi anni
Ottanta. L'idea seminale di Sheckley ha continuato a germogliare nel
terreno fertile dell'immaginario occidentale così colpito
dall'emozione culturale della bomba. Si pensi almeno al romanzo di
Koushun Takami, poi diventato un manga di straordinario successo, Battle
Royale, e alla serie di film, dal grande successo anch'essi, The
Hunger Games. Sheckley scriveva all'indomani della fine della
Seconda guerra mondiale, un evento che ha cambiato per sempre il nostro
modo di concepire il mondo, a partire da una cifra di violenza che
assume contorni di sterminio globale. Per semplificare: da un lato la
Shoah, dall'altro la Bomba. Mentre scriviamo queste righe, Barack Obama
è passato alla Storia per essere stato il primo presidente
Usa a visitare i luoghi del disastro atomico di Hiroshima, dando se non
inizio di certo nuova linfa alla retorica di un mondo senza
più atomiche. Chissà, forse ci vorranno altri
settant'anni prima che un altro presidente sia in grado di assumersi le
proprie responsabilità, ma come suol dirsi, un passo alla
volta.
Il film di Petri, vale la pena dirlo subito, ha
un'ironia e un livello umoristico piuttosto nero, in verità,
che nel racconto di Sheckley sono quasi del tutto assenti. Si pensi ad
esempio ai claim pubblicitari, che puntellano in
modo assai interessante il film: "Contro il pericolo di guerre di
massa, iscrivetevi alla Grande Caccia. Solo la Grande Caccia
può darvi un senso di sicurezza"; "Perché
controllare le nascite quando possiamo controllare i decessi?";
"Suicidi, nella Grande Caccia c'è posto anche per voi".
Ma
ritorniamo per un attimo a Sheckley. In diversi suoi racconti, lo
scrittore americano cerca di mettere a fuoco le pulsioni violente della
nostra società e il modo in cui questa cerca di
canalizzarle. Ne è corollario poi la contrapposizione tra
individuo e massa, che più che sbeffeggiare il modello
totalitario sovietico sembrerebbe farsi gioco delle contraddizioni del
sistema consumistico americano. In questo senso Petri e i suoi
collaboratori pigiano il pedale della critica non solo di alcuni degli
stereotipi americani, primo fra tutti l'omologazione e la
spettacolarizzazione a tutti i costi, ma anche quelli di noi italiani.
Tra le scene migliori, in questo senso, del film non posiamo non
ricordare quella dei cosiddetti “tramontisti”.
Marcello arrotonda le sue entrate imbastendo uno spettacolo dove guida,
come un novello profeta, una folla di donne e uomini invitandoli a
godere di un tramonto visto dal vivo in riva al mare. Una setta dal
sapore neo-zen che cerca, nel recupero delle emozioni vere, grazie a un
ritorno alla natura, un controbilanciamento all'estrema mediatizzazione
del mondo. A protestare però ci pensano i gruppi quasi
sovversivi, con tanto di lancio di pomodori, dei neo-realisti definiti
volgari, furibondi per cotanta idiozia. Una scena geniale, e
precorritrice anch'essa di tempi e sensibilità, leggasi lo
sciocchezzaio dei nostri media, più vicine al nostro
oggi.
Protagonisti della nostra storia sono l'indolente Marcello
Poletti, interpretato da un grandissimo Mastroianni, che partecipa alla
caccia per noia, e per cavarne qualche soldo, anche se, nonostante
questo atteggiamento, riveste comunque il ruolo di star internazionale,
con tanto di interviste e copertura mediatica alla quale si sottopone
con un certo fastidio; e Caroline Meredith, interpretata dalla
bellissima Ursula Andress, che è invece animata da uno
spirito battagliero e competitivo di ben altra natura. Caroline
è vicinissima ad aggiudicarsi il titolo finale che le
procurerebbe ulteriore fama e un milione di dollari, cifra non da poco
oggi figuriamoci allora, dovendo uccidere, da cacciatrice, la sua
ultima vittima, la decima, e non si fermerà davanti a nulla.
È lei infatti la cacciatrice, a differenza di quanto avviene
nel racconto di Sheckley, dove i ruoli sono invertiti. E questo
è già di per sé un dato di fatto non
da poco. A un certo punto del film l'americana Caroline si trova a casa
della ex moglie di Marcello con lo stesso latin lover e per puro caso
scopre i suoi vecchi genitori nascosti dietro una parete che cela un
mini appartamento. Notata la presenza di Caroline, i due non sanno se
essere preoccupati o invitarla a bere un caffè. Un indignato
Marcello interviene: "Dovevo immaginarlo che eri una spia del Centro
raccolta vecchi!". Bella idea, verrebbe da chiosare, magari da
applicare oggi in un paese a crescita zero. "Ma che se ne fa dei suoi
genitori?! Io non la capisco", ribatte una Caroline che viene da una
cultura chiaramente diversa. E infatti aggiunge: "Perché non
li ha ancora consegnati allo Stato?". "In Italia siamo per la famiglia
patriarcale, non li consegna quasi nessuno. Li teniamo nascosti",
ribatte indignato Marcello. E poi c'è il colpo di genio
premonitore della nostra società: "Spesso li trucchiamo
anche da giovani".
Ma ritorniamo indietro, alla scena iniziale del film.
È Caroline che vediamo nella prima sequenza, questa volta
nei panni della Vittima che si far beffe del suo Cacciatore a
Manhattan, nel cuore di New York. Il Cacciatore che insegue Caroline,
oltre ad avere una pessima mira e non riuscire in nessun modo a
colpirla, e da subito viene squadernata una certa dose di risate, viene
fermato da un poliziotto che lo lascia andare subito dopo aver
controllato le sue credenziali di regolare partecipante alla Grande
Caccia. Così inizia il film, su un filo, da subito, di
grande ironia, sottolineata, è importante dirlo, anche dagli
accattivanti motivetti jazzy composti da Piero Piccioni e interpretati
da Mina, sul finale dei titoli di coda. La scena è
inframezzata da un presentatore che (ci) spiega le regole e il
significato della Grande Caccia. Il racconto di Sheckley si sofferma
invece sui dettagli del lavoro del protagonista maschile Stanton
Frelaine e della sua nuova caccia. Per ribadire subito di che pasta
è fatto invece il film, la prima sequenza si sposta da Lower
Manhattan a un disco pub dal nome che è tutto un programma:
Club Masoch. Qui re-incontriamo il nostro presentatore che
dà il via a uno spettacolo dal lieve gusto sadomaso con
protagonista Meredith, che schiaffeggia gli avventori di sesso maschile
e non viene riconosciuta dal suo assalitore. Prima indossava infatti
una parrucca bruna, ora è nascosta da una maschera e da un
bikini piuttosto succinto. Meredith fa fuori il nostro sprovveduto
Cacciatore usando una mise altamente sexy e che cela una pistola
nascosta all'interno di uno striminzito reggiseno. Ironia e erotismo
sono insomma le chiavi di lettura privilegiate da Petri. Dove invece
nel racconto di Sheckley se la prima era assai lieve, il secondo manca
del tutto. Lo scrittore infatti punta il pedale sui sentimenti, e
sull'innamoramento del protagonista maschile, Stanton Frelaine, nei
confronti di Janet-Marie Patzig, la sua vittima. "Io ti amo", le dice
Stanton nelle battute finali. La donna riesce ad illudere il Cacciatore
al punto da fargli abbassare le difese e sul finale del racconto lo
uccide, dopo avergli detto invece che lei non lo ama affatto. E come
potrebbe?
La lunga sequenza finale del film
è invece assai diversa. Marcello e Meredith temporeggiano e
cercano di uccidersi vicendevolmente. Temporeggia che temporeggia nasce
però forse un'attrazione. Anche se qui
l'ambiguità del film e della sua magistrale scrittura
(Tonino Guerra ed Ennio Flaiano, innanzitutto) fanno propendere per
un'altra ipotesi: è tutto un gioco (di inganni), e una
farsa. Critica alla società dei mass media, si diceva, ma
non solo. Sottoposti a una certa critica sono anche i costumi, e allora
la questione è forse un'altra e riguarda il rapporto tra i
due protagonisti, intesi come confronto del maschile e del
femminile.
Braccato da Caroline, o appunto meglio
dal registro del femminile, in una sorta di triade formata da Carolina,
dalla ex moglie (che lo ha appena depredato del premio della sua ultima
caccia) e dall'attuale amante (desiderosa di essere la futura moglie),
che cosa fa il nostro latin lover? Sprezza, almeno a parole, la
società patriarcale, ma alla fine ne è vittima e
deve cedere al suo costume per eccellenza, il matrimonio. Il maschile e
il femminile si fronteggiano in questa danza finale di morte, al punto
da disorientare lo spettatore che non è più
sicuro di sapere cosa stia succedendo. Caroline ottiene davvero quello
che vuole, costringendo l'uomo che stava per uccidere a sposarlo? E dal
punto di vista di Marcello: sono le donne a cadergli ai piedi o
è lui a lasciarsi abbindolare come l'ultimo degli allocchi?
Alla fine, nessuno si salva, questo è forse l'intento
satirico del film.
Con questo lavoro, Petri usa
consapevolmente le forme della pop art, del cinema e dei mass media per
mettere in discussione, con grande ironia, la nostra
società, qualche anno prima dei suoi capolavori assoluti.
Violenza e morte sono diventate puro intrattenimento, ci dice Petri, e
la sofferenza dell'altro può essere sfruttata per motivi
finanziari sia da aziende scafate, come The Ming Tea Company che
sponsorizza, o cerca di sponsorizzare l'uccisione di Marcello da parte
di Meredith, e anche il contrario, nella girandola di morte (o presunta
tale) della lunga sequenza finale. Ma soprattutto la
desensibilizzazione nei confronti della morte e dell'assassinio
s'è radicata nell'immaginario collettivo di questa sfoglia
di mondo. A riguardarlo oggi, La decima vittima
emerge davvero come un film in netto anticipo sui suoi tempi, e la sua
evidente critica sociale viene smorzata e resa poco o nulla stucchevole
grazie all'impianto ironico e satirico complessivo. Un film figlio
degli anni Sessanta, certo, ma con un preciso sguardo rivolto al futuro.
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