Joseph McBride, nella biografia dedicata a Steven Spielberg, ricorda che il 22 novembre 1963 Richard Matheson e Jerry Sohl, suo amico e anch'egli scrittore di fantascienza, stavano giocando a golf quando vennero raggiunti dalla scioccante notizia dell'assassinio di John F. Kennedy. I due smisero immediatamente di giocare, salirono in macchina e si diressero verso la non lontana Los Angeles. Mentre stavano percorrendo una strada per niente agevole e che attraversava un canyon, un enorme camion iniziò a tallonarli, facendosi sempre più minaccioso. Sohl, che era alla guida, fu costretto ad andare sempre più veloce, fino ad uscire di strada. In un attimo, i due fecero testa coda, finirono in una nuvola di polvere, e il camion sfrecciò accanto alla loro vettura, come se niente fosse. La pericolosità del tutto forse sarà stata acuita dal trauma dell'assassinio di Kennedy, fatto sta che i due proseguirono il loro viaggio verso LA terrificati e infuriati. Come nota ancora McBride, riportando le parole dello stesso Matheson, "in the writer's mind, once you survive death, you start thinking of a story" (McBride, 1997). Sembra una storiella inventata ad hoc, ma a quanto pare è proprio così che nacque l'ispirazione di Duel, il breve racconto che Matheson pubblicò nell'aprile del 1971 su Playboy. In realtà, come è facile notare, passarono diversi anni prima che Matheson si mettesse davvero a scriverla, questa short story. Il grande scrittore americano cercò infatti di vendere il soggetto di Duel a diversi programmi televisivi, senza successo, provando in prima battuta con l'allora celebre serie tv Il fuggitivo. Non trovando sbocchi praticabili, lo scrittore decise allora di ampliare il soggetto e di farne una storia compiuta. Sorte volle che fu proprio il medium televisivo, che in un primo tempo l'aveva rifiutata considerandola troppo povera di contenuti, a renderla cult, appena pochi mesi dopo la pubblicazione sulla rivista di Hugh Hefner. Il 13 novembre 1971, infatti, la ABC mandò in onda, per la serie il “Film della settimana del sabato sera”, quello che sarebbe passato alla storia come l'esordio del futuro campione di incassi Steven Spielberg, appena un mese prima del suo venticinquesimo compleanno.
Matheson è uno scrittore-emblema del
sistema dei media audiovisivi statunitensi, molto abile a modellare la
propria capacità affabulatoria su diversi piani
dell'immaginario. Duel, proprio per la sua natura
secca di soggetto pensato sin dall'origine per una trasposizione
audiovisiva, presenta tutte le caratteristiche di
adattabilità transmediale che hanno facilitato la sua messa
in scena per la tv (e il cinema). Tematicamente invece andrebbe
considerato come il rovescio oscuro di On the Road
di Jack Kerouac. Lì dove il grande romanzo generazionale di
Kerouac fa traspirare attraverso le sue pagine la tradizione letteraria
a cui vuole appartenere, da Henry David Thoreau a Thomas Wolfe,
attraverso un viaggio iniziatico dove misticismo e droghe consentono al
protagonista di sentirsi un tutt'uno con il landscape a stelle e
strisce, qui a dominare sulle never ending strade californiane
è la paranoia. Quello stesso sentimento che a partire da
quel 22 novembre del 1963 cominciò a serpeggiare negli
strati più profondi di una nazione intera. "What I was
really striving for", commenta Spielberg, centrando il nucleo tematico
oscuro della materia narrativa mathesoniana, "was a statement about
American paranoia. Duel was an exercise in paranoia" (cit. in Gordon,
2008).
Il racconto di Matheson è davvero
quintessenziale: l'uomo, che porta le stimmate della propria natura fin
nel suo nome (David Mann), la natura (esemplificata
dall'immensità degli spazi della California) e il medium (la
strada). La trama è nota: un commesso viaggiatore, diretto
in auto a San Francisco, sorpassa un'autocisterna, un truck come si
legge nell'originale, su una sterminata highway californiana. Il
racconto inizia proprio così, in maniera secca, come
è prassi in tanti incipit mathesoniani: (se ne parla in
questo numero) "Alle 11 e 32 del
mattino Mann superò il camion". Da quel momento comincia un incubo: il
camionista, pressoché invisibile, fa di tutto per buttare
fuori strada Mann, ingaggiando con il malcapitato un duello che si
rivelerà fatale. Il racconto miscela abilmente thriller,
road movie e una stolidezza duellistica, se si vuole, tipica del
western. Anche da questo punto di vista Duel si
dimostra un racconto esemplare nell'economia narrativa di Matheson,
spaziando a proprio piacimento dentro e fuori la macchina dei generi
letterari con la quale, al pari di Philip K. Dick, Matheson ha dovuto
fare i conti per tutta la vita professionale, finendo spesso con
l'essere etichettato in maniera troppo semplicistica.
La
progressione paranoica in cui Mann precipita è degna dei
migliori episodi scritti da Matheson per Ai confini della
realtà (se ne parla in questo numero). Segnaliamo il primo momento di quella che di
lì a poco sarà una vera e propria escalation,
abbastanza esemplificativo del modo di procedere dello scrittore.
L'esordio, abbiamo visto, è molto sintetico. Mann sorpassa
il camion, e da lì procede in un piccolo flusso di coscienza
descrivendo la strada che sta percorrendo e le normali procedure di
sorpasso appena impiegate, per perdersi poi nei suoi pensieri,
immaginando i giorni che lo attendono, tra prospettive lavorative e
difficoltà incombenti. Tutto in maniera molto pacifica.
Quasi noiosa. Il pensiero va poi alla famiglia, alla moglie Ruth in
particolare, e ai suoi figli, in un clima di distrazione tipico di
quando siamo da soli in strada in auto da ore. E infatti Mann per non
farsi distrarre troppo dai suoi pensieri accende la radio, quando...
"Trasalì
quando l'autotreno lo sorpassò rumorosamente sulla sinistra, facendo
oscillare leggermente la macchina. Osservò il camion e il rimorchio
che rientravano bruscamente sulla destra e aggrottò la fronte quando
fu costretto a frenare per mantenere la distanza di sicurezza. Che ti
prende? pensò".
Come diavolo ha fatto l'autotreno a
sorpassarlo così rapidamente? E soprattutto
perché? Sono queste le domande che Mann si fa, e che lo
porteranno a credere, a poco a poco, che il nostro camionista
probabilmente ha qualche rotella fuori posto...
L'auto (nel
caso di Mann "a low-power, economy model", come specificherà
poi Matheson stesso nella sceneggiatura per il Teleplay), che proprio
all'inizio degli anni Sessanta Marshall McLuhan aveva definito in un
capitolo del suo seminale Understanding Media (Gli
strumenti del comunicare) come la sposa meccanica (The
Mechanical Bride è non a caso anche il titolo del
suo primo volume, datato 1951) di ogni bravo americano medio,
è considerata a quell'altezza nell'immaginario americano
alla stregua di una seconda pelle, il luogo per eccellenza, insieme
alla casa, dove sentirsi davvero al sicuro. Se si legge Duel
in questa prospettiva mcluhaniana appare chiaro come sia perturbante
una situazione come quella descritta da Matheson. Perché il
camionista dovrebbe avercela con Mann? Lo stile secco della lingua
inglese rappresenta al meglio la follia della situazione: "What
happened was demented. Yet it was happening".
Il perturbante
è il motivo costante, tematico e stilistico non solo di Duel
ma di tutta l’opera di Matheson. "Il perturbante", scrive
Sigmund Freud nel 1919, "è quella sorta di spaventoso che
risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò
che ci è familiare" (Freud, 1977). La parola tedesca Unheimlich
ha infatti significato contrario rispetto alla sua radice, heimlich,
da Heim, casa, e anche a heimisch,
ossia familiare, abituale. Per dirlo in altri termini, il perturbante,
ciò che porta angoscia, è un
non-più-familiare, qualcosa che assomiglia al nostro
ambiente domestico più rassicurante ma che in
realtà cela in sé un non so che di straniero,
sconosciuto, enigmatico. Il perturbante è insomma il non
più domestico. In questo denso saggio, Freud parte
dall’arte come “teoria della qualità del
nostro sentire” per sottolineare come il perturbante sia un
elemento comune sia alla sfera estetica che a quella psicanalitica.
Freud lo connette poi al concetto analitico di ripetizione e lo collega
a un episodio capitatogli in una strada malfamata di Vienna: pur
cercando di evitarla, il medico austriaco finiva per ritrovarvisi
continuamente. Freud dice testualmente: “sarà
avvertito come perturbante tutto ciò che può
ricordare una profonda coazione a ripetere” (ibidem).
Non è l’apparizione di un novum,
quindi, ma è la ricomparsa di un qualcosa che un tempo era
molto familiare e che poi è rimasto sepolto
nell’inconscio a causa del processo di rimozione. Si pensi al
fondativo episodio Walking Distance, in italiano La
giostra, dalla prima serie di Ai confini della
realtà, scritto da Rod Serling e che si pone sulla
stessa lunghezza d'onda di Matheson. Un uomo non riesce a smettere di
tornare sui luoghi della propria infanzia, luoghi che apparentemente
non sono mai cambiati da allora, arrivando perfino a percepirsi e
vedersi bambino...
Ciò che perturba in
sostanza è la coazione a ripetere: il ritorno di elementi,
stati o situazioni inconsci che appaiono alla coscienza come cose nuove
e antiche nello stesso tempo. Nel nostro racconto, si tratta del
ritorno della presenza senza senso e minacciosa del nostro truck. Come
acutamente scrive Mario Lavagetto, "l’opera
d’arte", in specie quella perturbante, "si configura, tanto
per il suo produttore quanto per il suo destinatario, come una sorta di
ripetizione; il rimosso viene risvegliato dall’esperienza
estetica perché in essa prende corpo e rivive qualcosa di
nascosto e occultato nel passato sia individuale che filogenetico. Non
si corrono grossi azzardi se si sostiene che per Freud
l’opera promuove sempre, sia sul piano formale che sul piano
dei contenuti, un riconoscimento del già noto" (Lavagetto,
1985). Il già noto, certo. Lavagetto sembra riferirsi
davvero alla condizione tutta particolare di Mann, su una strada che
ben conosce, nella sua auto che è il luogo per eccellenza
nel quale trascorre anche più tempo che a casa propria.
In
tanti suoi lavori Matheson ha posto al proprio centro la lotta di un
uomo contro una forza più grande di lui. Ma forse mai come
questa volta la situazione di partenza sembra diventare freudianamente
archetipica.
A parte l'indubbia maestria tecnica, con un
notevole e originale senso del ritmo e dello spazio, Spielberg ha avuto
il merito di aver spinto la materia mathesoniana alle sue estreme
conseguenze, trasformando il racconto in un thriller ancora
più onirico e angoscioso, oltre che un prototipo per altri
suoi film a venire. Lo squalo (1975), per dirne
una, è una sorta di "sequel di Duel ma nell'acqua"
(Friedman, 2006).
Nel film, la scena dell'autotreno
che quasi riesce a spintonare l'auto sulle rotaie mentre passa il treno
è forse la più paradigmatica, in questo senso. Le
riprese di Duel durarono pochi giorni, dal 13
settembre al 4 ottobre 1971, e sole cinque settimane dopo il film
andò in onda. La produzione costò 750.000 dollari
e il film, nella sua lunga vita, dall'esperienza televisiva a quella
cinematografica con 15 minuti di girato in più, venne
distribuito con successo in Europa, dove vinse numerosi riconoscimenti,
per ritornare poi nei cinema americani anni dopo, nel 1983, facendo
guadagnare alla produzione almeno quindici volte l'investimento, oltre
a lanciare il talento del giovane regista verso nuovi orizzonti. Come
in tanto cinema di Alfred Hitchcock, regista amatissimo dal giovane
Spielberg, l'interesse risiede per il signor Ciascuno sopraffatto da
una situazione più grande di lui, quell'everyman
così tipico di tanti film del maestro inglese. Un altro
momento hitchcockiano lo si rivela nell'inseguimento, alla Intrigo
internazionale, mentre Mann sta telefonando da una cabina per
chiedere aiuto. La scena è assente nel racconto, come anche
nella versione televisiva, e configura la narrazione su un crinale
ancora più orrorifico.
Il film si apre in
soggettiva, quasi fosse un videogame. La trama sonora ricalca gli
stilemi di Bernard Hermann (altro elemento hitchcockiano) ed
è ben presente da subito, ad anticipare il celeberrimo
finale. Se si guardano un po' di esempi di film per la tv di quegli
anni, il lavoro svolto da Spielberg è davvero eccezionale.
La performance straordinaria di Dennis Weaver, insieme alla variazione
della selezione delle inquadrature e alle scelte di montaggio, sono le
chiavi di volta del successo registico. Viene poi marcata ancora di
più, soprattutto nella versione cinematografica, la
dimensione domestica. Tra le scene aggiunte da Spielberg nella seconda
versione si segnala infatti quella in cui Mann si scusa con la moglie
al telefono della lavanderia a gettoni, durante una sosta per
strada.
L'altro elemento fondamentale del racconto
di Matheson sul quale lavora il regista poi è la fusione di
organico e inorganico. Per lo Stephen King di Danse Macabre,
interessante volume a metà strada tra la narrazione tipica
del re dell'horror e il saggio di divulgazione su uno dei generi chiave
dell'immaginario occidentale, l'horror appunto, il camionista di Duel
che insegue Mann sull'infinità delle strade
californiane è senz'altro uno "psicotico", ed uno psicotico
senza volto. Quello che riusciamo a vedere infatti è solo un
braccio appoggiato allo sportello e un paio di stivali a punta da
cow-boy, altro segno inequivocabile del Dna western che striscia tra le
pieghe del racconto. Come ben sintetizza Matheson, attraverso il
pensiero di Mann: "Prima non aveva un volto, né un nome, ed
era l'incarnazione del terrore più ignoto. Adesso, almeno,
era un individuo".
Una delle maggiori invenzioni di
Matheson, ripresa e amplificata intelligentemente da Spielberg,
è la resa e la trasformazione del corpo macchinico
dell'enorme e inquietante camion in villain. In
personaggio mostruoso, se si vuole, a partire dalle sue immense ruote,
dal suo parabrezza lurido, dalle sue fiancate arrugginite. E quando
finalmente Weaver riesce a portarlo sull'orlo del burrone, alla fine
del loro interminabile duello, così da farlo precipitare nel
vuoto, allora ecco che attraverso una sapiente trama sonora i rumori
della sua morte si trasformano in "una serie di agghiaccianti ruggiti
giurassici, i suoni, credo, che emetterebbe un tirannosauro mentre cade
in trappola. E la reazione di Weaver è quella di ogni degno
cavernicolo: urla, strilla, salta, danza dalla gioia" (King, 1981). Per
inciso, per creare questi suoni spaventosi, Spielberg in un primo tempo
aveva pensato ad un mix di rumori di camion con la distorsione di un
urlo femminile, ma alla fine si risolse a usare il suono distorto di un
horror del 1954 di Jack Arnold, Il mostro della laguna nera
(McBride, 1997). "Mann strisciò lentamente verso il ciglio e
guardò giù, in fondo al canyon. Enormi lingue di
fiamma si levavano verso l'alto, sormontate da un fumo nero, denso e
oleoso. Non riuscì a distinguere le parti dell'autotreno,
solo fiamme. Le osservò stravolto, ormai svuotato di ogni
sensazione. Poi, inattesa, giunse l'emozione. Non la paura, all'inizio,
e non lo scoramento. Nemmeno la nausea, che seguì poco dopo.
Più che altro, un tumulto primigenio: l'urlo di una belva
ancestrale sul cadavere del nemico sconfitto". Il colpo di genio di
Spielberg è stato proprio questo: trasformare "l'urlo di una
belva ancestrale" dal character di Mann a quello del truck.
Un
viaggio sulle strade della paranoia, attraverso gli stilemi
hitchcockiani e la fusione innovativa di più generi: ecco
come Spielberg ha trasformato un sapiente racconto in un cult del
nostro tempo.
LETTURE
— Freud, Sigmund, Il perturbante, in Opere. 9, Boringhieri, Torino, 1977.
— Friedman, Lester D., Steven Spielberg, University of Illinois Press, Urbana and Chicago, 2006.
— Gordon, Andrew M., Empire of Dreams: The Science
Fiction and Fantasy Films of Steven Spielberg,
Rowman
& Littlefield Publishers, Plymouth (Uk), 2008.
— Lavagetto, Mario, Freud la letteratura e altro, Einaudi, Torino, 1985.
— Matheson Richard, Tutti i racconti. Vol. III – 1960-1993, Fanucci, Roma, 2013.
McBride, Joseph, Steven Spielberg: A Biography, Simon & Schuster, New York, 1997.
— King, Stephen., Danse Macabre, Sperling & Kupfer, Milano, 2006.
— McLuhan, Marshall, Gli strumenti del comunicare, il Saggiatore, Milano, 1995.
VISIONI
— Arnold Jack, Il mostro della laguna nera, Universal Pictures, 2005.
— Spielberg Steven, Duel, Universal Pictures, 2004.