PREMESSA
Una
retrospettiva d’arte per sua natura non può che
ripercorre ciò che è stato. Cerca di rimettere
sotto i riflettori il passato illuminandolo alla luce del presente.
È una condizione alla quale non sfuggono neanche le mostre
che ci mostrano lo stato delle cose, catalogando il passato prossimo,
il giorno prima, ma pur sempre lo ieri. Quando però a essere
esposto è il futuro, le regole si sgretolano, le prospettive
mutano, i criteri saltano. Ma si può realizzare una mostra
sul futuro? No, ovviamente, perché in senso letterale non
è mostrabile, ma una rassegna dei futuri così
come l’umanità se li è immaginati,
sì, è possibile eccome, se a essere protagonista
è il manufatto che per eccellenza ha sempre pre-figurato il
futuro: l’automa e il suo erede, il robot. È
quello che realizzarono in grande stile i curatori della mostra
Corpo Automi Robot, tenutasi al Museo d’Arte e a
Villa Ciani a Lugano, dal 25 ottobre 2009 al 21 febbraio 2010, offrendo
al pubblico la visone di reperti archeologici, disegni, libri a stampa,
documenti relativi al teatro, al cinema e alla musica, varie tipologie
di automi, giocattoli, dipinti, sculture, video, installazioni, robot
industriali e ludici. Il visitatore veniva infatti calato in un tempo
fuor di sesto, percorrendo a ritroso futuri via via più
lontani, remoti, distanti dal nostro tempo perché sempre
più posti indietro nel tempo. A raddrizzare
l’orologio ci pensavano poi le più recenti
applicazioni della robotica, lungo l’intero fronte delle loro
applicazioni, dalla chirurgia all’intrattenimento. Non solo,
di pari passo con le realizzazioni meccaniche e cibernetiche
nell’arco dei secoli venivano affiancate le visioni che
soprattutto nel Novecento gli artisti hanno avuto dell’uomo
artificiale, non a caso in concomitanza con la più netta
specializzazione delle tecnologie. A far da collante infine,
l’immaginario fantascientifico di cui siamo tuttora
impregnati, anche a nostra insaputa. Alla mostra si
accompagnò un catalogo pubblicato dall’editore
Mazzotta che, oltre a una nutrita documentazione degli automi, dei
robot e delle opere d’arte in esposizione, si avvalse di un
numero di contributi scritti altrettanto sostanzioso. Il testo che
segue proviene da lì ed è stato scritto da uno
dei curatori della mostra, Gilles Caprari, ricercatore in robotica ETHZ
e direttore della GCtronic Robotica di Mendrisio. Si tratta di
un’utile sintesi delle tappe che hanno portato
l’umanità dalla Colomba di Archita al robot
giocattolo, con cui si chiude il testo di Caprari. Tempo tre anni e
sarebbe entrato in scena Roby.
La robotica è una
scienza del XX secolo, ma alcuni degli aspetti dei robot contemporanei
sono rintracciabili già nei miti e nelle leggende
dell’antichità. Un esempio è il mito di
Talos del secondo millennio a.C., gigante di bronzo
guardiano dell’isola di Creta capace di gettare pesanti
pietre sulle navi che vi si avvicinavano e di rendere il suo corpo
incandescente. Già allora capacità superiori a
quelle umane e la sostituzione dell’uomo nei compiti
più duri e pericolosi caratterizzava questi primi
“robot” dell’antichità. Ma per
veder nascere il primo robot e la parola stessa, si dovrà
attendere il XX secolo, il secolo per eccellenza dello sviluppo della
robotica.
Il vocabolo robot non è nato in un
contesto scientifico, appare infatti per la prima volta nella
pièce teatrale R.U.R. (Rossum’s
Universal Robots) del 1920 dello scrittore ceco Karel Čapek
(1890-1938). Robot è una parola inventata partendo dalla
parola ceca robota che significa lavoro servile.
Questo nome è da ricondurre alla funzione che il robot
descritto da Čapek svolgeva, sostituire l’uomo nel lavoro
affinché potesse dedicarsi ad altre attività
più piacevoli. Da questa piéce teatrale il
termine robot sarà poi diffuso e reso popolare in tutte le
lingue. Questa è stata la prima definizione, ma come tutte
le definizioni, anche quella di robot si è evoluta.
Già una macchina che include dei meccanismi e degli
automatismi è a volte denominata robot, ma più
corretto è definire robot una macchina dotata
d’autonomia che reagisce alle variazioni
dell’ambiente esterno.
Prima del termine robot e
prima dello sviluppo delle tecnologie necessarie per far nascere la
robotica, gli oggetti che possedevano la capacità di
muoversi autonomamente, erano definiti automi (dal greco
αὐτόματος,
automatos che agisce di propria volontà).
L’automa agisce senza avere la capacità di
percepire l’ambiente esterno, mentre il robot è in
grado di farlo.
La robotica antecedente il XX secolo, se
così si può già definire, è
stata caratterizzata essenzialmente da automi. Il primo automa della
storia, presentato realmente come tale, risale al 380 a.C. e fu ideato
da Archita di Taranto (428 a.C. – 347 a.C.). Era una colomba
di legno che girava su se stessa, conosciuta in seguito come la Colomba
di Archita.
L’età d’oro degli
automi è però il XVIII secolo, secolo dello
sviluppo dell’orologeria e della meccanica fine, influenzata
dal fermento culturale dei Lumi. Sono perlopiù degli
orologiai che costruiscono automi. L’obiettivo non
è solo divertire o produrre un oggetto di lusso che
manifesti le proprie capacità artigianali, ma imitare e
riprodurre le caratteristiche del vivente. Celebri le creazioni di
Jacques de Vaucanson (1709 -1792) e gli automi di Pierre Jacquet-Droz
(1721-1790).
Nell’Ottocento si conosce
un’accelerazione dello sviluppo degli automi, soprattutto
quelli destinati alla produzione industriale. Appartengono sempre a
questo secolo i primi passi compiuti nell’ambito della
programmazione, come ad esempio l’Analytical Engine
(1837) di Charles Babbage, anticipatore degli attuali computer e lo
sviluppo da parte di George Boole (1854) dell’algebra
booleana che permetterà la nascita
dell’informatica (algebra che utilizza solo due valori, 0 e1).
Se già nell’Ottocento si delineavano i
primi legami con la programmazione, il Novecento è il secolo
durante il quale l’informatica e il successivo sviluppo
dell’intelligenza artificiale permettono alla robotica di
emergere.
Ma non sarà solo l’informatica
a dominare. La robotica del XX secolo si fonde e si confonde con varie
espressioni artistiche. Dimostrazione di ciò sono le leggi
della robotica scritte da Isaac Asimov (1920-1992) nel suo romanzo (in
realtà è una serie di racconti, ndr)
I, Robot del 1950, che ancora oggi regolano la
ricerca robotica e l’intelligenza artificiale:
Un robot non può recare danno a un essere umano, né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno.
Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge.
Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Prima e la Seconda Legge.
Non solo l’evoluzione della tecnica e della tecnologia, ma anche l’immaginario collettivo e le diverse forme d’arte (letteratura, cinematografia, ecc.) influenzano l’evoluzione della robotica creando attese sulle caratteristiche dei robot. A queste si aggiunge il desiderio di imitare la natura, già presente nello sviluppo dei primi automi, ma ancora più evidente nei robot umanoidi, nei cyborg e con gli attuali sviluppi dove biologia e robotica collaborano.
La
robotica si è evoluta dalla meccanica
all’elettronica, dall’informatica alla scienza
logica fino all’intelligenza artificiale. Ognuno di questi
passi è stato decisivo per la sua evoluzione, ma non per
questo le prime fasi del suo sviluppo sono da considerare ultimate. La
robotica meccanica non è una fase da considerarsi antica e
sorpassata che più nessuno prende in considerazione
poiché fu la prima. Al contrario, i vari campi che hanno
interagito con la robotica rimangono in simbiosi fra loro, come ad
esempio la meccanica che rimane alla base della robotica umanoide per
far sì che gli androidi possano camminare. Allo stesso modo
è da considerarsi l’intelligenza artificiale. Essa
rappresenta l’ultimo passo compiuto nell’ambito
dell’evoluzione della robotica, ma non per questo
può sussistere sola. Essa è sì una
scienza indipendente dalla materia, ma sempre più si
sviluppano concetti di embodied intelligence (intelligenza
integrata nel corpo) e d’interazione con l’ambiente.
Inoltre
la robotica (o meccatronica) s’insinua sempre più
nelle attività quotidiane diventando sempre meno distante
dal grande pubblico: la si ritrova ormai in oggetti di uso comune come
ad esempio i trapani moderni, i sistemi di posteggio automatici, la
domotica.
Questa evoluzione è stata permessa da
passi importanti che hanno segnato la storia della robotica. Qui di
seguito alcuni.
1913 – Hammond e Miessner sviluppano il primo cane elettrico che si distingue dagli automi per le sue reazioni agli stimoli esterni, il loro cane Seleno è infatti attratto dalla luce.
1946 – Viene sviluppato ENIAC (Electronic Numerical Integrator And Computer) primo calcolatore automatico elettronico del peso di 30 tonnellate.
1950 – Alan Turing nella sua pubblicazione Computing Machinery and Intelligence, si pone una domanda: le macchine possono pensare? Per trovare una risposta sviluppa un test che prenderà il suo nome (Test di Turing): se da una serie di risposte date da una macchina, un uomo non riesce a distinguere se a rispondere è stato un essere umano o una macchina, la macchina ha passato il test.
1951 – Walter Grey sviluppa la sua Machina speculatrix, primo robot ispirato alla biologia. Questo robot viene utilizzato da Grey per i suoi studi sul comportamento animale dimostrando l’esistenza di diverse reazioni che creano un comportamento complesso.
1954 – Raymond Goertz sviluppa i primi bracci meccanici per operare a distanza del materiale radioattivo.
1956 – Nasce il concetto d’intelligenza artificiale.
1958 – Viene sviluppato Unimate, primo robot utilizzato nell’industria automobilistica.
1967 – Nasce Shakey (Standford SRI), primo robot mobile capace di reagire autonomamente a situazioni semplici non programmate.
Dagli anni Settanta in poi la robotica cresce e abbandona per sempre l’era degli automi. Grazie allo sviluppo dei circuiti integrati, i robot sono ora in grado di svolgere delle mansioni in modo autonomo senza l’intervento umano.
1973 – WABOT-1 (Giappone, Ichio Kato) è il primo robot bipede. Il Giappone si distinguerà per lo sviluppo di robot umanoidi. Questa scelta è dettata, oltre che da ragioni storico-culturali, anche dalla convinzione che l’uomo può comunicare più facilmente con un robot di tipo umanoide. Nel 1984 seguirà WABOT-2, robot che sa leggere uno spartito e suonare l’organo.
Durante gli anni Ottanta conoscerà grande sviluppo
l’intelligenza artificiale: l’intelligenza delle
macchine e la branca dell’informatica che la studia. Rodney
Brooks, innovando, sviluppa in questi anni la subsumbtion
architecture, un’architettura informatica
bioispirata non più basata sull’informazione
simbolica astratta, ma composta da vari livelli di comportamenti
organizzati dal basso verso l’alto, dalla reazione basilare
ai comportamenti più evoluti. Comportamenti spesso semplici
che legano direttamente la percezione all’azione e che si
sommano o inibiscono a dipendenza dagli stimoli esterni.
Sempre
negli anni Ottanta sarà concepita l’intelligenza
artificiale distribuita dove più entità
interagiscono fra loro per uno scopo comune. Da qui nascono quelli che
sono stati definiti i multi agent system che hanno
dato in seguito origine alla robotica collettiva
(l’intelligenza a sciame, l’intelligenza
distribuita in un gruppo).
Questi sono ambiti di ricerca
ancora in fase di sviluppo e costituiscono i campi di studio del
futuro. La robotica è oggi anche in stretta relazione con la
biologia: capire le macchine e allo stesso tempo capire
l’uomo e la natura che lo circonda. Un’altra sfida
della robotica.
I CAMPI DELLA
ROBOTICA
Negli ultimi decenni la
robotica si è ampliata, ma si è anche suddivisa
in varie specializzazioni che si sono arricchite le une con le altre.
Qui di seguito sono presentate in maniera distinta, ma in
realtà sono intrecciate e offrono linfa e ispirazione
l’una all’altra, come dimostrano i campi attuali
della robotica.
Queste diverse specializzazioni sono
presentate nella mostra (Corpo, Automi, Robot, come
nei successivi rimandi, ndr) con oggetti della
storia recente e con gli ultimi frutti della ricerca di laboratori di
fama internazionale, e sono così suddivise:
i robot industriali, manipolatori o bracci robotizzati, la forza lavoro nelle catene d’assemblaggio;
i robot mobili, veicoli completamente o parzialmente autonomi caratterizzati da un’ampia libertà di movimento;
i robot umanoidi, robot con sembianze umane e talvolta con un’intelligenza che cerca di imitare l’uomo;
gli ibridi, i cyborg o gli organismi cibernetici, quando l’artificiale e il biologico si fondono, come ad esempio gli impianti nel corpo umano.
Questi quattro campi sono anche il riflesso dell’evoluzione storica della robotica. I robot manipolatori sono ampiamente utilizzati nell’industria, i veicoli robotizzati sono meno diffusi ma stanno prendendo sempre più piede, i robot umanoidi sono per il momento ancora dei prototipi ma diventeranno presto prodotti commerciali, mentre gli ibridi stanno diventando una realtà diffusa.
I ROBOT INDUSTRIALI
I
robot industriali di prima generazione erano molto più
simili a degli automi che a dei robot, solo in seguito hanno sempre
più acquisito capacità di interagire con
l’ambiente esterno utilizzando sensori e telecamere.
L’idea
di base del robot manipolatore è rimasta la stessa a partire
dagli anni Sessanta. Questi robot riprendono semplicemente i gesti
dell’uomo e la sua laboriosità imitandone spesso
pure la forma (bracci meccanici che riprendono le caratteristiche degli
arti: gomito, spalla, polso, mano prensile).
Oggi
però si sviluppano nuovi robot manipolatori a cinematica
parallela, usatissimi nei movimenti rapidi e precisi e per lo
spostamento di piccoli oggetti, dal cioccolatino al minuscolo filo che
collega il cuore del circuito integrato al suo involucro esterno.
Altre
nuove realizzazioni di bracci meccanici sono i manipolatori che possono
essere compresenti all’uomo. Questi non sono più
separati con delle griglie per evitare eventuali rischi per
l’essere umano, ma ne condividono lo spazio di lavoro e
diventano il terzo braccio o la terza mano di un operatore che deve
svolgere delle azioni sofisticate.
Nel 2007 sono stati
installati nel mondo 114.365 nuovi robot industriali (fonte dei dati
ifr.org). Questi numeri mostrano come ancora attualmente gran parte del
giro d’affari della robotica sia costituito dalla robotica
industriale.
Sebbene diffusa, questo tipo di robotica ha
suscitato accese discussioni, poiché per la prima volta i
robot hanno realmente sostituito l’uomo nel suo lavoro come
già Čapek aveva preannunciato nella sua piéce
teatrale. La controversia fra lavoratori umani e robot rimane comunque
ancora aperta: meglio aumentare il profitto e i benessere sostituendo
forza lavoro con i robot o mantenere i posti di lavoro?
I ROBOT MOBILI
Se
nel caso dei robot industriali il robot è fissato al suolo o
a una struttura meccanica, il robot mobile è libero di
muoversi imitando la libertà di movimento
dell’uomo. Questa caratteristica ha delle conseguenze
drammatiche per quel che riguarda le abilità del robot. Non
solo ruote, ma anche sensori e capacità di reazione. Come
l’uomo si è alzato, ha iniziato a camminare ed
è in questo modo evoluto, così il robot mobile
è costretto a diventare sempre più
scaltro…
I sistemi di locomozione utilizzati nella
robotica mobile sono spesso delle ruote (due o più) che
trasportano il corpo del robot contenente batterie, sensori e sistemi
di comunicazione. Di robot mobili ne esistono di varie dimensioni: dal
minuscolo trasportatore di cellule visibile solo al microscopio, al
robot di alcuni centimetri di diametro che si muove su una scrivania,
al robot aspirapolvere che pulisce anche sotto il letto, agli Automatic
Guided Vehicle che trasportano materiale
all’interno dei magazzini automatizzati.
La
mobilità non si è però sviluppata
esclusivamente per mezzo delle ruote. Il movimento è
possibile anche camminando, saltando, volando e nuotando. Con questi
vari sistemi di locomozione, i robot possono esplorare zone a noi
inaccessibili perché distanti e pericolose. Già
da tempo esistono infatti robot per manipolare materiale pericoloso
all’interno di centrali nucleari o industrie chimiche. Ma ora
i robot esplorano pianeti sempre più lontani (come il robot
esposto Shrimp sviluppato per andare su Marte),
vanno nei canali delle fognature, in piccoli tubi o nelle fessure
rimaste in un edificio crollato dopo un terremoto.
I ROBOT UMANOIDI
Il
robot umanoide (o androide) è la punta
dell’iceberg della robotica visibile al grande pubblico:
ciò che ognuno sogna per risolvere tutte le proprie faccende
pratiche.
Celebrati dalla letteratura e dalla cinematografia,
i primi robot umanoidi sono stati realizzati negli anni Ottanta e solo
da qualche anno muovono i primi passi in modo realmente autonomo. Molto
presenti sulla scena mediatica, ciò che li differenzia da
tutti gli altri robot è il tentativo di copiare le sembianze
umane (talvolta pure l’intelligenza), sperando di raggiungere
goffamente le evolute capacità dell’uomo.
La
locomozione è ottenuta con due gambe che con il resto del
corpo muovono passi in maniera dinamica. Hanno braccia per svolgere i
loro futuri compiti, occhi per vedere e interpretare ciò che
li circonda, parlano e sentono i comandi trasmessi
dall’utilizzatore.
Benché gli umanoidi
per definizione dovrebbero somigliare all’uomo, la tecnica e
la fantasia permettono realizzazioni anche in forme diverse. Per
esempio il robot esposto RoboX ha un occhio per
vedere e uno per esprimere sensazioni tramite una matrice di LED. Viene
così utilizzata la forma antropomorfa esclusivamente laddove
si ritiene ce ne sia un bisogno. È provato che la sembianza
umana faciliti l’interazione e l’accettazione del
robot.
Un altro esempio è il robot esposto Robota.
È stato sviluppato a forma di bambola per permettere
l’interazione con bambini autistici e per sviluppare un senso
di attaccamento necessario all’apprendimento o alla
sperimentazione.
Allo stesso modo, alcune sembianze umane sono
essenziali per far prendere parte un robot a una piéce
teatrale e farlo recitare con un attore, come nel caso del teatro che
vede protagonisti un uomo, una donna e tre robot (pièce
teatrale rappresentata in concomitanza alla mostra).
I robot
hanno sembianze non solo umane ma anche animali, come ad esempio,
gatti, cani o dinosauri. Questo non solo per gioco, ma anche per una
funzione terapeutica. Ad esempio il robot foca Paro
è un peluche robotizzato che alcune persone sole amano avere
a contatto come se fosse un animale domestico, evitando le
difficoltà fisiche dell’animale vero e proprio.
Qui di nuovo la somiglianza permette un legame particolareggiato fra
l’uomo e l’oggetto animato.
I CYBORG
I
cyborg (organismo cibernetici o ibridi) sono un’espressione
ulteriore del campo precedente dei robot umanoidi e possono essere
considerati il punto estremo dell’integrazione tra uomo e
macchina. Si pensa che i cyborg siano robot distanti da noi, ma in
effetti fanno parte di questa categoria anche le protesi (esempio
esposto), i pacemaker, i defibrillatori interni (esposti), le pompe
cardiache (esposta).
Tra i cyborg si possono ulteriormente
distinguere i seguenti sottogruppi:
gli impianti chirurgici installati all’interno del corpo per migliorare o sostituire funzioni umane, come ad esempio i tendini artificiali, i pacemaker, gli stent nelle arterie, le valvole, ecc;
le protesi e gli arti artificiali collegati al sistema nervoso, in modo da essere controllati in modo quasi normale dal cervello. Il controllo tramite impulsi nervosi li rende relativamente comodi e maggiormente accettati. Queste protesi sono sempre più sviluppate per i militari colpiti da incidenti durante i combattimenti. Questi uomini diventano così dei veri cyborg:
il telefonino, il telecomando o gli altri aggeggi elettronici che fanno talmente parte di noi che sono come un’estensione del nostro corpo, questa è da considerarsi però un’interpretazione estrema del cyborg.
ALTRE CATEGORIE DI
ROBOT
All’interno delle
categorie descritte in precedenza, vi sono alcuni sottogruppi
importanti da menzionare poiché sono di particolare
interesse per il loro impatto sociale: i robot del futuro sviluppati
nell’abito della ricerca scientifica e due argomenti agli
antipodi, i robot militari e i robot giocattolo.
I robot del futuro della ricerca scientifica
La
ricerca robotica si occupa di svariati campi, di cui uno in particolare
solletica la fantasia: l’intelligenza multi agenti. Essa si
occupa dello studio dell’intelligenza distribuita
all’interno di sciami, siano essi formati da agenti omogenei
o eterogenei. Per quanto riguarda gli agenti omogenei, tutti hanno lo
stesso valore e tutti la stessa legge comportamentale ma ognuno si
comporta a dipendenza di quello che gli succede attorno.
Nell’esperimento
esposto in mostra intitolato L’ospedale tutti
e quattro i robot sono uguali e si muovono casualmente. Quando uno si
ammala, gli altri reagiscono a questo stimolo modificando il loro
comportamento e quindi si dirigono verso l’ammalato, lo
circondano, e lo accompagnano all’ospedale.
Per
quanto riguarda gli agenti eterogenei, un esempio
d’avanguardia è il progetto europeo Swarmanoid
dove tre funzioni normalmente appartenenti a un solo corpo sono
rappresentate da tre robot specializzati e differenti: il robot
piede, il robot mano e il robot
occhio. Il primo si può muovere sul terreno, il
secondo può salire su uno scaffale e afferrare un libro, il
terzo si può attaccare al soffitto osservando la scena
dall’alto.
I robot nel campo militare e nella protezione civile
Esistono
vari tipi di robot utilizzati in guerra e per la sicurezza. In guerra
si occupano di portare informazioni senza mettere a repentaglio la vita
dei militari. Esempi sono i robot cingolati che osservano se dietro
l’angolo c’è un eventuale pericolo o gli
aerei semiautonomi che da altissima quota informano i servizi di intelligence
con immagini ad altissima risoluzione.
Simili
robot vengono pure usati per la protezione civile o per azioni di
polizia: ad esempio i robot artificieri (esposto da Armasuisse) o gli
sciami di robot volanti che creano una rete di comunicazione flessibile
ed immediata nel caso di catastrofe per aiutare le operazioni di
ricerca e salvataggio (progetto Armasuisse ed EPPL).
I robot giocattolo
I robot
giocattolo sono a ogni Natale sempre più presenti nelle
nostre case e sono quindi quelli che sono a noi più vicini.
Il robot giocattolo non è più costituito dal
semplice meccanismo mosso da due batterie, ma è sempre
più un oggetto d’altissima tecnologia con sensori
e gli ultimi ritrovati della ricerca.
Il robot cane AIBO
della Sony (esposto) possiede venti gradi di libertà, occhi
che vedono e riconoscono e orecchie che sentono.
Il robot
dinosauro Pleo sotto la pelle ha sensori tattili
che reagiscono alle nostre carezze producendo mugolii che rendono il
robot più attraente e vivo.
Il robot giocattolo
costituisce anche un modo per avvicinare i bambini e i ragazzi alla
tecnologia e alla scienza. È il caso del robot Lego
Mindstorm (esposto) che offre la possibilità di
costruirlo e programmarlo: il gioco diventa così un vero e
proprio corso di robotica. Questo non per diventare in futuro tutti
ingegneri, ma per vivere forse meglio in questo mondo sempre
più tecnologico, avvicinandovisi in modo simpatico e
sperando che in futuro la tecnologia costituisca una barriera sempre
per meno persone.