Queste
registrazioni comparvero su cinque Lp pubblicati dall’etichetta
Douglas, che nel 1996 (vent’anni dopo) ne propose su un cd (Jazz
Loft Session) un’antologia contenente 10 brani. Nel 2001 vennero
ristampate in 3 cd dalla Knitting Factory, ma divennero presto
irreperibili. Oggi tornano disponibili grazie alla stessa Douglas
che si affida in Italia alla distribuzione di Egea.
Documentano il
passaggio di testimone definitivo tra due generazioni di musicisti
quella storica del free jazz e la successiva, protagonista della
cosidetta musica creativa, secondo la definizione coniata da
Franco Bolelli nell’omonimo libro scritto nel 1978 (edizioni
Squilibri). Bolelli si appropriò di peso del titolo di un album in
solo di Leo Smith (presente anch’egli qui) Creative Music. Occorre
riconoscere che il libello, del tutto inconcludente, ebbe il
merito di parlare in Italia di artisti ignorati allora dalla
critica, incomprensibili sul versante rock e troppo eretici sul
fronte del jazz. Insomma, valse come uno spot ben riuscito, vacuo
ma risonante. Per la cronaca, in seguito Bolelli, è riuscito
creativamente a peggiorarsi, vaneggiando su guerrieri, eventi e
ciarpame tecnognostico.
Tornando alla
musica, queste registrazioni si tennero nel loft RivBea di Sam
Rivers a New York dal 14 al 22 maggio 1976 e vedono in azione
figure storiche del free come Sunny Murray, Marion Brown e Jimmy
Lyons e i nuovi (allora) alfieri della black music. Ci sono membri
dell’immaginifico Art Ensemble of Chicago (Roscoe Mitchell e Don
Moye) e il superbo trio Air (Henry Threadgill, Fred Hopkins, Steve
McCall). All’appello non mancano Hamiet Bluiett, Julius Hemphill,
Oliver Lake e David Murray, compagni d’avventura nel World
Saxophone Quartet. Presenti, soprattutto, il citato Smith e
Anthony Braxton, probabilmente il musicista jazz di riferimento
degli anni Settanta.
Vennero
selezionate 22 performance, per una durata totale di tre ore e 14
minuti, con oltre 60 musicisti coinvolti, offrendo un panorama
eterogeneo, niente affatto riconducibile ad un denominatore comune
(musica creativa o loft generation, secondo un’altra definizione
di comodo).
Inutile cercare
la traccia migliore, l’ascolto acquista senso proprio nello
scorrere, nel fluire delle performance. Il tratto musicale
evidente è che ognuno dei musicisti coinvolti ricercava, o in
alcuni casi ribadiva, un equilibrio tra la rilettura della
tradizione (delle proprie radici jazzistiche e/o afro) e lo
spirito incendiario del free. Molti dei protagonisti di quelle
serate si incontrarono spesso con i musicisti europei più
radicali, o comunque trovarono maggiore eco in Europa.
Riascoltati oggi
questi fiori selvaggi conservano intatto il profumo di un’epoca
che non temeva di azzardare utopie, di osare, a costo di pagare un
pesante pegno sul mercato discografico. Per restare all’olfatto,
ai tempi di quelle serate, della supremazia del mercato, si
sentiva solo un debole olezzo.
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