In Olanda e in Germania si era
partiti intorno al 1967 alla ricerca di nuovi territori sonori:
dopo essere andati a lezione dai maestri del free
jazz, alcuni avventurosi musicisti alzarono ulteriormente il
tiro.
Nacquero anche le prime
autoproduzioni, sottraendo in parte la musica ai padroni del
mercato. Misha Mengelberg e Han Bennink ad Amsterdam e Alexander
von Schlippenbach, Peter Brötzmann, Paul Lovens in
Germania, tra gli altri, si misero in proprio creando etichette
indipendenti, rispettivamente la ICP e la FMP. Poi toccò
all’inglese Incus, fondata da Derek Bailey e Evan Parker (con
Tony Oxley), tra i primi e più intransigenti alfieri
dell’improvvisazione.
Bailey aveva intrapreso già da
diverso anni l’uso di accordature aleatorie, capaci di produrre
una distribuzione dei suoni affine all’uso del colore in Pollock.
Parker andava affinando la
tecnica della respirazione circolare, con il costante ricorso ai
suoni parassitari del sax soprano, un flusso sonoro spesso analogo
all’esperienza della trance.
Questa ristampa in
memoriam di Derek Bailey ha così un doppio valore simbolico.
Rende di nuovo reperibile un documento chiave della nuova musica
inglese (ed europea), che sembrava ormai perso per sempre e rende
un omaggio – non certo qualsiasi – a Bailey, scomparso lo
scorso Natale: quello di Evan Parker dopo decenni di taciturna
inimicizia. Una rottura avvenuta sul finire degli anni Settanta,
che separò per sempre i due titanici alfieri della libertà in
musica, proprio a causa di una diversa visione della pratica
improvvisativa maturata negli anni.
L’album inaugurò l’etichetta
Incus, anima gemella della Fmp e della Icp, come puntigliosamente
precisavano le note originali, qui riportate integralmente. Il
master continua a essere dato per disperso e questo riversamento
in digitale è stato effettuato da una copia vergine di un vinile
giapponese, più due bonus track, recuperate da Parker. A congelare questa ristampa per
anni, c’era poi soprattutto un accordo preso con Bailey. Quando
Parker lasciò la Incus, infatti, si portò via le registrazioni a
suo nome, ma si impegnò a non ripubblicare la “topografia dei
polmoni” fino a quando a dirigere la Incus sarebbe rimasto
Bailey, la cui scomparsa ha fatto cadere l’impegno preso.
Venendo alla (meta)musica, qui,
come nella coetanea Iskra 1903 (Bailey con Paul Rutherford e Barry
Guy), i tre estraggono ovunque dal nulla suoni senza destinazione
alcuna. Un susseguirsi di trame ordite intorno al silenzio da
Bailey, assecondate dall’energia furibonda di Parker, e dal
funambolismo iconoclasta di Bennink, chiamato a dialogare con i
due inglesi quasi a sottolineare ulteriormente la fratellanza tra
improvvisatori senza frontiere.
Il set percussivo dell’olandese
incalza e svuota la scena sempre con il giusto piglio. A
impressionare è la sintonia d’intenti e d’azione in un
progetto allora tanto spericolato quanto severo.
Pietra miliare che si apre con la
tuonante Titan Moon e si
chiude con l’epico assalto finale di Dogmeat.
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