Wildflowers: Loft Jazz New York 1976

di Autori vari

Douglas

 

 





 

Wildflowers: Loft Jazz New York 1976
di Autori vari

 

Queste registrazioni comparvero su cinque Lp pubblicati dall’etichetta Douglas, che nel 1996 (vent’anni dopo) ne propose su un cd (Jazz Loft Session) un’antologia contenente 10 brani. Nel 2001 vennero ristampate in 3 cd dalla Knitting Factory, ma divennero presto irreperibili. Oggi tornano disponibili grazie alla stessa Douglas che si affida in Italia alla distribuzione di Egea.   

Documentano il passaggio di testimone definitivo tra due generazioni di musicisti quella storica del free jazz e la successiva, protagonista della cosidetta musica creativa, secondo la definizione coniata da Franco Bolelli nell’omonimo libro scritto nel 1978 (edizioni Squilibri). Bolelli si appropriò di peso del titolo di un album in solo di Leo Smith (presente anch’egli qui) Creative Music. Occorre riconoscere che il libello, del tutto inconcludente, ebbe il merito di parlare in Italia di artisti ignorati allora dalla critica, incomprensibili sul versante rock e troppo eretici sul fronte del jazz. Insomma, valse come uno spot ben riuscito, vacuo ma risonante. Per la cronaca, in seguito Bolelli, è riuscito creativamente a peggiorarsi, vaneggiando su guerrieri, eventi e ciarpame tecnognostico.

Tornando alla musica, queste registrazioni si tennero nel loft RivBea di Sam Rivers a New York dal 14 al 22 maggio 1976 e vedono in azione figure storiche del free come Sunny Murray, Marion Brown e Jimmy Lyons e i nuovi (allora) alfieri della black music. Ci sono membri dell’immaginifico Art Ensemble of Chicago (Roscoe Mitchell e Don Moye) e il superbo trio Air (Henry Threadgill, Fred Hopkins, Steve McCall). All’appello non mancano Hamiet Bluiett, Julius Hemphill, Oliver Lake e David Murray, compagni d’avventura nel World Saxophone Quartet. Presenti, soprattutto, il citato Smith e Anthony Braxton, probabilmente il musicista jazz di riferimento degli anni Settanta.

Vennero selezionate 22 performance, per una durata totale di tre ore e 14 minuti, con oltre 60 musicisti coinvolti, offrendo un panorama eterogeneo, niente affatto riconducibile ad un denominatore comune (musica creativa o loft generation, secondo un’altra definizione di comodo).

Inutile cercare la traccia migliore, l’ascolto acquista senso proprio nello scorrere, nel fluire delle performance. Il tratto musicale evidente è che ognuno dei musicisti coinvolti ricercava, o in alcuni casi ribadiva, un equilibrio tra la rilettura della tradizione (delle proprie radici jazzistiche e/o afro) e lo spirito incendiario del free. Molti dei protagonisti di quelle serate si incontrarono spesso con i musicisti europei più radicali, o comunque trovarono maggiore eco in Europa.

Riascoltati oggi questi fiori selvaggi conservano intatto il profumo di un’epoca che non temeva di azzardare utopie, di osare, a costo di pagare un pesante pegno sul mercato discografico. Per restare all’olfatto, ai tempi di quelle serate, della supremazia del mercato, si sentiva solo un debole olezzo.


 

Recensione di g. f.