Adesso che la saga fantascientifica – epica e etica –
avviata da Čapek e continuata e nutrita da Asimov, alimentata da
altri scrittori, incrinata da Dick si sta esaurendo, fosse solo
perché ormai i robot sono stabilmente e quotidianamente fra noi,
si può forse cominciare a riflettere sul loro destino, passato e
futuro (e sul nostro in relazione al loro), con un po’ di ironia.
Ci prova con successo Harry Harrison (l’autore fra l’altro
di Largo! Largo!, cfr. scheda in “Quaderni” n. 5) con
questa raccolta di racconti, in cui esplora possibili futuri e
possibili alternative – vicine qualche volta ad alcuni spunti di
L’uomo bicentenario).
Cosa succederebbe se i robot – Leggi della robotica o no –
si ribellassero? Cosa succederebbe se scioperassero? Cosa
succederebbe se da se stessi, grazie alla loro capacità, ormai
alle porte, di diventare intelligenti, decidessero di integrare le
tre Leggi con una quarta, che reciterebbe grosso modo Un robot
deve riprodursi. A meno che questo non contrasti con la prima, con
la seconda o con la terza legge?
L’uomo sarebbe in grado di affrontare queste emergenze?
I racconti di Harrison pongono questi problemi, e cercano
di prospettarne gli effetti, i risultati, a volte paradossali.
Hanno però, senza dubbio, un grosso merito: quello di
rilanciare nel mondo della science fiction un dibattito che
sembrava cominciare a sopirsi, forse per saturazione o
esaurimento, a cui né – riteniamo – L’uomo bicentenario con
i suoi buoni sentimenti, né Io, Robot di Proyas con la
visionarietà del regista erano forse riusciti a dare nuovo
interesse.
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