LETTURE / VIVERE LA MUSICA, UN RACCONTO AUTOBIOGRAFICO


di Roman Vlad / Einaudi, Torino, 2011 / pp. 229, € 14,00


Incontri ravvicinati
con la musica del Novecento

di Roberto Pacifico

 

“Io sono sempre stato, per istinto e per formazione morale, non soltanto antifascista ma contrario ad ogni forma di qualsiasi autoritarismo politico. Sarebbe bella l'anarchia, ma credo sia una pura utopia organizzare una società anarchica... Penso che nella situazione del mondo attuale non ci voglia né il socialismo né il liberalismo: occorre una prassi politica, una gestione che possa conciliare la necessità dell'organizzazione sociale con la libera impresa. È molto difficile perché si realizzerebbe la sintesi di due direttrici contrarie, ma sarebbe la salvezza se ci fosse un liberal-socialismo illuminato”. Più che una dichiarazione politica in senso stretto, Roman Vlad esprime, alla fine del suo racconto autobiografico, il punto di vista di un intellettuale cosmopolita nato all'indomani della Prima Guerra Mondiale e che, come tanti della sua generazione, ha attraversato buona parte di quello che si potrebbe considerare il secolo più ricco di “tutto”, nel bene e nel male: il Novecento. Il racconto che Vlad fa della sua vita di artista ed esperto di musica non esclude, dunque, la sobria ed equilibrata confessione dei propri punti di vista su diversi aspetti della storia e della società.

Oltre che musicologo, Roman Vlad è autore di numerose composizioni, tra le quali ricordiamo il balletto La dama delle camelie (rappresentato al Teatro dell'Opera di Roma nel 1948), Sinfonia (Venezia, 1948), Divertimento per 11 strumenti, De Profundis per soli coro e orchestra (Parigi, 1947), Tre invocazioni (Salisburgo, 1951), Cinque elegie (1953), Variazioni concertanti per pianoforte e orchestra (Venezia, 1955), Le ciel est vide, cantata per coro e orchestra (Torino, 1954), Musica concertata per arpa e orchestra (Torino, 1958). La sua vita percorre un secolo di storia della musica contemporanea; e in questo consiste l’aspetto stimolante del racconto autobiografico: Alfredo Casella, Sergej Prokof'ev, Arturo Benedetti Michelangeli, Arnold Schoenberg, Béla Bartók, Riccardo Muti, Giuseppe Sinopoli, Massimo Mila, Luciano Berio, Igor Strawinsky. Sono solo alcuni dei musicisti conosciuti e frequentati da Vlad, descritti in questo libro insieme a molti nomi di rilievo nella storia e nella cultura italiana ed europea: s'incontrano, oltre ai numerosi protagonisti dell'ambito musicale, anche personaggi come Giovanni Battista Montini, che Vlad conobbe quando Montini era prosegretario di Pio XII; il filosofo Benedetto Croce (che non aveva, come racconta Vlad, una grande attitudine per la musica), Eugenio Montale, e Luciano Emmer, scomparso nel 2009, uno dei registi – insieme a Renato Castellani, René Clair, René Clement e altri – con cui Vlad collaborò, nel secondo dopoguerra, nella stesura di musiche per film: Emmer aveva iniziato in quel periodo a sperimentare un genere nuovo nel cinema, la lettura dei grandi capolavori della pittura italiana.

Vlad vive a Roma dal 1938. Ha ottenuto la cittadinanza italiana nel 1951. È nato il 29 dicembre 1919 a Czernowitz, nel ducato di Bucovina, da genitori legati all'impero asburgico (“si erano sposati a Vienna e mio padre aveva fatto parte dell'esercito austriaco nella prima guerra mondiale”). Czernowitz, l'attuale Černivci, apparteneva all'impero asburgico dal 1774, prima di essere restituita alla Romania nel 1920 con il nome di Cernăuţi. Come racconta lo stesso autore, la Bucovina, in seguito, venne occupata dai sovietici nel 1940 e dai nazisti nel 1941, e allora divisa tra Unione Sovietica e Romania; dalla fine dell'Urss appartiene all'Ucraina.

Rievocando i luoghi della sua nascita e della sua prima educazione, Vlad si sofferma su aspetti culturali e linguistici che danno la piena idea di quella condizione, non di rado fortunata sotto il profilo sociale e formativo, che oggi indicheremmo con le espressioni “melting pot” o “multiculturalismo”, una convergenza-convivenza di diverse etnie, lingue, religioni e culture che per molti uomini nati in quel periodo e in quelle zone era un fenomeno acquisito e normale: “Ai primi del 1900 Cernăuţi era una città dai molteplici aspetti etnici e religiosi. La sua particolare collocazione storico-geografica, oltre alla stanziale popolazione rumena, favoriva la contestuale presenza di austriaci e tedeschi svevi, ma anche di slavi, greci ed ebrei. Durante la dominazione asburgica emigrarono in questo territorio famiglie ucraine, polacche e soprattutto ebraiche. Quasi tutti parlavano comunemente il romeno, il tedesco, il polacco e l'ucraino. A scuola si studiava il francese, il polilinguismo era assai diffuso ed io avevo acquisito in modo naturale un bagaglio linguistico notevole. Il regime asburgico era estremamente tollerante e favoriva la pacifica convivenza e la mescolanza tra le diverse etnie, smussando le cause delle frequenti conflittualità... anche in fatto di religione vigeva assoluta tolleranza. Le varie etnie avevano rispettivi luoghi di culto: i romeni erano in parte greco-ortodossi, in parte greco-cattolici (o come si diceva «uniati»). I tedeschi erano cattolici o luterani, gli ucraini erano divisi tra ortodossi e uniati, i polacchi, cattolicissimi!”.

Vlad lascia il proprio paese poco prima che deflagri il conflitto mondiale. Parte per Roma con una borsa di studio che la Bucovina assegnava agli iscritti alla facoltà di ingegneria navale all'Università di Roma. Non è che al musicista stesse a cuore l'ingegneria navale (pur amando molto il mare), ma quella borsa di studio era il pretesto per trasferirsi in Italia e frequentare sia l'università sia, soprattutto, l'Accademia Nazionale di Santa Cecilia, dove titolare del corso di perfezionamento pianistico era un grande compositore e pianista: Alfredo Casella (1883-1947). Racconta Vlad: “Partii dunque per l'Italia, avevo in tasca pochi soldi e il passaporto rumeno. Dopo un viaggio di tre giorni, attraverso la Polonia, la Cecoslovacchia e l'Austria già occupata da Hilter, arrivai a Roma in una mattina piovosa: era il 15 novembre del 1938 (...). Mi incamminai alla scoperta della città, così a caso percorrendo via Cavour e via Panisperna, poi via dei Serpenti e all'improvviso...vidi il Colosseo e dissi: «Ecco, sono veramente a Roma!»”.

Uno degli incontri chiave nella sua vita fu appunto quello con Alfredo Casella, nel gennaio 1939, quando Vlad si presentò alla sede dell'Accademia di Santa Cecilia per sostenere gli esami di ammissione al corso superiore di perfezionamento pianistico. “Casella non negligeva il linguaggio contemporaneo avanzato e, con Malipiero, ne era la punta più autorevole: Pizzetti e Respighi erano legati a linguaggi più conservatori e nel gioco di potere, come ho già detto, non risparmiarono strali velenosi all'avversario. Ma Casella, uomo superiore e generoso, non reagì (...) Casella intratteneva rapporti con tutti in tutto il mondo, senza preclusioni, era amico di Ravel, Stravinskij, Bartók che grazie a lui conobbi personalmente a Roma”.

Casella e Malipiero, compositori della cosiddetta generazione dell'Ottanta (del Diciannovesimo secolo), dovettero durar fatica per diffondere la musica “straniera” in un clima di forte tradizionalismo. I due compositori italiani fonderanno la Corporazione delle nuove musiche (CDM) che contribuì, tra il 1923 e il 1928, a portare in Italia Béla Bartók, Paul Hindemith, e Arnold Schoenberg per la direzione del suo Pierrot Lunaire. Per dare l'idea delle forti contrapposizioni tra i musicisti moderni e i fautori della grande tradizione italiana dell'Ottocento legata al teatro verista, Vlad cita il caso del libro (L'operista alla moda, del 1911, che suscitò aspre polemiche) del musicologo Franco Torrefranca (1883-1955) contro Puccini, considerato un musicista da nulla, mentre Schoenberg nel suo fondamentale Harmonielehre (tradotto in italiano – malamente, come nota Vlad – Manuale di armonia) lo considerava tra i compositori più importanti in assoluto, insieme ai suoi allievi Alban Berg, Anton Webern, Bela Bartók e Franz Schreker.

A proposito di grandi musicisti del Novecento, è ricco di aneddoti biografici il capitolo che Vlad dedica a Igor Stravinskij, autore dell'Oiseau de feu, di Petruška, del Sacre du Printemps, con il quale Vlad ebbe un'amicizia “lunga, sincera e bella”. Merita, dunque, soffermarsi su questo compositore, anche per confermare la figura di Vlad come testimone della cultura musicale del Novecento. Stravinskij nacque ad Orianenbaum nel 1882, località marina di fronte a Kronštadt, dove i genitori si erano trasferiti da Pietroburgo, ma, ricorda Vlad, apparteneva a una grande famiglia polacca, non russa, dalle origini molto antiche. Stravinskij teneva molto alle sue lontane radici polacche: “Aveva ereditato una proprietà terriera a Ustilug che il padre aveva acquistato per le vacanze e che all'epoca era in territorio russo; fra le due guerre questa località venne assegnata alla Polonia e Stravinskij, che amava molto questo luogo, chiese alle autorità di poter avere la cittadinanza polacca”. Ma l'allora presidente della Polonia, il pianista Ignacy Paderewski, si oppose “commettendo l'imperdonabile errore” di privare la patria di uno dei più grandi musicisti del secolo. Una notazione in apparenza oziosa, ma importante su cui si sofferma anche Vlad: l'alternanza delle lettere w/v e ij/y nel cognome (Strawinskij/Stravinskij/Strawinsky) non è un refuso, ma deriva dalla stessa disinvoltura del musicista russo che non fissò mai esattamente, lui così pignolo per altri versi, la precisa grafia del cognome (qui si adotterà il sistema di trascrizione europeo dal russo, sebbene Vlad nel suo studio opti per Strawinsky, ndr).

Su Stravinskij, paragonato spesso a Picasso per versatilità stilistica, ampiezza di orizzonti, produttività artistica e poliedricità di soluzioni e linguaggi sperimentabili nello spazio, non sempre facilmente delimitabile, compreso fra tradizione e modernità, Vlad ha scritto una monografia (1958) molto apprezzata dallo stesso compositore che ne condivise alcune intuizioni definendola, in una sua lettera, il libro migliore fra quelli a lui dedicati fino a quel momento: cosa che irritò non poco Robert Craft, giornalista e musicologo, autore di libri fondamentali sulla vita e sulle opere di Stravinskij. Nel ricordare la scandalizzata reazione del pubblico (fischi e urla di protesta) alla prima esecuzione del Sacre du Printemps di Igor’ Stravinskij, al Théâtre des Champs-Elysées di Parigi, il 29 maggio 1913, Roman Vlad commenta così gli elementi innovativi di quell'opera, allora ritenuta scioccante e oltraggiosa: “La Sagra della Primavera è l'esatto contrario di tante «primavere» sdolcinate cui ci avevano abituato innumerevoli musicisti, pittori e letterati. Questa è una primavera vista dal di dentro; dalle stesse viscere della terra che si contorcono negli spasmi della riproduzione, sprigionando oscure forze telluriche... Per rendere la barbara crudeltà dei riti con cui i russi pagani solevano celebrare l'avvento della primavera e che culminano nel sacrificio di una vergine (che consiste nel ballare fino alla morte, ndr); per suggerire il senso di sbigottimento che quell'umanità primitiva prova davanti ai misteri della natura; per concretare tutti questi intenti immaginifici radunò un complesso di forze orchestrali invero colossale” (ibidem). Il fascino di quest’opera rimane inalterato per la compresenza delle più varie e contrastanti atmosfere musicali: dal celebre inizio affidato alla voce solitaria del fagotto che modula un tenero e nostalgico motivo attinto dalla tradizione slava (più precisamente lituana) fino al climax della Danza finale, quella del Sacrificio, è tutto un oscillare fra mistero, rapimento, dinamismo, forza ritmica, esaltazione orchestrale, attraverso un linguaggio melodico e armonico che alterna la tradizione popolare agli effetti del più ardito politonalismo. La Sagra racchiude un microcosmo di emozioni primordiali: evocazione, elegia, magia, inquietudine e bellezza della natura, grida di gioia, scoppi di vitalità arcaica, entusiasmo, tragedia. Ancora oggi, a distanza di quasi un secolo (99 anni nel 2012) dalla prima rappresentazione, La Sagra della Primavera è in grado di produrre nell’ascoltatore contemporaneo l’effetto sismatico di emozioni musicali ed estetiche fuori dalla norma: è la perfetta e, per molti versi, insuperata espressione dell'elemento dionisiaco, a scatenare il quale contribuiscono tutte le possibilità armoniche, ritmiche e tonali che il linguaggio musicale poteva risvegliare, amplificate da una potenza orchestrale inusitata, e ancora oggi difficilmente eguagliabili. (En passant, ma la nota è di estrema importanza: fu con l'uscita, nel 1941, del film animato Fantasia di Walt Disney che utilizzava i brani più famosi della Sagra, che la popolarità di Stravinskij si diffuse presso il largo pubblico, contribuendo a svincolare quella musica dai contenuti primitivi e fauve che costituivano il nucleo originario della composizione).

Fra i motivi musicali che si fissano indelebilmente nella memoria dell’ascoltatore con la stessa intensità e suggestione di un monito, di una sentenza, di un’immagine che racchiude in sé un microcosmo di rimandi e di significati simbolici, non può mancare l’introduzione all’Oiseau de Feu: un tema di 12/8 che emerge dallo sfondo indistinto del silenzio, mormorata sul registro di basso e che ondeggia inquieta e minacciosa, come un presentimento ossessivo: tre note discedenti (trasposte in chiave di violino si potrebbero rendere così: mi 1° rigo, do, si) e altrettante ascendenti (si bemolle –do diesis –mi bemolle) che ripropongono la prima triade, abbassata (o alzata: do diesis/re bemolle) di un semitono. Il forte cromatismo della frase d’attacco assume diverse suggestioni liriche, in rapporto al trattamento orchestrale. Riguardo la trama lasciamo la parola a Vlad stesso:

“L'argomento fu tratto dalla vecchia fiaba russa dell'Uccello di fuoco. Per essa Stravinskij compose una musica da «balletto d'azione». Una musica cioè che, passo per passo, si pone in diretto rapporto con l'azione scenica, seguendone gli episodi e plasmando su di essi la propria forma. Il balletto si compone di sette parti, e così anche la Suite Sinfonica che il compositore ne trarrà nel 1911, riorchestrandola nel 1919 e dandone una nuova versione nel 1945. L'Introduzione crea una misteriosa atmosfera notturna. Segue una breve, iridescente, presentazione dell'Uccello di fuoco e la sua danza. La Variazione dell'uccello di fuoco si riferisce alla sua cattura e alla successiva liberazione da parte del giovane cavaliere Ivan. D'un colpo Ivan si trova davanti al castello dell'immortale Re Katschei, un gigante dalle dita verdi che trasforma in pietre i viandanti. Ivan viene circondato da uno stuolo di fanciulle che ballano la Ronda delle principesse. La più bella s'innamora di lui, ma sopravviene il Re Katschei ballando una Danza infernale. Ivan seguirebbe la sorte di tanti altri viandanti, se l'Uccello di fuoco non lo salvasse, intonando una magica Berçeuse che addormenta tutti. Così Ivan può carpire e distruggere il guscio d'uovo in cui era nascosta l'anima immortale del Re. Questi muore e una Danza finale segna, tra l'allegrezza generale, il trionfo dell'amore di Ivan e della principessa” (Vlad, 1958a).

Le influenze musicali riportano a Nikolai Rimskij-Korsakov, al “cromatismo sensuale” di Aleksandr Skrjabin mixato a quello “decorativo” di Paul Dukas, Claude Debussy e Maurice Ravel. “A tutto questo fa eccezione – continua Vlad – la Danza infernale di Katschei dove lo stile personale di Stravinskij si manifesta interamente. I temi sono laconici; il discorso musicale si presenta a blocchi squadrati con scultorea potenza; i piani tonali si contrappongono e si urtano nella loro lucente diatonicità; il ritmo tende già ad assumere un autonomo valore discorsivo; alle sintetiche misture di timbri si sostituisce la crudezza dei timbri puri. Qui veramente si può dire che Stravinskij ha acceso la prima esca nella compagine strumentale dell'orchestra ottocentesca” (ibidem). L'Oiseau de Feu, rappresentato per la prima volta nel 1910 all'Opéra di Parigi, consacrò la celebrità di Stravinskij.

Con Petruška, il Pierrot dei paesi slavi, il compositore non si accontenta del successo, e lancia a se stesso un'altra e più coraggiosa sfida. In Petruška Stravinskij unisce il virtuosismo pianistico alla ricerca di nuovi effetti armonici, innestando la creatività musicale nel terreno più popolare del folklore russo. L'idea originaria venne, come racconta lo stesso Stravinskij, in Chroniques de ma vie, dall'immagine «di un fantoccio scatenato il quale, con cascate di diabolici arpeggi pianistici esaspera la pazienza dell'orchestra. Che a sua volta replica con minacciose fanfare. Segue una tremenda colluttazione, che, arrivata al parossismo, termina con l'afflosciamento lamentoso e dolente del povero fantoccio» (ibidem).

Ne nasce una musica nuova rispetto all'Oiseau: “Nel 1911 imperavano lo sfumato impressionistico e il truculento sinfonismo postwagneriano di marca straussiana. In quest'atmosfera lo scatenamento delle sonorità crude, spigolose, taglienti, cui si assiste in Petruška, doveva apparire necessariamente come un sorprendente fatto rivoluzionario” (ibidem). Ma Petruška regala anche momenti di tenerezza e malinconia unici. L'azione del balletto si svolge a San Pietroburgo, durante la fiera del Martedì Grasso: un burattinaio presenta al pubblico le sue tre creature, Petruška, la Ballerina e il Moro. Il pubblico non può non rimanere commosso dalla figura dignitosa e sfortunata di Petruška, perdutamente innamorato della Ballerina che però gli preferisce il potente, ricco, volgare e violento Moro: una metafora che in cento anni conserva ancora tutta la sua validità sociologica.

Il tema di Petruška, costruito e sviluppato su due accordi di do maggiore e fa diesis maggiore (combinazione armonica non inedita, già sperimentata da Ravel, per esempio), assume la potenza e l'incisività timbrica di una personalissima cifra musicale flessibile e aperta a variazioni melodiche suggestive, ora plastiche, ora legate all'introspezione. E se si vuole leggere un interessante aneddoto che riguarda Petruška ma anche Mussolini (un duce, in quel caso, culturalmente progressista e controcorrente), si vada al capitolo dedicato ad Aurel Milloss. Nel racconto autobiografico di Vlad, le pagine dedicate alla vita sentimentale non sono meno importanti delle vicende più strettamente imperniate sull'esperienza musicale. Vlad si sposò due volte. La prima moglie fu Elisabetta Naldi; poi incontrò Licia Borrelli, sorella di Francesco Saverio (ex procuratore capo della Procura milanese al tempo di Tangentopoli), archeologa e allieva di Ranuccio Bianchi Bandinelli. Racconta Vlad: “Dopo la fine del mio primo matrimonio, mi ritrovai di nuovo libero; debbo dire che non avrei mai interrotto un rapporto affettivo, in questo senso sono stato educato alla fedeltà, non ho mai tradito né un amico né un'amante e né una moglie e credo che anche i miei figli (Alessio e Gregorio, nati nel 1955 e 1958, ndr) siano monogami per vocazione e cultura; posso dire che in questo campo non mi sono mai sentito totalmente italiano!”.

Non mancano riflessioni sulla musica e sulle principali correnti di pensiero del Novecento, dalla Scuola di Francoforte, di cui Vlad condivide il pessimismo sulla cultura di massa soprattutto in ambito musicale, al ruolo positivo della Rai in materia didattica e formativa (funzione ormai estinta, secondo l'autore), fino alle avanguardie e al jazz. Non è però un libro di musicologia, né una grammatica o una storia della musica: la teoria è ridotta al minimo. E in questo forse consiste il suo valore aggiunto: essere musicisti di professione è già di per sé una fortuna; ma avere avuto anche l’opportunità di conoscere e frequentare non pochi grandi nomi della musica del Novecento è un privilegio.

 


 

LETTURE

× Vlad Roman, Strawinsky, Einaudi, Torino, 1958a.

× Vlad Roman, Storia della dodecafonia, Suvini Zerboni, Milano, 1958b.

× Mila Massimo, Breve storia della musica, Einaudi, Torino,1963.

× White, Eric Walter, Stravinskij, Mondadori, Milano, 1983.

× Stravinskij Igor’, Craft Robert, Ricordi e commenti, Adelphi, Milano, 2008.

× Salvetti Guido, Storia della musica, Il Novecento I, Edt, Torino, 1977.

 

ASCOLTI

× Stravinsky Igor’, Three Movements from Petrouchka (pianista: Denis Matsuev), Sony Bmg Music Entertainment, 2006.

× Stravinsky Igor’, Petrushka, Le sacre du Printemps, Detroit Symphony Orchestra diretta da Antal Dorati, Decca, 1988.

× Stravinsky Igor’, L'Oiseau de feu suite 1945, Apollon musagète (1947), Scherzo fantastique op. 3, Royal Concertgebow Orchestra, Riccardo Chailly, Decca, 1997.