Da un lato le terzine incatenate della Divina Commedia, dall’altro i balloon e tutto quello che pensano e dicono, ma non sempre, i personaggi dei fumetti. Due mondi sulle prime distanti: uno regno della cultura storicamente definita alta, l’altro giovane ed esuberante protagonista della cultura popular. La storia li ha progressivamente avvicinati, creando incontri inattesi, talvolta riusciti. Oggi vedere la vita e la grande opera di Dante Alighieri ri-narrate tramite il medium fumetto non scandalizza più nessuno ed è un territorio ancora in gran parte inesplorato. Abbiamo cercato di inquadrare i limiti e le opportunità offerte da imprese del genere, di capirne le logiche, di individuarne i protagonisti parlandone con Luca Boschi.
Direttore Culturale del Festival Internazionale Napoli Comicon dal 2001 (in precedenza aveva ricoperto questa carica per Lucca Comics), Boschi vanta collaborazioni con tutto quanto conta in materia di fumetto in Italia, da The Walt Disney Company a Sergio Bonelli Editore, da Linea Chra/Nona Arte a RCS e Panini Editore. È autore di decine di saggi, cataloghi e monografie. Ha un blog, The Boschington Post e… un lungo elenco d’attività su più fronti, comics ma non solo, anche televisione e teatro (cfr. it.wikipedia.org/wiki/Luca_Boschi).
La nostra conversazione parte da lontano.
Dagli incunaboli medievali ai
grandi illustratori, da Gustave Doré a Mœbius
e Patrick Waterhouse, la Divina
Commedia è da sempre in compagnia di immagini.
Perché?
Forse perché offriva
dei pretesti per raffigurare l’irraffigurabile: il Sublime
del Paradiso e le abiezioni infernali. Immagini spesso forti, come non
era possibile realizzarne per i testi sacri come la Bibbia,
per esempio. Ma rendere concreto e visibile
l’Aldilà ha comunque sminuito la poesia dantesca
che lo suggeriva all’immaginazione del lettore. Ho sempre
pensato che fosse come ritrarre lo scarafaggio in cui si era
trasformato Gregor Samsa. Franz Kafka aveva proibito espressamente al
suo editore di raffigurarlo in copertina de La metamorfosi,
il lettore doveva immaginarlo e farlo suo.
Da oltre mezzo secolo si raccontano a
fumetti la vita di Dante e la Commedia. Talvolta i due filoni si
fondono in una sola narrazione, come nel recente Dante
Alighieri di Alessio D’Uva, Filippo Rossi e Astrid
(pubblicato da Kleiner Fug). Quali sono i pro e i contro dei due
approcci?
Sicuramente alla base
c’è un ottimo intento divulgativo, che non
esaurisce la forza del testo di Dante. Forse ha il pregio di
incuriosire chi non avrebbe mai sognato di avvicinarcisi, come accadde
nel 1949 con L’Inferno di Topolino.
Quanti hanno conosciuto questa versione prima di quella dantesca? Io
stesso, per esempio (in una ristampa).
La tradizione ci ha consegnato un’immagine
di Dante probabilmente fantasiosa ma fortemente caratterizzata, quasi
già fumettistica in origine. Che cosa comporta per chi
disegna affrontare questa icona?
Forse è
facilitato nel suo compito. Una volta Giovan Battista Carpi lo ritrae
con le spoglie di Archimede Pitagorico, perfettamente calzanti (il
becco adunco del gallinaccio ricorda il nasone di Dante, le proporzioni
fisiche possono corrispondere). Dovendo realizzare una striscia, la
caricatura di Dante viene spinta alle estreme conseguenze, come ha
fatto Marcello Toninelli. A me ricorda molto la fisionomia di Sherlock
Holmes, mentre Virgilio, anche se “duca” (guida),
lo vedo relegato nel ruolo di spalla senziente; è una specie
di Watson.
Quanto alla Divina Commedia:
ma può essere fatta a fumetti? Nel 1959, Cesare Zavattini
interrogò l’amico Arrigo Polillo sulla questione e
aggiunse che l'opera dantesca presentava “tutte le
qualità per essere fatta a fumetti, tradotta in fumetti,
divulgata in fumetti, comunicando certi suoi valori storici e morali,
tipici per noi italiani, fra l'altro, senza bisogno di esprimere
capillarmente la poesia”. Stanno così le cose?
La
traduzione di un’opera da un medium all’altro
è sempre problematica, come ben sappiamo. Si guadagna
qualcosa e qualcos’altro si perde. In una traduzione a
fumetti si tralascia comunque lo specifico poetico di Dante, che nasce
per suscitare immagini nella mente del lettore e non ha bisogno di
traduzioni grafiche for dummies. Riflettendo oggi,
penso che alcuni valori morali di Dante siano da salvare, ma non tutto
quello che esprime. Alcune affermazioni non sono nemmeno storicamente
attendibili, in quanto il testo è percorso da passioni,
amori, soprattutto risentimenti e vendette personali legate allo
scrittore. Una Divina Commedia a fumetti, anche se
pedissequamente raccontata, sarebbe una cosa diversa, con i balloons in
sostituzione delle strofe. Mi risulta che questa operazione non sia mai
stata effettivamente compiuta con serietà. È
vero, esiste la versione giapponese di Kiyoshi Nagai, meglio noto come
Gō Nagai, ma è talmente originale e lontana dallo spirito
dantesco da risultare un’opera a sé. Pregevole, ma
poco fedele, rispettosa forse dell’apparenza ma non dello
spirito. Della Divina Commedia resta
l’epidermide, poi riempita, nei tessuti muscolari, con
estranee figurazioni manga.
A parte questa interpretazione,
quando in altri fumetti ci si riferisce alla Divina Commedia
si sfodera di solito lo strumento della parodia. Poi, per rispetto alla
divinità, delle tre Cantiche ci si limita a citare
l’Inferno.
L’Inferno è il dispositivo
narrativo per eccellenza, oppure via via che gli scenari si fanno
astratti nel corso della narrazione dantesca, si crea più
spazio per l’immaginazione, per disegnare con maggiore
libertà?
Credo che i diavoli, i demoni, i
mostri, siano una fonte di ispirazione più significativa
degli angeli, dei santi… Ma… come si raffigura a
fumetti la Madonna (per esempio)? Come non correre il rischio di
mancare di rispetto ai credenti cattolici? Con i personaggi
dell’Inferno è possibile andare giù
duro: una presa in giro del demonio non offende nessuno,
anzi… E, come è risaputo, il Male è
più accattivante del Bene, stimola chi lo raffigura e
intriga chi ne fruisce l’interpretazione. La saga, pur
bonaria e per ragazzi, del diavolo Geppo è il miglior
esempio di questo atteggiamento. Uno dei personaggi più
longevi e memorabili del Fumetto italiano, il diavolo buono, prende le
mosse da Dante (e dall’Inferno di Topolino),
quindi parte per la tangente.
Ogni versione, interpretazione e rilettura della
Divina Commedia opera una selezione, estrae momenti salienti, episodi
chiave. Avrebbe senso disegnare un’edizione
integrale?
Lo avrebbe, perché
no? Senza intenti parodici, penso a quello che avrebbe potuto darci un
Gianni De Luca, che aveva realizzato riduzioni leggendarie di alcuni
capolavori di Shakespeare. Avrebbe usato rispetto, sia nei contenuti,
sia nella loro rappresentazione, e probabilmente avrebbe adottato un
taglio impaginativo di tavole che avrebbero sorpreso lettori e studiosi
di arte. Anche oggi potrebbero esserci fumettisti, italiani e non, in
grado di restituire risultati memorabili. Robert Crumb ha da poco
illustrato La Genesi. All’opera
sull’Inferno (e forse anche sul Purgatorio)
lo vedrei benissimo.
Quanto bisogna conoscere Dante e la sua opera per
farne un fumetto?
È sempre fondamentale
conoscere il punto di partenza dal quale ci si muove. Nel caso delle
tre Cantiche, chi cominciasse a impegnarsi per disegnarne la versione a
fumetti non potrebbe nemmeno limitarsi allo studio del testo dantesco,
prescindendo dalle rappresentazioni grafiche che negli anni ne sono
state date. Per noi italiani penso alle illustrazioni di riferimento
(un po’ tronfie, ma caratteristiche e puntuali) di Tancredi
Scarpelli e, per chiunque nel mondo, alla versione di Gustave
Doré. Angelo Bioletto, nel disegnare l’Inferno
di Topolino, aveva gli scenari di Doré sotto gli
occhi, come testimoniano alcune vignette, soprattutto nella prima parte
del fumetto.
Chi tra gli sceneggiatori e disegnatori italiani di
oggi sarebbe in grado di fare una trasposizione completa della Commedia?
Il
primo che mi viene in mente è Giuseppe Palumbo, che oltre ad
appassionarsi alle scene più truculente possiede
l’attenzione e l’umiltà necessarie a
calarsi nello spirito di quanto raffigura, limitando la tentazione di
attrarre il testo a sé. Trovo che abbia degli strumenti di
autocritica e di autocontrollo superiori a quelli di altri suoi
colleghi. Filippo Scozzari, se ne avesse voglia, potrebbe sfornare una
versione buffa e deformata del tutto. Sintetica, perché non
credo che vorrebbe mai impegnarsi per un lavoro che richiederebbe anni
di dedizione. Claudio Nizzi lo vedo come uno sceneggiatore adatto,
già rodato sulla trasposizione in tavole di testi popolari.
Avrei visto bene anche i disegni di un cesellatore come Paolo
Piffarerio, purtroppo scomparso recentemente. Forse anche altri
disegnatori sotto i Cinquanta potrebbero impegnarsi in questa opera
titanica, avendo il tempo per portarla avanti compiutamente. Ne cito
due: Daniele Caluri e Alberto Pagliaro. Chissà se ci hanno
mai pensato e se si stupiranno davanti a questa mia
“designazione”. Fra i disegnatori di tratto
più grottesco (anche se non solo: realistico
all’occorrenza) penso a Fabio Celoni e a Paolo Mottura.
Un approccio che non risparmia né la
Commedia né Dante stesso è quello parodistico,
finanche caricaturale, da Jacovitti ai personaggi di Walt Disney per
eccellenza, Topolino e Paperino. Perché così
tanti casi? È solo goliardia verso un testo (e un autore)
temuto da studenti?
Perché una delle
caratteristiche imprescindibili della parodia riguarda la
notorietà del testo di base da reinterpretare. Una parodia
di Anna Karenina, per esempio, non avrebbe alcun
effetto, perché nessuno conosce quel romanzo di Tolstoj, a
parte gli iniziati. Tutti gli studenti italiani,
invece, hanno sofferto a lungo dovendo ingoiare forzatamente la Divina
Commedia. È un capolavoro, ma non è
certo apprezzato da tutti i palati. Per quanti ragazzi ha avuto una
valenza paragonabile all’olio di fegato di merluzzo?
Così, da un lato, la parodia esorcizza un testo la cui
obbligatorietà di lettura rende detestabile,
dall’altro lo rende più simpatico e potabile.
C’è più di un Dante
nelle interpretazioni e ce ne sono molti anche nel fumetto, dal manga
di Gō Nagai che omaggia Doré alla deriva
punk nella storia di Gary Panter.
Per molti invece
è solo una suggestione, un bagaglio culturale da cui
attingere? Ci sono autori o almeno storie a fumetti influenzate da
Dante e dalla Commedia?
Gli autori di fumetti
italiani sono più che altro influenzati dalla parodia che ne
disegnò appunto Bioletto, su soggetto di Guido Martina. A
parte quelli già citati, aggiungerei Luciano Bottaro e
Franco Aloisi. Entrambi avevano un debole per raffigurare i diavoli. E
poi, Giovan Battista Carpi, Giulio Chierchini, Pierluigi Sangalli,
Sandro Dossi… E uno che quasi nessuno conosce:
l’animatore Pio Laner, in forza per un certo periodo presso
le Edizioni Dardo di Milano.
In questa selva di strisce, qual è il tuo
Dante a fumetti preferito?
Dovrei dire
quello del mio amico Marcello Toninelli, che di Dante ha descritto la
vita a fumetti, con un originale salto di prospettiva rispetto
all’analisi, più o meno giocosa, di parte della
sua opera. Ma non posso sottrarmi all’influenza irresistibile
che su tutti noi baby boomers ha avuto L’Inferno
di Topolino. A dieci anni circa, perduto il volumetto che la
pubblicava, provai a memoria a ridisegnare quella esperienza, scrivendo
anche delle rime ingenue, mettendo però dei personaggi
creati da me al posto di Topolino-Dante e Pippo-Virgilio. Si chiamavano
Max e Silver. Ho ancora quei disegni, che con la narrazione della
vicenda infernale si interrompevano alla trasvolata sugli avelli dei
due visitatori dell’aldilà, a cavallo di un drago
volante.