titolo_m04 * Versione ampliata dell’articolo pubblicato nel numero 38 di Quaderni d’altri tempi con il titolo Lassù sulle montagne tra l’aspre rupi.
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Nel corso del 1922, Vladimir Il'ič Ul'janov, noto come Lenin, accerchiato da contestazioni dentro e fuori il partito, argomentò in difesa della cosiddetta Nep, la Nuova politica economica, scrivendo un delizioso saggio, intitolato A proposito dell’ascensione sulle alte montagne, del quale vale la pena di riportare qualche passaggio, seppur lungo, utile per conoscere quali contraddizioni, drammi, o semplici piccoli dilemmi assalgono chiunque si appresti a dare l’assalto al proprio cielo. 

Scrive Lenin: “Immaginiamo un uomo che effettui l’ascensione di una montagna altissima, dirupata e ancora inesplorata. Supponiamo che dopo aver trionfato di difficoltà e di pericoli inauditi, egli sia riuscito a salire molto più in alto dei suoi predecessori, senza tuttavia aver raggiunto la sommità. Egli si trova in una situazione in cui non è soltanto difficile e pericoloso, ma addirittura impossibile avanzare oltre nella direzione e nel cammino che egli ha scelto. Egli è costretto a tornare indietro, a ridiscendere, a cercare altri cammini, sia pure più lunghi, i quali gli permettano di salire fino alla cima. La discesa, da questa altezza mai ancora raggiunta su cui si trova il nostro viaggiatore immaginario, offre delle difficoltà e dei pericoli ancora maggiori, forse, dell’ascensione […] manca quello stato d’animo particolare di entusiasmo che dava impulso al cammino verso l’alto, dritto allo scopo” (Lenin, 1967).

 

Mezzo secolo dopo, nel 1972, quattro strani figuri addobbati da guardie rosse con tanto di libretto delle massime di Mao, fucile automatico e bandiera rossa, compaiono sulla copertina del loro secondo e ultimo album, intitolato Little Red Record. L’immagine è clonata da una cartolina agiografica, chiaramente propagandistica della Repubblica Popolare Cinese dell’epoca. Gli iconoclasti in questione si fanno chiamare Matching Mole e al momento della pubblicazione del dischetto rosso si erano innalzati non poco su quel versante di quella montagna che si staglia altissima sui territori della musica, la cui cima fu oggetto di numerose escursioni ad altissima quota nei primi anni Settanta, e che vide non pochi azzardi, fallimenti, smarrimenti e retromarce. Il quartetto Matching Mole si era costituito da non molto, nell’autunno del 1971, e composto originariamente da Robert Wyatt, fondatore, promotore e leader del gruppo, che adoperava diversi attrezzi sonori: batteria e voce soprattutto, ma anche mellotron e pianoforte, Dave Sinclair alle tastiere (piano e organo), Phil Miller alla chitarra elettrica, Bill MacCormick al basso elettrico. In seguito Wyatt sarà anche membro del Communist Party of Great Britain.

 

Wyatt

 

Il primo album omonimo uscì nella primavera del 1972, frutto di registrazioni iniziate nel dicembre 1971 e conclusesi in marzo con l’apporto di un secondo tastierista, il neozelandese David MacRae, proveniente dal giro dei Nucleus di Ian Carr, combo che fu tra i protagonisti della nuova scena jazzistica inglese. Prima di tornare in studio per Little Red Record, Sinclair lasciò la band che dalle pseudo pop song del progetto iniziale si andava incamminando verso un’improvvisazione più sistematica. Gli unici due album in studio del gruppo sono stati oggetto nel 2012 di una curatissima ristampa che li ripropone entrambi in versione doppio cd con l’aggiunta di inedite jam di studio e materiali live da registrazioni radiofoniche già presenti su precedenti compilation dedicate all’attività concertistica della band, per oltre settanta minuti di musica in più, che evidenziano, nel complesso delle registrazioni, il work in progress della band.

Una sperimentazione che condusse i quattro ad alta quota, sulle pareti di quella montagna dove era facile, allora, incrociare altri escursionisti coraggiosi. Ad esempio, proprio nel 1971 avevano iniziato ad arrampicarsi su un'altra parete decisamente scoscesa i membri di una specie di comune musicale tedesca, che autogestiva il proprio studio di registrazione sito nei pressi del fiume Wümme in Germania: i Faust. La band fece subito schiantare la pop music in un mare di suoni prodotti da nastri accelerati, suonati al contrario, sulla scia di certa sperimentazione accademica. Qui però l’energia primitiva del rock tuonava come non mai. Il loro primo album (con la radiografia di un pugno chiuso in copertina) si apriva sulle note ultra sfregiate di Satisfaction dei Rolling Stones e di All You Need Is Love dei Beatles, trattate come si usa per preparare un frappè. Gli anni di Wümme andarono dal 1970 al 1973 portando la band a un’altezza inaudita, per poi ridiscendere di poco per passare qualche tempo alla neonata Virgin e infine far calare un silenzio discografico durato circa dieci anni. I Faust tornarono (qualcosa che si chiama così è ancora in giro, ma resta ormai solo il nome e poco più) e per un altro decennio produssero sì ottima musica, ma dando l’impressione di girare intorno alla montagna senza salire di un solo metro in più. Non è facile ridiscendere e ricominciare, un mezzo tentativo riuscito lo si deve a un francese visionario di nome Gilles Artmann, che sul finire del 1970 crea un gruppo, i Lard Free, davvero sui generis, misto di jazz, elettronica e rock davvero sporco. Anche loro iniziano a scalare e nell’arco di tre dischi, dopo aver mandato in paranoia il loro primo produttore, che li pagò pur di toglierseli di torno, misero a punto un vertiginoso punk-jazz cosmico. Artmann ridiscese e risalì, riprese la formula, la dilatò e diede vita agli Urban Sax, un’orchestra composta da un numero imprecisato di elementi (almeno dodici, ma si è giunti fino alla cinquantina), quasi tutti sassofonisti coadiuvati da percussionisti e talvolta voci, spesso protagonisti di performance nelle città dove si aggiravano rinforzati anche da ballerini, sfiorando anche i duecento elementi, che indossavano tute spaziali. Un’invasione aliena sostenuta da poderose reiterazioni sulla scia della scuola minimalista (alla Philip Glass e Terry Riley per fare due nomi).

 

Wyatt

 

C’era un via vai intenso in quegli anni, la montagna era affollata come le più rinomate località sciistiche, vi risuonava di tutto e niente aveva precedenti (se escludiamo le elitarie sperimentazioni accademiche): ritmi e soluzioni timbriche del pop si scioglievano dentro misture armoniche complesse, ritmi inediti per il rock ma in genere per la musica occidentale irrompevano fin dentro la semplice canzone, i passaggi in India erano numerosissimi, ma si sconfinava un po’ dappertutto. C’era spazio per i rituali misteriosi della Third Ear Band, una congrega underground che attaccò una delle pareti della montagna attrezzata con oboe, violino, tabla e violoncello, una strumentazione aliena all’epoca. Sparirono dopo aver firmato la colonna sonora del Macbeth di Roman Polanski nel 1972. Vennero riavvistati dopo oltre quindici anni, ma non si erano mossi in avanti di un metro.
L’ascesa per alcuni significò continuare per sempre a girare in tondo, per altri ridiscendere e mollare, per qualcuno intraprendere la risalita altrove nello spirito della parabola narrata da Lenin. Dove poteva andare ad esempio la babelica musica di Miles Davis ai tempi di Dark Magus e On The Corner? Quella zuppa ribollente di funky, elettronica, raga, jazz e rock? Davis ridiscese e staccò la spina, per motivi di salute certo, ma quando ritornò prese un’altra strada e oltre quel picco non riuscì ad andare. Molti in quegli anni smarrirono i sensi per l’alta quota, anche dopo un solo tentativo, come era già successo all’ex bassista dei Buffalo Springfield, Bruce Palmer. Lui si separa dai suoi partner Stephen Stills e Neil Young destinati alle grandi platee e licenzia un solo album, The Cycle Is Complete, anno 1971, che dalla festa freakedelica iniziale scivola in un oscuro sogno di cose inquietanti, per dirla con David Lynch.

 

I Matching Mole s’incamminarono su per cime sconosciute, come si è accennato, sul finire di quello stesso anno. I quattro avevano avuto già modo di incrociarsi. Wyatt, fresco di licenziamento dai Soft Machine aveva pubblicato il suo primo album solista, End Of An Ear, viaggio psichedelico nel jazz, fallimento commerciale pari a quello registrato dal Cycle di Palmer. Prima, in seguito e parallelamente, aveva fatto capolino in sedute di registrazioni eterogenee, con gli ex Soft Machine della primissima versione, Daevid Allen e Kevin Ayers, con le estemporanee formazioni Amazing Band e Symbiosis, con il violinista Sugarcane Harris, con i Centipede, la grande orchestra di Keith Tippett (cfr. Quaderni d'Altri Tempi n. 34) e con Lol Coxhill, (cfr. Quaderni d'Altri Tempi n. 32) che ai tempi duettava con Steve Miller, il fratello di Phil. Dallo stesso giro del pelato sassofonista arrivava Phil Miller, chitarrista dei Delivery, formazione alle prese con una specie di progressive blues (oltre a Coxhill e al fratello Steve, c’erano il bassista Roy Babbington, il batterista Pip Pyle e la cantante Carol Grimes); MacCormick, a sua volta, faceva parte del giro dei Quiet Sun in compagnia dei futuri Roxy Music, Phil Manzanera e il più celebre Brian Eno.
Infine, Dave Sinclair proveniva dai Caravan, l’altro gruppo di Canterbury nato insieme ai Soft Machine per scissione dal nucleo originario dei Wilde Flowers. A sottolineare affinità e divergenze in seno al popolo canterburiano, Wyatt decise di chiamare il gruppo Matching Mole, che in francese è la replica fonetica di machine molle, ovvero Soft Machine. Il gruppo nacque, ricorda Wyatt, perché non avendo un gruppo stabile (come si è appena detto) ritenne “giunto il momento di formarne uno. Rapii qualche altro musicista, come Bill MacCormick che era stato un membro dei Quiet Sun, e Dave Sinclair, che era sul punto di lasciare i Caravan. Quest’ultimo condivideva il mio interesse per le «canzoni pure e semplici». Avevamo tutti qualche canzone da parte; perciò fondammo un gruppo e le suonammo. Rimasi molto soddisfatto di gran parte del primo album. Eppure, non avevamo soldi né attrezzature e quell’album è stato inciso in uno studio abbandonato dalla Cbs, talmente freddo (si era a dicembre, ndr) che Dave Sinclair doveva suonare con i guanti […]. Il nome fu un’idea mia, il gioco di parole era intenzionale” (King, 1994).

 

Wyatt

 

Involontario invece fu il primo rimando al comunismo, a Karl Marx che nel pamphlet il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte scriveva “E quando la rivoluzione avrà condotto a termine questa seconda metà del suo lavoro preparatorio, l'Europa balzerà dal suo seggio e griderà: Ben scavato, vecchia talpa!” (Marx, 2006), parafrasando l’Amleto di Shakespeare. Gli incidenti tecnici (pianoforte scordato, problemi con il dolby, con le cuffie e il registratore, interferenze delle linee elettriche, ecc.) e le difficoltà ambientali (il freddo, dei lavori di manutenzione in corso, sospensione della corrente elettrica) portarono il gruppo a terminare il disco solo nel marzo del 1972 dopo aver traslocato ai Nova Studios vicino Marble Arch. Wyatt amava le canzoni pure e semplici ma di queste nell’album c’è in realtà, forse, la sola O Caroline che apre l’album e schianta i cuori, perché quando siamo di fronte alla semplicità restiamo irretiti e storditi. Lui che aveva trasformato un motivo swingante in una cavalcata verso il nulla (Moon in June, da Third dei Soft Machine) e giocato con voci, nastri e Gil Evans in End Of An Ear, dentro la canzone non riusciva proprio a starci, ma nemmeno ce la faceva a starci lontano. Al secondo brano si è già nella patamusica wyattiana con Istant Pussy, segno netto dell’inquietudine di Wyatt. È una delle strane canzoni che aveva già in mente ai tempi della morbida macchina, infatti la infilò di straforo nella scaletta che la band eseguì nel novembre del 1969 negli studi della BBC, ospiti della trasmissione Top Gear. Con nastri, voci e vocine, Wyatt pasticciava già da un po’, tant’è che della successiva Signed Curtain Wyatt fece un primo schizzo intitolato Chelsa diversi anni prima, saltellando tra gli studios T.T.G. di Hollywood e The Record Plant di New York a fine ’68. Una canzoncina abbozzata intanto che registrava pirotecniche acrobazie vocali, sgusciando le lettere dell’alfabeto inglese (Rivmic Melodies) e disegnando il prototipo di Moon In June.

Nella sua stesura matura, Signed Curtain ha movenze più ortodosse, cedendo per un attimo ancora alla tentazione di eseguire ballad, prima di obbedire alle differenti leggi di gravità dell’universo wyattiano. Un’altra dimensione che si ritrova ancor più nella Part Of The Dance Jam, pescata dagli avanzi (si fa per dire) delle registrazioni: venti minuti di divagazioni sul tema dell’originale Part Of The Dance, già piuttosto incatalogabile secondo gli schemi rock.

Prima di rientrare in studio per confezionare il dischetto rosso, i Matching Mole suonano nei Paesi Bassi, in Francia, in alcune città inglesi, sbucano in trasmissioni della BBC, cercando di sbarcare il lunario dovunque capitasse. La scalata, intanto, ha già perso un membro della cordata. “Dave (Sinclair) non rimase a lungo – annotava Wyatt –. Era difficile trovare musicisti disposti a dedicarsi a tutte le cose differenti che avevamo in mente. A Bruxelles facemmo un concerto totalmente improvvisato. Dave fu molto fantasioso ma non gli piacque affatto. Gli piacevano solo le canzoni. Ma non si possono fare otto O Caroline. Come le chiami? O Annette? O Jacqueline? O Sue? Diventeremmo poco credibili. La nostra vena più sperimentale lo rendeva molto insicuro. E così chiamammo Dave MacRae, che era sempre lieto di fare nuove esperienze: un musicista veramente dotato. I rischi che comportava suonare in una situazione di anarchia lo divertivano” (King, 1994). Così a metà del loro cammino, i Matching Mole incrementarono il loro potenziale tasso di sperimentazione e (paradossi e meraviglie dell’epoca) se ne andarono per tutto il mese di aprile in giro per il Regno come spalla di John Mayall, che seguiranno anche per un breve tour in Francia il mese successivo. A metà agosto i quattro rientrano in studio e danno inizio alle registrazione di Little Red Record con Robert Fripp (piccola grande star con i King Crimson) in veste di produttore e Brian Eno (incrociato da MacCormick durante la lavorazione del primo disco dei Roxy Music) a prestare manodopera elettronica. Il materiale era stato in buona parte testato on the road, ma venne severamente vagliato e anche censurato da Fripp, inflessibile anche in quel frangente. Ricorda MacCormick: “C’era una tensione tangibile e alla fine certe cose che ci piacevano vennero escluse, perché Fripp decise così. Si arrivò anche a quello. Sembrava una buona idea all’inizio, ma poi si rivelò un errore” (ibidem). A pagarne le conseguenze fu soprattutto Miller, in quanto chitarrista tenuto sotto osservazione più degli altri, al punto che, sempre nei ricordi di MacCormick, si ridusse “all’ombra di se stesso, capace a stento di muovere le dita” (ibidem). Contraddizioni in seno al popolo degli esploratori sonori. Fatto sta che Miller riduce il suo apporto nel secondo disco, anche se in parte riemerge negli inediti che le attuali ristampe mettono a disposizione. L’album apre illustrando il concetto di filastrocca sonora elaborato da Wyatt in Starting In The Middle Of The Day We Can Drink Our Politics Away e prosegue quasi come un quiz à la Lewis Carroll chiedendosi: “What’s brown, goes underground and it’s myopic? It’s the mole!”. Strofa che durante le prove in studio scatenò anche un discreto cazzeggio tra i presenti, tra cui Julie Christie sotto le mentite spoglie di Ruby Cristal. La traccia inedita intitolata Mutter testimonia il tutto. Wyatt anche nel dischetto rosso non riesce a star dentro la canzone, ma quando ne è fuori cerca a tutti i costi di tornarci e Gloria Gloom con Eno impegnato al synth spiega alla perfezione il gioco dialettico sotteso alle manovre sonore svolte all’epoca dal futuro compagno Wyatt facendo sorgere dal suono inafferrabile una densa e arzigogolata melodia. Una vera canzone compare anche in questo album e fornisce la misura intera, la levatura notevole del Wyatt chansonnier: God Song, dove si esprime con misurato disappunto il dissenso tra l’uomo e l’operato divino. Sarà lo spiritato piano elettrico di MacRae in Smoke Signal a chiudere la storia discografica dei Matching Mole, giunti a considerevole altezza, in un punto che non lasciava intravvedere a Wyatt ulteriori scalate, un punto ineguagliabile, tant’è che, come scrive Riccardo Bertoncelli: “Per migliaia di fans in tutto il mondo quell’avventura rimarrà la sua più bella e il benchmark cui riferirsi quando si parla di sogni & meraviglie a Canterbury. Sono passati quarant’anni ed è ancora così…” (Bertoncelli, 2012).

 

WyattBisognava ridiscendere e non sono solo la precarietà di ingaggi e situazioni, oppure l’antileadership dichiarata da Wyatt a spiegare perché un bel giorno di settembre, nel 1972, dopo dieci mesi, la storia si chiuse. Wyatt precisò: “I Matching Mole si sciolsero perché non ho la stoffa del leader, non mi piace dirigere. L’onere del comando spettava a me perché ero più noto degli altri ed ero al centro dell’attenzione quando suonavamo. Non voglio spacciarmi per il simpatico timidone o cose del genere: semplicemente, desideravo essere uno dei quattro membri del gruppo. E poi i problemi con il bere, con le attrezzature non sapevo proprio come risolverli” (King, 1994). MacCormick non ci stava a chiudere l’avventura, fece pressione su Wyatt, al punto da fargli riprogettare i Matching Mole nel marzo del 1973. Il quartetto si sarebbe riformato con altro assetto, prevedendo Gary Windo al sax tenore e Francis Monkman (proveniente dal gruppo prog Curved Air) alle tastiere. Tutto sembrava pronto per un’altra scalata, da un punto diverso, altrettanto unico. I quattro si trovano il 29 di maggio nell’appartamento dell’artista Alfreda Benge, nota come Alfie, che poi sposerà Wyatt e provicchiano, improvvisano. Tutto è però rimandato, a dopo la festa organizzata il 1° giugno 1973 nell’appartamento dell’artista e poetessa Lady June. Quel giorno, fuor di metafora, Wyatt volò giù, la sua schiena andò in pezzi, resterà per sempre bloccato su una sedia a rotelle. I Matching Mole non si riformarono più.

END OF AN ERA, parafrasando il suo album solista.

 

Wyatt evitò guai ancora peggiori se non la morte grazie al suo profondo stato di ubriachezza, che lo fece sì precipitare, ma lo rese anche rilassato al punto da offrire il minimo di resistenza nel terribile impatto a terra. Qualche mese dopo, archiviata per sempre la sua carriera di batterista, ecco rispuntare l’antico interrogativo leniniano: che fare? Gli amici si danno da fare per lui. I Pink Floyd e i Soft Machine organizzano un concerto al Rainbow Theatre di Londra per poi devolvergli l’incasso. In ottobre fa una sortita negli studi della Virgin dove gli Hatfield And The North stanno registrando il loro primo album. Sono una costola dei canterburyani Caravan e infatti ci sono Richard Sinclair con lui ai tempi dei Wilde Flowers e l’ex Matching Mole, Phil Miller. Gli affidano la parte vocale di Calyx, che Wyatt trasforma in un inno lunare. Sempre in autunno, c’è Lady June che prova a fare un suo album (Linguistic Leprosy), al quale partecipano il compagno di tante avventure macchiniche, Kevin Ayers e l’apolide Lol Coxhill. Improvvisano e nasce Apricot Jam, Coxhill lo albergherà nel suo …Oh Really? A novembre, Wyatt viene dimesso definitivamente dall’ospedale. Pressanti, tornano a frullargli per la testa una serie di appunti, di prove, di bozze e di intuizioni risalenti all’inverno 1972/73, quando aveva trascorso diverse settimane a Venezia con Alfie, con cui si era già fidanzato, sul set di un film horror di Nicholas Roegg, A Venezia... un dicembre rosso shocking, con protagonista la comune amica Julie Christie. Non sapendo come ingannare il tempo, aveva preso confidenza con una tastierina portatile, abbozzando alcune canzoni che pensava di affidare al nuovo gruppo che aveva intenzione di creare, la terza edizione dei Matching Mole, probabilmente. Non le aveva dimenticate, ma doveva adattarle alla sua nuova condizione: né batterista, né leader, solo un cantante dallo spirito libero e inguaribile sognatore. 

Nacque così Rock Bottom: sei canzoni per sei formazioni diverse, con diversi amici vecchi e nuovi: Richard Sinclair, Mongezi Feza, Hugh Hopper, Gary Windo, Fred Frith, Mike Oldfield, Ivon Cutler, Laurie Allan. Un autentico capolavoro su cui si sono scritti fiumi di parole, rendendo inutile ogni altro commento. Wyatt inizia a registrarlo nel febbraio del 1974, la Virgin lo farà uscire il 26 luglio, lo stesso giorno in cui Wyatt e Benge si sposano. È il ritorno alla vita e lo sviluppo dei brani sembra davvero muovere da una brumosa semi coscienza alla luce e alla gioia. Si apre con la tormentata Sea Song e si chiude con il frastuono del flusso vitale di Little Red Robin Hood Hit The Road

Wyatt fa anche qualche apparizione in pubblico. 

C’è un famoso album che vede all’opera in concerto, sempre al Rainbow Theatre, un supergruppo estemporaneo e che ha come titolo la data della performance: 1° giugno. I titolari della faccenda sono Kevin Ayers, Brian Eno e due ex Velvet Underground, John Cale e Nico. Wyatt vi partecipò suonando delle percussioni. 

Inizia a prestare la sua voce in giro, è di nuovo a Top Gear con uno strano trio anglo-tedesco, gli Slapp Happy (Peter Blegvad, Anthony Moore e Dagmar Krause). Li porta a fare un giro sulle giostre della patafisica. Si arriva a settembre, quando Richard Branson, il fondatore della Virgin che aveva solo menti illuminate al lavoro nella sua casa discografica (Henry Cow, Hatfield And The North, Faust, gli stessi Slapp Happy e in seguito anche i Tangerine Dream) e anche la sua mente non era ancora oscurata dal profitto a tutti i costi, organizzò un concerto per Robert Wyatt. Abile uomo d’affari sin da allora, Branson prese tutti per il naso per organizzare l’evento: contattò i vari musicisti dicendo a ognuno di loro che Wyatt teneva molto alla loro adesione, ma questi non ne sapeva nulla; infatti a lui raccontò che erano stati i musicisti a fare pressione affinché tornasse a esibirsi. Quel concerto per anni venne immaginato più che ascoltato in varie versioni di un bootleg di autentica pessima qualità, finché nel 2005 se ne è prodotta una copia ufficiale, restaurata quanto possibile. Sul palco si esibì una formazione da sogno, davvero stellare: Dave Stewart, Hugh Hopper, Laurie Allan, Fred Frith, Mike Oldfield, Julie Tippett, Gary Windo, Mongezi Feza, Nick Mason. Come presentatore venne chiamato John Peel e a riscaldare i cuori prima del concerto ci pensarono Ivor Cutler e Phyllis April King, che offrirono una selezione di canzoni e poesie. Il disco è attribuito a Robert Wyatt & Friends e si intitola semplicemente Theatre Royal Drury Lane 8th September 1974. Wyatt aprì il concerto ripescando un brano dell’amico Hugh Hopper che aveva già inciso nel secondo album dei Soft Machine, Dedicated to You But You Weren't Listening. Giusto un accenno e visto che di ricordi si tratta ecco spuntare Memories, sempre di Hopper e che risale ai preistorici Wilde Flowers. Serata nostalgica? Macché, ecco poi fresco di stampa Rock Bottom notturno, luccicante, estatico e intriso di dolcezza. Poi dopo il luccicante interludio affidato a Julie Tippett, si passano in rassegna i Matching Mole (le citate Instant Pussy e Signed Curtain e gli Hatfield And The North (Calyx). Tutto normalmente irregolare; così per dare una scossa, ecco il gran finale con una vecchia canzone di Neil Diamond per i Monkees, I'm A Believer. Wyatt l’aveva incisa un mesetto prima e il 45 giri era appena uscito. Il cantante Wyatt iniziava così a costruire un singolare repertorio di cover, tuttora in costruzione. 

In concerto lo si vedrà ancora nel 1975 poi non suonerà più in pubblico (salvo poi ricomparire in un paio di occasioni con David Gilmour, nel 2011 e poi nel 2006). 

A maggio è nel parigino Theatre des Champs Elysées, poi al New London Theatre e infine a Piazza Navona a Roma . È il concerto di apertura gratuito della campagna sulla depenalizzazione della marijuana contro le droghe dure. In tutte le occasioni suona con gli Henry Cow, musicanti favolosi, utopici multistrumentisti, nati nel 1968 dall’incontro tra Tim Hodgkinson (tastiere, sax contralto) e Fred Frith (chitarra, violino) intorno ai quali prese forma il gruppo. A partire dal 1972 la formazione divenne stabile con l’ingresso del bassista John Greaves, di Chris Cutler (batteria) e di Geoff Leigh (sax tenore e flauto), poi sostituito dalla fagottista e oboista Lindsay Cooper. 

Wyatt ha intanto registrato il secondo e ultimo album della decade a suo nome, il collage intitolato Ruth Is Stranger Than Richard. Un sostanzioso contributo alla stesura di quel bel repertorio di canzoni che, per pigrizia malcelata e dichiarata difficoltà a comporre, prenderà forma nei decenni successivi. D’altronde si diviene ciò che si è. La facciata Ruth del disco, infatti, si apre con Soup Song, che altro non è se non Slow Walkin’ Talk, un brano del fratello di Hugh, Brian Hopper, che aveva militato con Wyatt nel Wilde Flowers a metà Sixties. Si diviene ciò che si è. Wyatt aveva giocato in passato con Slow Walkin’ Talk, in un’emozionante (per lui) seduta di registrazione sempre in quelle giornate di fine ’68, quando all’improvviso nei TTG Studios di Hollywood Jimi Hendrix si offrì di accompagnarlo al basso.

In scaletta anche un brano composto da Mongezi Feza, Sonia, precedentemente registrato come lato B di un secondo 45 giri inciso da Wyatt nell’ottobre del 1974, Yesterday Man, una canzone di Chris Andrews datata 1964. Le altre cover sono Song For Che di Charlie Haden, un’aria di Jacques Offenbach pesantemente ribaltata e Team Spirit, rivisitazione di Frontera di Phil Manzanera, un brano presente nel suo Diamond Head, registrato solo pochi mesi prima con un piccolo contributo di Wyatt. L’album è completato dagli spicchi di un ampio lavoro mai completato insieme a Frith. 

 

Wyatt

 


 

LETTURE

Bertoncelli Riccardo, Matching Mole: nuovi cunicoli della talpa, Musica Jazz, maggio 2012.
King Michael, Falsi movimenti, una storia di Robert Wyatt, Arcana Editrice, Milano, 1994.
Lenin Vladimir I., Note di un pubblicista, in Opere vol. XXXIII, Editori Riuniti, Roma, 1967.
Marx Karl, Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, Editori Riuniti, Roma, 2006.