A. J.
Weberman tormentò Bob Dylan per diversi anni. Lo spiava, lo
pedinava, indagava, analizzava, scavava metodicamente nella sua
vita. Andò avanti così per anni.
Un legame
morboso, originato dal tradimento (presunto da Weberman) del
ribelle Dylan, trasformatosi negli anni in una miliardaria rock
star, tanto snob quanto indifferente ai problemi che aveva
denunciato nei suoi testi e verso i quali, dunque, la sua fortuna
era pesantemente debitrice.
Fin qui
tutto sembra la storia sgangherata di un ingenuo e amareggiato
fan. Il lato interessante della vicenda, citata da Scanlan in
questo brillante saggio, è che Weberman conduceva il suo assedio a
Dylan setacciandone l’immondizia alla ricerca del vero (perduto)
menestrello della canzone di protesta. Già perché noi siamo quello
che scartiamo, eliminiamo, o anche ciò. Questa non è la tesi di
Weberman, cui dobbiamo la più modesta disciplina della
spazzaturologia (la cui invenzione in seguito rivendicò con
orgoglio), ma è lo zoccolo duro del ragionamento di Scanlan.
La
spazzatura è il doppio che ritroviamo in psicanalisi, il
perturbante insito nel progresso, il polo dialettico del nutrirsi
che produce escrementi (la spazzatura originaria) e questa a sua
volta ri-produce il bisogno di nutrirsi; è il doppio che
ritroviamo nel procedere apparentemente sistematico della ragione
(che elimina, ma eliminando reitera la produzione di nuovi residui
di pensiero).
Ancora, è il
doppio materiale che la società industriale nel fare pulizia, nel
creare efficienza, produce su scala planetaria, accumulando
rifiuti. Non è esente dall’analisi di Scanlan neanche l’arte, che
concettualmente ha reso evidente il peso nelle nostre vite della
spazzatura come metafora. Scanlan documenta sufficientemente
sull’uso artistico di materiali di scarto, di rifiuti, immondizia,
avanzi, resti.
Arti visive,
ma anche letteratura, come la contemporanea e monumentale opera in
un certo senso dedicata alla spazzatura, il romanzo fiume (o
canale di scarico?) di DeLillo, Underworld. In termini più
generali, tutto il pensiero occidentale, razionale, e la sua
conseguente organizzazione della vita materiale fioriscono
all’ombra dell’immondizia, e questa “cresce” rigogliosa proprio in
virtù di queste modalità del pensiero. Una alimenta l’altra. La
ragione ha iniziato a riciclare prima che l’industria si ponesse
il problema di come riciclare gli avanzi della società dei
consumi. Insomma, progresso e spazzatura sono lo yin e lo
yang dell’Occidente.
Stranamente,
Scanlan evita di sondare la potenza materiale e metaforica della
spazzatura nucleare, della scoria radioattiva, la più potente
immagine e causa reale di morte mai concepita e che forse si cela
dietro molto del mondo oggi. Eppure il saggio si apre con una
dichiarazione radicale: “La spazzatura è ovunque. La si può
trovare dappertutto, senza alcuna eccezione, eppure è largamente
invisibile alla maggior parte di noi”.
In ogni
caso, zeppo di spunti, nessuno da scartare, il saggio di Scanlan
risulta avvincente, anche quando lavora in profondità tra i testi
di Locke o Kant, e non solo quando documenta di buffi/patetici
estremismi come quello di Weberman.
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