La prima attrazione che John Hammond aveva realizzato nella
sua carriera imprenditoriale era un circo delle pulci a Petticot Lane,
a Londra. Così l’eccentrico miliardario nato dalla
fantasia di Michael Crichton ma trasformato in icona dal film di Steven
Spielberg racconta i suoi esordi in una bizzarra scena in cui mangia
gelato mentre i visitatori del suo Jurassic Park stanno lottando contro
la morte. In quella scena, senz’altro la più
riuscita di un film che ha fatto la storia del cinema e
dell’immaginario legato ai dinosauri, Spielberg tratteggia
tutta la portata dello scontro titanico – meglio, prometeico
– tra i dinosauri e l’uomo. Hammond ha messo su un
parco di divertimenti trasformando i dinosauri in attrazioni
turistiche, con tanto di merchandising (magliette, cappelli, pupazzi
fanno bella mostra di sé nel centro visitatori). Ma le
creature riportate in vita dall’ingegneria genetica sono
sfuggite al controllo dell’uomo, si sono ribellate
rispondendo al richiamo della natura. È la paleobotanica
Ellie Sattler a chiarirlo: “È ancora un circo
delle pulci, John! È tutta un’illusione. Non avete
mai avuto il controllo, questa è l’illusione. Sono
stata abbagliata dalle potenzialità di questo parco, ma ho
commesso un errore anch’io: non ho avuto rispetto di quelle
potenzialità e ora si sono scatenate”.
Il
messaggio di Crichton, come in quasi tutti i suoi romanzi, sta proprio
in questo: nella mancanza di rispetto dell’uomo per la forza
della natura, che una volta liberata è impossibile domare;
non un messaggio luddista – Crichton era un medico, uno
scienziato – ma a favore del principio di precauzione che
troppo spesso la scienza ha sottovalutato, da Hiroshima a oggi.
L’irresponsabilità di Hammond, che ha fondato la
InGen, un’azienda di biotecnologie, per trovare il modo di
riportare in vita i dinosauri attraverso la clonazione, è
quella di voler imbrigliare la forza della natura incarnata nei
dinosauri attraverso la più improbabile delle soluzioni:
chiudendoli in un parco a tema. Ecco che i dinosauri irrompono nel
tardo XX secolo della civiltà umana contemporanea. In che
altro modo, dopotutto, potremmo utilizzarli, se non come attrazioni in
un mondo vittima della gamification, come si dice
oggi? Beniamini di ogni bambino, i dinosauri rappresentano la versione
scientifica di Topolino. Così, se esiste Disneyland, un
parco a tema dedicato al mondo di Topolino, perché non avere
anche un Jurassic Park? La differenza la sottolinea Ian Malcom in un
dialogo del film: “Quando aprirono Disneyland, nel 1956, non
funzionava niente”, si difende Hammond. E Malcom, tranchant:
“Sì, ma se il villaggio dei caraibi va in tilt, i
pirati mica si mangiano i turisti!”.
La differenza
sta insomma nel fatto che i dinosauri sono animali veri,
a differenza di Topolino. Il che fa pensare. Siamo abituati a vedere
scheletri di dinosauro nei musei, ricostruzioni più o meno
realistiche nei libri, apparizioni di ogni tipo al cinema o in
televisione, ma raramente ci soffermiamo sulla loro reale esistenza. Le
loro sembianze mostruose li rendono più simili a creature
fantasiose e aliene. E invece è proprio il loro essere reali
a costituire il problema che farà fallire
l’ambizioso progetto di Hammond di un parco a tema con
dinosauri.
In un brano molto importante del romanzo
di Crichton, il genetista capo della InGen, Henry Wu, fa visita ad
Hammond per proporgli una versione 4.4 degli animali del parco.
“In questo momento, John, ci si presenta
un’occasione unica. Perché per ora quasi nessuno
al mondo ha mai visto un dinosauro in carne e ossa. Nessuno sa che
aspetto avessero veramente”, ragiona Wu. “I
dinosauri che abbiamo adesso sono veri, ma in qualche modo sono
deludenti. Poco credibili. Potremmo migliorarli”. Di fronte
alle perplessità di Hammond, Wu si spiega meglio:
“Tanto
per cominciare, si muovono con troppa rapidità. La gente non
è abituata ad associare la velocità a una mole
simile. Avranno l’impressione che si muovano a un ritmo
accelerato, come un film proiettato ad alta
velocità… Ma potremmo benissimo allevare
dinosauri più lenti, più
addomesticati”.
Hammond ribatte che
nessuno vuole vedere dinosauri addomesticati, che la gente vuole
l’articolo genuino, ma Wu è di
tutt’altro avviso: “Non credo affatto che vogliano
l’articolo genuino. Vogliono vedere realizzate le loro
aspettative, il che è del tutto diverso”. E
prosegue: “Lo hai detto tu stesso che questo è un
parco di divertimenti. E il divertimento non ha nulla a che vedere con
la realtà. Il divertimento è l’antitesi
della realtà”.
In questo brano, Wu chiarisce ad Hammond che loro non devono
tradire le aspettative del pubblico su com’è un
dinosauro. Se l’immaginario popolare ha sempre associato ai
dinosauri la lentezza, chi sono loro per dimostrare il contrario? Wu
propone allora di sostituire l’attuale popolazione di
Jurassic Park con una versione modificata, la 4.4, come fosse la release
di un programma o la patch di un videogioco che ha
qualche bug imprevisto dai programmatori. Difatti, i dinosauri hanno un
difetto: non sono come il pubblico li immagina. E poiché
Jurassic Park è un parco di divertimenti, un mondo irreale,
perché loro dovrebbero proporre al pubblico dinosauri reali?
“Non dobbiamo farci illusioni. Qui non abbiamo ricreato il
passato. Il passato è svanito e non può essere
ricreato. Non esiste più. Noi qui abbiamo ricostruito
il passato. E sto solo dicendo che possiamo farne una versione
migliore”, conclude Wu.
È un dialogo,
questo, che sta al cuore del romanzo di Crichton. Lo scrittore ci
mostra lo scienziato e l’imprenditore che ragionano di esseri
viventi come se fossero prodotti industriali, senza alcun rispetto per
la loro natura, per la loro realtà. Un
concetto reso ancora più vivido nel sequel del romanzo, Il
mondo perduto, dove i protagonisti scoprono su
un’altra isola al largo del Costa Rica, Isla Sorna
(anch’essa, come Isla Nublar, dove si trova Jurassic Park,
assolutamente di fantasia), la “fabbrica dei
dinosauri”. Nella descrizione di Crichton, la fabbrica
abbandonata non differisce molto dalle catene di montaggio delle
automobili. I dinosauri vengono creati dalla InGen come macchine, o
meglio: come farmaci. Dopotutto, la InGen è una
società di biotecnologie. Hammond lo chiarisce bene in un
altro passo del romanzo, ancora in un dialogo con Wu: “Se tu
dovessi avviare una società di bioingegneria, Henry, che
faresti? Fabbricheresti prodotti per aiutare il genere umano, per
combattere infermità e malattie? Ahimè, no.
Questa è un’idea terribile…”.
E spiega il perché:
“Supponi di fare un
farmaco miracoloso per il cancro o i disturbi di cuore: come fece la
Genentech. Supponi di voler adesso farti pagare mille o duemila dollari
a dose. Potresti immaginare che sia tuo diritto. Dopo tutto, hai
inventato il farmaco, hai pagato lo sviluppo e il collaudo; dovresti
riuscire a farlo pagare quanto vuoi. Ma pensi davvero che il governo te
lo lascerebbe fare? No, Henry, non te lo lascerebbe fare. I malati non
pagherebbero mille dollari per la cura di cui hanno bisogno: non te ne
sarebbero grati, si sentirebbero oltraggiati. Il Servizio Sanitario non
lo rimborserebbe. Urlerebbero al brigantaggio”.
Ecco
allora perché, di fronte alla scoperta di un metodo
d’ingegneria genetica per ricreare i dinosauri, la InGen ha
optato per metterli in un parco a tema:
“Ora
pensa quant’è diverso quando ti occupi di
intrattenimento. Nessuno ha bisogno d’intrattenimento. Non
è una questione per interventi del governo. Se io chiedo
cinquemila dollari al giorno per una visita al mio parco, chi mi ferma?
Dopotutto, nessuno è obbligato a venire qua. E lungi
dall’essere una rapina, la mia costosa tariffa aumenta
l’attrazione per il parco. Una visita qui diventa uno status
symbol e agli americani questo piace”.
I dinosauri ridotti a status symbol sono
esattamente il modo in cui l’uomo del tardo XX secolo (o del
XXI) deciderebbe di impiegarli. Lungi dall’utilizzarli per
scopi di studio scientifico, come vorrebbe Alan Grant, il paleontologo
del romanzo, i dinosauri vanno spettacolarizzati e trasformati in
attrazione turistica. La scienza, in questo modo, diventa mero
strumento per finalità di business. In un brano di Il
mondo perduto, l’alter ego di Hammond, Lewis
Dodgson, a capo di un’industria biotecnologica concorrente,
dimostra che esistono ben altri progetti di sfruttamento economico dei
dinosauri, oltre ai parchi a tema. Per esempio, i test di nuovi
farmaci. Di fronte alle proteste degli animalisti, diventa sempre
più difficile per le industrie farmaceutiche testare nuovi
prodotti sui cani o altri animali. “A meno che non abbiamo un
animale genuinamente creato ex novo”, ragiona Dodgson.
“Prova a pensarci: un animale estinto e riportato alla vita
in pratica non è affatto un animale. Non può
avere dei diritti, essendo già estinto. Quindi, se esiste,
può essere solo qualcosa fatto da noi. Noi lo facciamo, lo
brevettiamo, ed è di nostra proprietà”.
Un dinosauro, dopotutto, non è altro che un rettile; e, come
ricorda Dodgson, a nessuno piacciono i rettili. Nel suo discorso,
l’imprenditore si spinge oltre:
“Jeff, qui
si tratta di avere una libertà completa. Dato che al momento
tutte le questioni relative ad animali vivi presentano inghippi legali
ed etici. Oggi chi si dedica alla caccia grossa non può
più sparare a un leone o a un elefante... quegli stessi
animali che i loro padri o nonni uccidevano per poi farsi fotografare
orgogliosamente accanto alla preda. Adesso tutto questo comporta
richieste di permessi e molte spese... e un gran senso di colpa. Ormai
nessuno oserebbe sparare a una tigre e ammettere di averlo fatto. Nel
mondo moderno questa è una trasgressione più
grave del parricidio. Le tigri hanno i loro difensori. Ma prova a
immaginare una riserva di caccia appositamente popolata, magari da
qualche parte in Asia, in cui i ricchi e i potenti potessero dar la
caccia a tirannosauri e triceratopi in un ambiente naturale. Sarebbe
un’attrazione pazzesca. Quanti cacciatori esibiscono teste di
alce imbalsamate sulla parete? Il mondo ne è pieno. Ma
quanti possono vantarsi di avere una ghignante testa di tirannosauro
sopra il mobile bar? (…) Sto cercando di farti capire una
cosa, Jeff: questi animali possono essere sfruttati senza alcun
vincolo. Di loro si può fare quel che si vuole”.
Un altro progetto che la compagnia di Dodgson crede sia tra i piani di commercializzazione della InGen riguarda i cuccioli di dinosauro. Chi impedirebbe all’azienda di Hammond di creare dinosauri che non crescono, assolutamente sicuri e affidabili, da vendere come animali da compagnia? E naturalmente, grazie all’ingegneria genetica, si potrebbe far sì che questi cuccioli mangino solo alimenti prodotti dalla InGen. Come ci si può immaginare, entrambi i personaggi fanno poi la fine che meritano: uccisi dai dinosauri che ritenevano di poter controllare (nel film, Hammond è trasformato da Spielberg in un mite vecchietto e quindi scampa alla legge del contrappasso per riapparire nel sequel trasformato “da capitalista ad ambientalista in appena cinque anni”, come gli fa notare Malcolm).
Ma torniamo all’immaginario del dinosauro di cui Wu parlava ad Hammond nel brano che abbiamo citato poco sopra. Anche Spielberg riprende questo tema nel suo Jurassic Park. Nel corso della prima visita guidata al parco, il gruppo di visitatori resta alquanto deluso dal non riuscire a scorgere i dinosauri che la voce guida cerca invano di illustrare loro. Non essendo attrazioni artificiali, ma animali, i dinosauri si comportano come gli esemplari di uno zoo safari, sfuggendo spesso agli occhi dell’uomo che è venuto lì apposta per osservarli. Per evitare che incappino nella stessa delusione, giunti al recinto del Tyrannosaurus Rex, ovviamente la principale attrazione del parco, i visitatori assistono al sacrificio di una capra messa a disposizione della bestia per sfamarsi. L’idea è di costringere così il dinosauro a uscire allo scoperto e mostrarsi in tutta la sua maestosità. Ma c’è poco da fare: il Tirannosauro ha l’istinto del cacciatore e non gradisce l’idea di trovarsi un pasto gratis di fronte ai suoi occhi, senza nemmeno un minimo di sforzo per guadagnarselo. Malcom sottolinea il suo disappunto, chiedendo ironicamente ad Hammond: “Senta, è previsto che si vedano dei dinosauri nel suo parco dei dinosauri?”.
Tutto dimostra, fin da subito, l’assurda pretesa del Jurassic Park di “controllare” la natura preistorica e offrirla all’uomo moderno sotto forma di spettacolo. L’errore più grande viene commesso con l’illusione di un controllo rigoroso delle nascite. Gli ingegneri della InGen hanno fatto in modo che tutti i dinosauri da loro creati siano femmine, così da impedirne la riproduzione. Eppure, grazie all’utilizzo, per coprire i “buchi” del Dna preistorico, di una sequenza genetica tratta dal Dna di anfibi contemporanei, i dinosauri acquisiscono la capacità di cambiare spontaneamente sesso all’occorrenza. In tal modo, la popolazione del Jurassic Park sfugge rapidamente al controllo dei progettisti. Non solo: sebbene siano stati creati con una dipendenza artificiale da lisina, cosicché, in assenza di quell’amminoacido nella loro dieta, gli animali muoiono dopo poche ore, i dinosauri imparano a cibarsi selettivamente di alimenti ricchi di lisina trovati in natura. In questo modo, nel romanzo di Crichton, riescono a fuggire da Isla Nublar e penetrare nel Costa Rica. Ne Il mondo perduto, Malcolm scopre che anche nel sito B della InGen, Isla Sorna, qualcosa era andato storto. Nel corso della produzione industriale dei dinosauri, si era diffusa una misteriosa malattia che aveva fatto schizzare alle stelle la mortalità infantile dei nuovi esemplari, compromettendo i piani di business dell’azienda. Cosicché, di fronte all’incapacità di controllare la malattia, gli uomini della InGen decidono di liberare i dinosauri nell’isola per scoprire se, in questo modo, fosse stato possibile risolvere il problema. Un’abdicazione: poco dopo, l’incidente di Isla Nublar e un terribile uragano costringono gli uomini della InGen a evacuare il sito B, lasciato a se stesso. I dinosauri prendono rapidamente possesso dell’isola, sancendo ancora una volta la vittoria della natura.
Il fascino dei romanzi di Michael Crichton e dei film di Steven Spielberg sta proprio in questo particolare punto di vista del tema del dinosauro, nella sua “fenomenologia” postmoderna. Scompare l’immagine del dinosauro immerso nel suo ambiente preistorico, come ne Il mondo perduto di Arthur Conan Doyle o nel Viaggio al centro della Terra di Jules Verne, e appare il dinosauro inserito nell’ambiente tecnologico e post-industriale dell’Occidente contemporaneo. Nella sua rilettura cinematografica del sequel di Crichton, Spielberg si spinge oltre lungo questo binario e mette in scena l’irruzione del dinosauro nella metropoli americana rappresentata da San Diego. Il nipote di Hammond, acquisito il controllo della InGen, vorrebbe aprire nella città californiana una versione “in piccolo” del Jurassic Park: una sorta di arena dove esibire, come al circo, diversi esemplari di dinosauro, tra cui soprattutto il temibile Tyrannosaurus Rex. Ma, ancora una volta, il progetto deraglia e il Tirannosauro sfugge al controllo, finendo per seminare morte e distruzione mentre scorrazza indisturbato per San Diego. La battuta del bambino che sveglia i suoi genitori per segnalargli che “c’è un dinosauro in giardino” dimostra, nel puro stile spielberghiano, l’ingenuità con cui i bambini moderni accetterebbero, senza scomporsi, l’idea che i dinosauri possano improvvisamente materializzarsi nel giardino di casa.
Sennonché,
Jurassic Park – almeno nella sua versione
cinematografica – ha consegnato all’immaginario di
massa un’idea del dinosauro che la ricerca scientifica ha poi
dimostrato essere molto distante dalla realtà. Dopo
Spielberg, le ricostruzioni dei dinosauri nei documentari e nei musei
non hanno potuto fare a meno di confrontarsi con l’immagine
dell’animale ricoperto di una pelle grigia e umida,
“rettilesca” appunto. Probabilmente, nonostante le
reticenze dei paleontologi nel condividere questa particolare immagine
del dinosauro, le strutture di divulgazione hanno dovuto abdicare alla
scientificità per consegnare al loro pubblico
l’immagine del dinosauro che esso si aspetta, esattamente
come ragionava Wu nel romanzo di Crichton. Solo recentemente hanno
cominciato a farsi strada le ricostruzioni di dinosauri ricoperte da
piume, come indicato dai paleontologi. Eppure difficilmente vedremo mai
al cinema un Tyrannosaurus Rex coperto da un
piumaggio variopinto come quello di un pappagallo.
Tant’è che Colin Trevorrow, regista del prossimo Jurassic
World, quarto film del ciclo cinematografico (slegato dai
romanzi di Crichton come già Jurassic Park 3)
ha chiarito in un suo tweet che i dinosauri del film sarebbero stati
sprovvisti di piume e avrebbero conservato il
“design” consolidato nei precedenti episodi della
saga. Nel mondo della paleontologia, la notizia non è
piaciuta. Sul suo blog, Mark Witton ha commentato: “Si perde
così l’occasione di riportare al punto di partenza
il tema del rapporto dinosauri-uccelli accennato nel primo film,
mostrando prove schiaccianti del fatto che alcuni dei dinosauri di Jurassic
Park avevano le piume. Ed è anche una formidabile
occasione persa per affermare tra il vasto pubblico la moderna
concezione della paleobiologia” (http://markwitton-com.blogspot.co.uk).
Ma
siamo davvero sicuri che il vasto pubblico voglia il
“prodotto genuino”, come sosteneva Hammond? Non
sarà forse vero che, ormai assuefatti alle immagini dei Velociraptor
grigi e silenziosi e dai Tyrannosaurus ringhianti
(il verso del T-Rex di Jurassic Park è a
sua volta divenuto un’icona), l’idea di dinosauri
piumati non ci piaccia affatto? Ormai i dinosauri sono diventati
immagini troppo popolari per restare confinati nel mondo della
paleontologia. Sono protagonisti di cartoni animati, di telefilm, di
romanzi, declinati in mille modi diversi; ma diversi, in primo luogo,
dalla loro effettiva realtà. Il dinosauro
“pop” non è quello della paleontologia,
né vuole esserlo. Il personaggio di John Arnold nel romanzo
di Crichton diceva bene quando sosteneva “che tutto il mondo,
pian piano, si avvicinava al punto in cui poteva essere descritto con
la metafora di un parco tematico”, un classico non-luogo
(cfr. Augè, 1999), un’isola felice dove il
visitatore non vuole scoprire ma vedere confermate le sue aspettative
(cfr. Calabrese e Codeluppi 2009). E così come a Disneyland
non ci sono topi, ma solo Topolini, tenetevi i dinosauri veri nei musei
e lasciateci quelli di Jurassic Park.
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