Di che cosa parliamo, quando parliamo di fantascienza

 


Noi creiamo piccoli, innumerevoli, musei quotidiani e in parallelo, in grande, opera la stessa logica, come quando archiviamo la storia del giorno prima, gli eventi. Si registri un telegiornale e lo si riguardi due/tre giorni dopo e si capirà di che stiamo parlando.

Per inciso, esiste solo un altro ordine altrettanto strutturalmente decisivo, sotteso al nostro mondo: la pornografia. Non soltanto (e già parliamo di un mercato stratosferico) le attività pornografiche ed il relativo indotto, ma della logica dello sguardo ravvicinato, di quell’osservazione totale e perenne che dai satelliti ai reality, dalle ricerche di mercato alle telecamere di sorveglianza, svela una coazione a guardare sempre di più tutto, il più vicino possibile.

Mettiamola così: abbiamo appena scritto che il battesimo della science fiction avviene nel 1926 con la nascita di Amazing Stories. Ma la sua nascita anagrafica è già avvenuta: nel 1895 con la pubblicazione di La Macchina del Tempo. Nel romanzo di Wells già è in campo uno dei temi fondamentali della science fiction: il tempo, e la possibilità di percorrerlo avanti e indietro.

Fra l’altro, nello stesso anno nascono il cinema, formidabile macchina del tempo, e il fumetto, l’altra tecnologia dell’immaginario visivo del Novecento: una coincidenza, nulla di più, di quelle che però piacciono, perché sembrano indicare spazi/momenti di concentrazione, di precipitazione degli eventi. E d’altra parte il cinema quasi da subito si dedica alla fantascienza con Méliès e al sogno in universi paralleli con Winsor Mc Cay.

E fin dove arriva, temporalmente il genere? La domanda vera è questa: dobbiamo seguire Jean Baudrillard nelle sue affermazioni sulla morte della fantascienza, o prenderle come una iperbole, che serve ad indicare altro? Il cambiamento di una sensibilità, ad esempio. Ed ancora, oltre alla data di nascita e di battesimo, possiamo indicare altre date cruciali?

Proviamoci, pensando ai pilastri del genere.

Il 1945, ad esempio, e le bombe su Hiroshima e Nagasaki; il 1947, e il primo avvistamento di UFO; il 1969, e lo sbarco lunare. Sicuramente date importanti per il genere… Ma ci servono a indicare qualcosa? Sono cartelli segnaletici di un arrivo, di una svolta, di uno stop nell’immaginario? E se non queste, o oltre queste, quali altre date?

Il 1948, ancora per esempio, con l’uscita del romanzo di Frederic Brown, Assurdo Universo. Più che un romanzo un saggio sulla science fiction e il suo mondo, con tanto di disinnesco della paura dell’alieno: nell’universo parallelo in cui casca il protagonista i “Mostri dagli Occhi di Pulce” passeggiano tranquillamente per strada, e non fanno paura a nessuno, e lo stesso “assurdo universo” in cui si svolge la storia è stato reso accessibile dall’immaginazione scadente di un aspirante scrittore di fantascienza.

E poi naturalmente il 1959 e la nascita di The Twilight Zone: la “guerra fredda” è al massimo della sua curva, mancano solo tre anni alla “crisi dei missili” di Cuba.

Perché può essere vera una cosa, in quello che scrive Baudrillard – che in qualche maniera è omologo a quello che scrive oggi Tommaso Pincio al proposito: non ha importanza se un evento è stato reale o meno (l’arrivo degli UFOs), ma ha importanza il fatto che è stato percepito come tale.

E, volenti o nolenti, insieme alle date di inizio e fine della guerra nel Vietnam, all’uscita del primo album dei Beatles e a qualcun’altra, queste sono state tutte date che hanno marcato l’evolversi dell’immaginario del XX secolo, e hanno in qualche misura condotto lo sviluppo dello spirito del tempo attuale. Niente di più che bandierine colorate su una mappa quadridimensionale, forse, ma utili al nostro progetto cartografico.

E allora, tornando al sociologo francese, forse negli anni Ottanta del secolo scorso è stata davvero percepita la morte della fantascienza.

E la domanda diventa: perché?

Proviamo a raccontar(ce)lo attraverso una storia.

È un giorno imprecisato dell’ottobre del 1955. Siamo a Hill Valley, piccola cittadina presumibilmente del Midwest, che invano cercheremmo sulle carte.
Improvvisamente, Hill Valley si popola di un nuovo abitante, un diciassettenne che sembra sbucato dal nulla. Si chiama Marty Mc Fly.
Anche se sa - o deduce - come mai si ritrova lì - e allora - il giovane è piuttosto disorientato.

 

 

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